di Antonio Pasquale.
Cosa vuol dire comunicare oggi? L’urgenza di ricevere una risposta immediata nel quotidiano, visualizzare la “spunta blu” dei messaggi dei cellulari, ci condiziona e ci vincola ad una virtuale esigenza di entrare in contatto con l’ altro.
Si è spesso condizionati da una forma di comunicazione frenetica, in cui si pretende la stessa rapidità di contatto, che si è incapaci di riprodurre.

Potremmo anche imputare tale ritrosia ad ogni forma di complessità, di ciò che non si inserisca in un percorso lineare, canonico, restando ancorati alle convenzioni, sino ad assomigliare alla copia sbiadita di noi stessi.
La linearità o la pretesa di controllare ogni dettaglio della nostra vita, infonde sicurezza, evita la fatica della complessità e della realtà ed in primis il fallimento.
Si vive nella convinzione e nella pretesa che la vita sia già troppo involuta per imbattersi in tipologie di ostacoli sempre più complessi, quasi fossimo depositari di costanti ed indiscutibili certezze.

Non si riesce a comunicare e si imputa troppo frequentemente all’altro la propria incapacità di gestire le relazioni, la realtà, le difficoltà.
Spesso la pretesa di esserci a tutti i costi, anche quando non serva, ci porta a instituire illusorie forme di contatto, vuote esperienze della nostra essenza.
Ripartire da un approccio relazionale più autentico, perché inserito nella realtà, potrebbe forse darci la misura di una consapevolezza nuova e tangibile.

Esporci senza contezza ci priva della nostra dimensione intrinseca di animali sociali, che riconoscendo il limite, ne interpretano le potenzialità per concedersi nuove opportunità di esserci nel modo giusto.
Non penso possa esserci una formula per agire in tal senso, ma soffermarsi a pensare al nostro modo di agire, può forse contribuire a restituirci alla relazionalità che è insita nella nostra natura.
Farlo senza retorica è una sfida altrettanto cogente quanto vitale.
Antonio Pasquale.
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