di Sabrina Briscese.
Era una calda giornata di estate. Stavo andando a trovare la mia amica Sofia, che viveva in un antico casolare a duepiani con Joseph e i loro tre figli.
L’auto procedeva lentamente per una strada di campagna, fra alberi di ulivo secolari e muretti a secco. Si sentiva il profumo di fiori selvatici e gli uccelli volavano liberi nel cielo.
Non fu facile raggiungere il casolare, era lontano dalle altre abitazioni che avevo incontrato lungo la strada.
Per fortuna la mia amica mi aveva detto che avrebbe messo un nastro colorato di viola, appeso ad uno dei montanti di ingresso del viale che portava al loro casolare.
Era largo e delimitato da verdi cipressi che svettavano verso il cielo. Procedetti nella stradina, contenta di essere arrivata, ma sentivo qualcosa di strano.
Un senso di oppressione non ben definibile mi prese mentre mi inoltravo lungo il viale, che diventava sempre più stretto e accidentato.
Gli alberi si facevano sempre più spogli e grigi, come se fossero ammalati, e ad un certo punto sparirono
lasciando il terreno arido e incolto. Improvvisamente, dietro il muro di una vecchia torre in pietra diroccata, finalmente intravidi il casolare.
Mi sembrò antico, come se fosse stato abbandonato per secoli. L’edera folta ed opprimente si arrampicava ad intrappolare i muri scrostati.
Nessuno era fuori ad aspettarmi, così decisi di uscire dalla macchina e mi avvicinai alla porta. Mentre camminavo sentivo un vuoto strano dentro il mio corpo e vedevo diverse foglie a terra di uno strano colore grigiastro e polveroso.
Bussai alla porta. Nessun suono per alcuni minuti. Un po’ interdetta mi chiesi se la mia amica fosse in casa, ritenevo di essere attesa.
Stavo quasi per ritornare alla mia auto, quando all’improvviso sentii un cigolio e vidi Sofia aprire la porta
con un sorriso felice, ma che mi apparve inspiegabilmente teso.
Ci abbracciammo. Erano anni che non ci incontravamo ed eravamo tutte e due felici di esserci
ritrovate. Mi invitò ad entrare.
L’interno del casale sembrava essere stato ristrutturato da poco, era ben curato e dall’aspetto moderno. Ci sedemmo in cucina e, mentre chiacchieravamo ricordando i tempi passati, intravidi il marito che nel salotto parlottava agitato con uno strano individuo.
L’uomo aveva un viso misterioso, parzialmente nascosto nella penombra della stanza. Joseph invece mi sembrò pallido e spaventato, come se avesse visto un fantasma.
Poi l’uomo se ne andò. Sofia chiamò il resto della famiglia per presentarmela. Il marito ci raggiunse, ma sembrava teso per il colloquio con lo strano uomo, i figli invece scesero correndo dal piano superiore, vociando contenti per la novità.
Erano due simpatici gemelli di otto anni e una timida, bella bambina dai lunghi capelli biondi di quattro anni.
Mentre sedevo con i bambini, scherzando con loro allegramente, i genitori si diressero in cucina per preparare le pietanze.
Presa dalla allegria dei bambini non mi ero accorta che il tempo stava scorrendo e che Sofia e il marito stavano tardando per raggiungerci.
Mi alzai e mi avvicinai alla cucina, ma affacciatami alla porta mi accorsi che avevano smesso all’improvviso di bisbigliare, con un atteggiamento imbarazzato.
Si scusarono per l’attesa, presero le pietanze e andammo a sederci a tavola. Qualcosa era cambiato nell’atteggiamento della mia amica, che ora sedeva pallida e pensierosa come se non fosse insieme a noi.
Mangiammo in silenzio, persino i bambini, prima così allegri, guardando i genitori sembravano essere cambiati e non fiatavano.
Fine I parte.