venerdì, 1 Novembre, 2024 2:41:13 PM

Roma – Parthenope, il film sublime e spericolato di Paolo Sorrentino

Secondo la leggenda, Partenope era, con Ligea e Leucosia, una delle tre sirene che, con il loro canto, ammaliavano i marinai per poi divorarli.

Quando non riuscirono nel loro incanto con Ulisse, frustrate, si uccisero gettandosi in mare. Il corpo di Partenope, trascinato dalle correnti, raggiunse la terraferma alla foce del fiume Sebeto: lì dove poi i Cumani avrebbero fondato Neapolis, e dove oggi sorge Castel dell’Ovo.

Parthenope, con quella vezzosa e ostentata “h”, nasce invece dalle acque del golfo napoletano, nei pressi di una delle tante, splendide ville sul mare della zona di Posillipo, e Napoli non la indica, né la fonda, ma la scopre, nella sua meraviglia e nelle sue oscenità, nella sua eleganza e nella sua trivialità. Così come scopre la vita, le sue altezze, i suoi abissi.

Come ci aveva raccontato nel precedente È stata la mano di Dio, il giovane Paolo Sorrentino aveva lasciato Napoli per Roma, e quindi per il suo sogno di cinema.

A Napoli era tornato per il suo esordio, quell’Uomo in più che nel 2001 chiarì a tutti che nel cinema italiano era emerso dalle acque un nuovo autore con il quale avremmo dovuto fare i conti, e per vent’anni non c’era tornato.

Lo fa adesso, per la seconda volta, con un film che, parlando di una ragazza bellissima e dalla risposta sempre pronta, parla di una città, ma ancora di più parla della vita.

Della giovinezza, soprattutto: quasi come in Youth, che in realtà, a dispetto del titolo, era un film sulla vecchiaia, e sullo spettro della morte.

Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove Sorrentino è di casa, avendo presentato sulla Croisette Le conseguenze dell’amore, L’amico di famiglia, Il Divo, This Must Be the Place, La grande bellezza e il citato Youth, e dove il regista ha fatto quell’ingresso in sala per la proiezione ufficiale del film che sui social è diventato immediatamente “virale”, Parthenope è un film straordinario, strabiliante e commovente, figlio di un autore che ha chiaramente una sensibilità elevatissima (“Ero destinato alla sensibilità”, faceva dire Sorrentino a Jep Gambardella) e una capacità inusuale di raccontare le cose grandi e piccole attraverso un filtro personalissimo e, paradossalmente, tutt’altro che minimalista.

“Al cinema mi sono potuto lasciare andare”, ha dichiarato Sorrentino in un’intervista pubblicata sul Venerdì di Repubblica. “Divento coraggioso e spericolato, ridondante, perfino barocco: in tanti me lo rimproverano. Ma non me ne frega niente, lasciatemi fare quel che cavolo mi pare. Poi ci sono quelli che vogliono il rigore. Ma il rigore al cinema da me non l’avrete mai”.

E per fortuna, aggiungerei io. Perché di rigore, spesso fasullo, ostentato e formalista, è pieno un cinema italiano che troppo spesso pensa che atteggiandosi a pensoso, possa fare a meno di una sostanza.

“A Parthenope affido l’ultimo paradosso di cui parla la letteratura: la vera conoscenza arriva quando resta poco da vivere”, ha detto Sorrentino nella stessa intervista.

“Più vai avanti negli anni, meno ti innamori, meno ti diverti, diminuisce anche la tua capacità di meravigliarti. Però riesci a vedere le cose, a vederle in profondità”.

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