venerdì, 5 Dicembre, 2025 10:20:58 AM

Lecco – Roberto Molteni – Sfumature e ombre di un’arte

di Ombretta Del Monte.

Le opere di Roberto Molteni non sono pianure visive sulle quali il cerchio abita: non sono linee geometriche.

Sono costruzioni complesse, strutture materiche che si incarnano dallo sfondo e cristallizzano qua e là quantità di sedimento e tutto ciò che ha avuto il coraggio di restare visibile.

Raccolgono la luce a sé piuttosto che rifletterla, generano un’atmosfera sospesa, quasi eterea, che invita l’osservatore a un’immersione lenta e attenta.

Le forme radiali ricorrenti ora nette, ora sfumate alludono a un inizio di gesto; qualcosa che si apre, si espande, o forse implode tornando verso il centro.

È un movimento che sembra sospeso, quasi un gesto che non riesce a compiersi, o al contrario colto nel suo svolgersi.

Il che si traduce anche in una compresenza di ordine caos e frammentazione, tra luce e armonia. L’artista, dunque, non crea immagini, ma mondi interiori, campi di forze, superfici che serbano una memoria: dei gesti, dei materiali, della sedimentazione del tempo.

Nel suo procedere, il quadro non è mai uno spazio da occupare: è un suolo da far affiorare. L’incontro, dunque, in cui la materia, finalmente, ricomincia a narrare.

Dentro il cerchio emblema di compiutezza la frammentazione si fa armonia, e la materia si sa ritmo. L’opera invita a entrare nel suo movimento più che a scorgere un significato in essa.

Aloe nera (2024)

L’artista non edifica immagini, ma paesaggi interiori, campi di forze, superfici che custodiscono una memoria: dei gesti, dei materiali, della stratificazione del tempo.

Le opere di Molteni sono così: non figure finite, ma eventi in corso, dove nella composizione si fondono cosmi di filosofie.

Questa coesistenza di ordine e disordine, di sostanza e luce, di scissione e intesa, restituisce alla pittura una dimensione quasi ancestrale.

L’artista non crea immagini, ma mondi interiori, campi di forze, superfici che serbano una memoria fatta di gesti, di materiali, della sedimentazione del tempo.

Nella sua ricerca, il quadro non è mai uno spazio da occupare: è un suolo da far affiorare. Una soglia in cui l’osservatore può riconoscere qualcosa di noto senza saperlo definire, e proprio per questo sentirsi chiamato in causa. 

Un incontro in cui la materia, finalmente, ricomincia a narrare. L’opera invita il fruitore a entrare nel suo movimento, più che a interpretarne un senso.

Barriera corallina (2025)

Roberto, grazie per essere con noi. Avvocato di professione, artista per passione. Raccontaci un po’ questo tuo percorso artistico così alternativo alla professione che svolgi.

Grazie Ombretta per lo spazio che mi stai dedicando. In effetti ufficialmente sono un avvocato ma la giurisprudenza, a dire il vero, non è né la mia prima, né tantomeno l’unica passione.

Ho sempre avuto, sin da bambino, la passione per l’arte e la poesia, poi le traiettorie insondabili della vita mi hanno portato verso la professione forense.

Sono diventato quindi, da adulto, un civilista che si occupa prevalentemente di diritto commerciale e tributario, i settori professionali che appaiono più aridi e meno affascinanti…

Forse per reazione uguale e contraria sono anche diventato un pittore e difatti, nel tempo libero e nei fine settimana, mi dedico quasi completamente all’arte.

Kubla-Khan (2022)

Le tue opere combinano spesso colori intensi e strutture quasi scultoree. Da dove arriva questa scelta?

La mia scelta mi è stata indicata dal mio percorso di vita, quasi fin dalla nascita, direi. In me si combinano varie “etnie”, infatti mio padre è lombardo e mia madre calabrese, con ascendenze albanesi.

Da bambino, vivendo in un piccolo paese della provincia di Lecco, ero trattato come un “extracomunitario” e solo da adulto ho iniziato a prendermi qualche rivincita.

Inoltre, visto che a scuola me la cavavo bene in quasi tutte le materie, mi è stato consigliato di frequentare il liceo scientifico, mentre la mia vera aspirazione sarebbe stata il liceo artistico…

L’intensità dei miei colori, la scelta materica, è una plastica e personale rappresentazione di questi forti contrasti.

Hai diverse opere dalle forme radiali, quasi esplosive, e una tavolozza dominata da blu e grigi argentei e anche da contrastanti aranci e rossi. Ti piace la forza delle forme e dei contrasti cromatici?  

Le forme per me hanno un’importanza fondamentale, soprattutto in questo specifico momento del mio percorso artistico, approdato all’astratto.

Ritengo che il valore assoluto della bellezza non possa essere volgarizzato in opere informi, indefinitamente, o per meglio dire astrattamente, “concettuali”: ci sono dei canoni universali che devono essere necessariamente rispettati, canoni che ci sono tramandati dalla Natura da tempo immemore.

Le proporzioni, la sezione aurea, la geometria, le possiamo ritrovare in natura nelle sue varie rappresentazioni, minerali, animali e vegetali… che ci suscitano nell’essere umano meraviglia e passione, in due parole, ”emozione estetica”.

Perciò I miei astratti rispettano determinate forme: poligoni regolari con lati dispari (triangolo, pentagono, eptagono…. endecagono) laddove accentuo la prevalenza dell’elemento maschile; cerchi, laddove è prevalente il femminino.

Adoro la neve ed il ghiaccio…. Il blu e le sue molteplici e preziose sfumature…  per le ombre del ghiaccio e della neve prediligo l’arancio.

Le tue tele sembrano quasi costruite più che dipinte. Quali materiali utilizzi?

Ho iniziato a dipingere olio su tela, ma, approdando all’astratto, sto cercando di superare le classiche dimensioni della classica pittura ad olio…

Quindi, per rendere maggiormente effetti tridimensionali ed anche esoterici, nei miei ultimi astratti ho utilizzato anche cartoncino, legno e vetro.

Ci sono degli artisti che ti hanno influenzato nella tua formazione artistica?

Il mio maestro a livello tecnico è stato Vittorio Martinelli, pittore iperrealista lecchese, recentemente scomparso, che amava definirsi “pittore manzioniano”.

E’ stato un maestro di tecnica, tanto è vero che, frequentando le sue lezioni, ho appreso e consolidato l’arte della pittura ad olio.

Ho poi avuto una evoluzione differente, dal momento che ritengo tutt’ora il fine ultimo dell’iperrealismo abbastanza “disumano”, ossia il voler competere, sotto il profilo della tecnica, con le “macchine fotografiche”, superate talvolta dagli attuali “smartphone”.

Ho quindi abbandonato l’iperrealismo, fondando una mia personale corrente che ho chiamato “Modificazionismo” Isac Newton ha introdotto per primo il concetto di “Modificazionismo”, ma il paradosso è che questa concezione ha avuto poco seguito nella scienza (che difatti diverrà sempre più “oggettiva”) e meno “percettiva”) ed ancor meno nell’arte.

La mia personale e, credo oggi originale, idea di Modificazionismo è che l’anelito dell’artista è il recepire, senza volerle deformare, le forme universali della Natura e tradurle in “poiesis”, ossia poesia, secondo la sua personale sensibilità; per questo motivo le forme che mi ispirano sono quelle delle montagne e delle donne.

La Natura infatti, che si manifesta secondo le regole della Proporzione Aurea, ci dona le forme nella sua essenza… Sta all’artista reinterpretarle poeticamente attraverso la luce, i riflessi e le rifrazioni della sua anima.

Secondo la mia estetica l’artista non deve deformare la forma già perfetta, proprio perché naturale… L’unica modifica che gli è consentita, per come la vedo, è quella della percezione sensoriale del colore, delle sue sfumature e delle ombre, che traducono le emozioni. In questo sta l’essenza del mio Modificazionismo.

Luna nera (2022)

Dove trovi ispirazione per le tue opere? 

Dalla Natura e dalla Donna… La Natura come fonte primaria delle emozioni estetiche, e dalla Donna, mediatrice privilegiata tra Uomo e Natura.

Slegata dalla natura, ritengo che l’arte sia teoria, o peggio ancora, provocazione fine a se stessa, per dirla come i greci, mera “mimesis” ossia imitazione, in contrapposizione alla “poiesis” ovvero la creazione artistica.

Di recente hai esposto al Salone internazionale dell’arte contemporanea a Parigi, alla Business Art Fair. Cosa ti ha lasciato questa tua partecipazione ad un evento così prestigioso?

E’ la prima volta che ho esposto all’estero e addirittura a Parigi, nella vetrina, credo più importante, dell’arte contemporanea.

Non posso quindi che ringraziare chi ha avuto fiducia nel mio talento per la prestigiosa opportunità che mi ha offerto e per tutte le persone che ho avuto modo di incontrare e conoscere;

non da ultimo per i numerosi contatti, con galleristi francesi, per la diffusione far conoscere le mie opere e, soprattutto, la mia filosofia estetica.

 Cosa speri che il pubblico colga dalle tue opere?

Questa è la domanda sicuramente più impegnativa…Più che una speranza è un augurio… Mi piacerebbe che chi si interessasse alle mie opere non si limiti solo alla prima percezione, ma abbia il piacere e la volontà di soffermarsi, di riflettere, e di porsi una domanda fondamentale “Quanto è vera la storia che ci hanno insegnato?”

 Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Il mio prossimo e più impegnativo progetto è una personale che sto organizzando presso la sede del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecco nel marzo 2026, in occasione del mio compleanno, in modo che tanti colleghi che non mi conoscono sotto il profilo artistico, possano apprezzare che, oltre l’avvocato, c’è ben altro…

Sta però al singolo voler dubitare, osare, voler conoscere…, emozionarsi ed emozionare. Come ha scritto Nietzsche “Quanta verità può sopportare, quanta verità può osare un uomo?” E quanta bellezza, quanta emozione?

Ombretta Del Monte.

 

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