venerdì, 8 Novembre, 2024 3:56:31 AM

Alessandro Parise: “Tutto può accadere se ci credi”

di Elisabetta Lamanna.

“TUTTO PUO’ ACCADERE SE CI CREDI” è la frase cantata da Mary Poppins e da tutti gli altri personaggi, insieme a Mr. Banks, personaggio principale, interpretato magistralmente da Alessandro Parise nel Musical Mary Poppins, con la regia di Federico Bellone. É anche la frase che ha connotato la carriera del talentuoso protagonista del Musical. Alessandro Parise è nato a Bari e vive da anni a Roma, dopo la laurea in Economia e Commercio,   da quando ha scelto di intraprendere la carriera di attore teatrale. La sua forte passione per il teatro l’ha  portato  a formarsi e a lavorare con diversi famosi e importanti registi e attori Italiani quali: Gabriele Lavia, Giorgio Albertazzi, Michele Placido, Massimo Ranieri, Beppe Barra, Alessandro Haber, Riccardo Garrone, Irene Papas, ecc. Ha interpretato anche alcuni ruoli principali nelle opere teatrali classiche come, per citarne qualcuna, l’Amleto del regista Patrizio Cigliano o come l’opera teatrale Romeo e Giulietta per attore solo e pianoforte, di Paolo Panaro, in cui Parise  peraltro ha interpretato tutti i personaggi, o il Duca di Cornovaglia nel Re Lear con la regia di Michele Placido. L’estro di Alessandro Parise non si limita solo all’arte del teatro di prosa, ma spazia anche dai musical al cinema e alla televisione, come attore in telefilm, miniserie e film per tv, sino alla pubblicità e al doppiaggio. Ma la sua versatilità non finisce qui, è anche docente di recitazione alla scuola Mtda Musical Academy, lettore eccellente di audio libri per adulti a cura di Audible Studios Italia  che è rappresentata da Dario Picciau, per la società Librivivi. Alessandro Parise è stato, inoltre, premiato per la miglior interpretazione poetica, con il Premio Più Luce al Vittoriale degli Italiani. Spirito eclettico, Alessandro Parise è anche appassionato, oltre che di altri sport, soprattutto di scherma olimpica, atleta agonista, istruttore regionale alle tre armi, la cui dedizione è nata in seguito alla conoscenza della scherma scenica. Alessandro Parise è un uomo che si misura di continuo con le sue molteplici potenzialità in svariati ruoli attoriali che lo arricchiscono professionalmente e umanamente, rendendolo unico e sempre più talentuoso. Condividiamo con lui questo straordinario percorso artistico.

                                          Alessandro Parise.

Non deve essere stato facile per lei intraprendere questo percorso artistico-professionale, in una città come quella di Bari degli anni ’90, che non offriva molte opportunità ai giovani, nel campo teatrale. Ci racconti come si è realizzato il suo sogno.

Bari è una città che, vista dall’esterno, risulta agli occhi dei più un’isola felice che permette di avere una qualità della vita molto alta e, essendo in Italia un polo commerciale strategico, ti consente di affacciarti a svariati scenari lavorativi. Purtroppo, però, la cultura non è mai stata messa al primo posto e non ha mai avuto la giusta considerazione e il giusto spazio che merita in una città che da sempre è considerata la porta dell’Oriente e che dovrebbe vivere di un fermento culturale enorme e procurare infinite chance a tutti coloro che hanno voglia di sognare e di emozionarsi. Spazi virtuosi esistono da sempre come il Petruzzelli, il Teatro Piccinni e il Teatro Margherita. Ma, nonostante la loro importanza storica, non sono stati mai sufficienti a far diventare Bari un fiore all’occhiello della cultura nazionale, se non per un breve periodo negli anni ‘80 con Azzurro promosso da Vittorio Salvetti. Persone lungimiranti e ambiziose ci sono sempre state e menti brillanti non sono mai mancate, ma ho sempre la sensazione che facciano parte di un élite che non avvicina la cultura alla massa, che inevitabilmente la snobba per ignoranza o per pigrizia. Bari è la città che mi ha cresciuto e mi ha forgiato, che mi ha insegnato a muovere i primi passi anche nella formazione teatrale. La forte passione ostacolata a più riprese da mio padre, molto razionale e ancorato agli standard tradizionali del lavoro, ai ritmi del quotidiano e allo stile di vita a volte imposto dall’ambiente sociale, mi hanno comunque spinto a cercare una dimensione che mi desse la possibilità di confrontarmi con il mio istinto artistico per testare il mio talento. Questa possibilità me l’ha data il Kismet Opera che dagli anni ‘80, quando ero ancora bambino, ha saputo accendere, nel suo piccolo, la nostra città, spostando il teatro dal suo luogo deputato e permettendo a tutti di sognare con drappeggi e luci e facendoci scoprire un mondo incredibile di immaginazione a cui mi sono avvicinato con grande trepidazione. Ma questo non poteva bastare perché sapevo che gli sbocchi lavorativi sarebbero rimasti scarsi se fossi rimasto radicato sul territorio. Invece, dopo 4 anni di laurea in Economia e Commercio, a 24 anni appena compiuti, per volontà di mio padre e per propensione mia nelle materie scientifiche, sono partito alla volta di Roma per frequentare un’Accademia teatrale privata e per affacciarmi al mondo professionale che vedeva in Roma la base principale per tutti i contatti lavorativi legati al mondo dello spettacolo. Quello è stato il mio trampolino di lancio che mi ha aperto tutte le strade.

“IL MALATO IMMAGINARIO” nel ruolo del Dott. Fetus. Regia di G. Lavia (2011).

Lavorare con i migliori registi è sicuramente stata una grande esperienza sia sul piano umano che su quello attoriale. Qual è stato il regista che la ha arricchita maggiormente?

Ogni artista di rilievo che ho incontrato mi ha regalato un ricco bagaglio culturale e mi ha dato struttura, ma uno su tutti mi ha fatto respirare il vero teatro e mi ha dato un forte imprinting per tutte le esperienze che sono seguite: Gabriele Lavia. Grazie a lui ho imparato ad avere una visione del palco completamente diversa, ad approcciarmi in maniera più intensa allo studio dei personaggi che interpretavo in scena e a calcare i palchi più importanti d’Italia. Sono stato al suo fianco per tre anni, portando in scena, con la sua regia, due spettacoli: “Macbeth” e “Il malato immaginario”, con due allestimenti scenici straordinari e unici nel loro genere che esaltavano le sue qualità registiche e attoriali, ma che evidenziavano una coerenza dettata da uno studio maniacale delle scene, dei costumi e dell’interpretazione. Essi esaltavano anche il suo altissimo gusto estetico che mi ha fatto capire dove gli altri a seguire, a volte, commettevano errori grossolani per scarsa visione registica, mediocrità e probabilmente per aridità culturale. Gabriele è un regista molto esigente, che sa raccontare in modo magistrale le storie che rappresenta e riesce ad incantare il suo pubblico portandolo per mano nella sua dimensione teatrale che oggi rimane unica in Italia.

“MACBETH” nel ruolo di Ross. Regia di G. Lavia (2008-2009).

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Emozioni e messaggi.

Oltre al teatro lei si è messo in gioco in altre attività artistiche attoriali, secondo lei in quale modalità pensa si possano trasmettere, in modo più efficace, emozioni e messaggi?

Per trasmettere emozioni bisogna renderle universali e viverle con un certo distacco, con un occhio esterno, perché il pubblico possa riconoscerle e identificarsi. Il gioco del teatro è il gioco dell’“Aletheia”, come la chiamavano i greci, il gioco dello svelamento. Sveliamo il mistero dell’uomo come fossimo in uno specchio in cui ci si può riflettere per cogliere tutte le sfumature della propria anima, nel bene e nel male. Questo, inevitabilmente, porta chi lo guarda a continui spunti di riflessione e di valorizzazione del proprio mondo interiore e sociale. La morte del teatro, imposta da questi tempi bui, non fa altro che annullare le menti e renderle più ottuse che mai, annebbiate da una totale assenza di spirito critico che ci fa piombare nel nichilismo più squallido, che sposta l’attenzione su tutto quello che non ha valore e che si riduce a triste pragmatismo materialistico. Ma questo come può saziare la sete della nostra anima?

Lei è stato anche il coproduttore e il protagonista principale, nel ruolo di Petruccio, di un Musical (regia di Patrizio Cigliano) per ragazzi delle scuole di Bari, che ho avuto il piacere di vedere al Teatro Team, dal titolo “la Bisbetica Domata”, in chiave del tutto moderna. Cosa l’ha gratificata maggiormente in questa esperienza?

L’esperienza di Bisbetica nasce da un’esigenza di portare avanti una progettualità nata in seno ad un bisogno istintivo di trasmettere la mia passione a tutti coloro che volevano avventurarsi nel mondo del teatro. Volevo avvicinare i ragazzi al mio mondo, farli sentire vivi, stimolarli con qualcosa che non fosse la formazione sterile che spesso e volentieri abbiamo ancora oggi nelle scuole. Se poi pensiamo alla DAD di oggi, mi preoccupo seriamente per loro. Volevo invitarli a pensare in autonomia e a sviluppare e coltivare le loro passioni attraverso la conoscenza dei grandi testi classici shakespeariani e non solo. Ma non volevo farlo in modo respingente, proponendo il solito spettacolo…con il mio amico Patrizio abbiamo pensato che Petruccio, il domatore della Bisbetica, e tutto il contorno della scena dovessero avere un’anima pop, una nuance fresca e un gusto che fosse vicino ai giovani. Il risultato è stato incredibile. I ragazzi, più di 2000 raccolti nella struttura del Teatro Team di Bari, hanno accolto lo spettacolo in modo sorprendente con ovazioni mai più avute in modo così schiacciante, se non forse nel musical di Mary Poppins. Era uno spettacolo musicale anni ’80, con musiche riconosciute da tutti per la loro popolarità che delineavano, perfettamente, i vari passaggi della storia. Grazie a questo spettacolo ho potuto creare una fitta rete di collaborazioni con la scuola che mi hanno riempito di soddisfazioni e gioie.

“LA BISBETICA DOMATA” nel ruolo di Petruccio.  Regia di P. Cigliano (2011).

Tra tutti i ruoli che lei ha interpretato, sia a teatro che nel cinema o nelle serie televisive, in quale si è identificato maggiormente?

Un personaggio straordinario è stato, senza dubbio, Amleto, che mi permetteva di scandagliare l’animo umano a tutto tondo e di esprimermi al massimo, con i miei virtuosismi fisici. Ma il personaggio che rimarrà sempre nel mio cuore è stato Mr. Banks, nel musical di Mary Poppins, musical premiato con il biglietto d’oro e portato in scena per tre anni tra Roma e Milano. Un personaggio che qualche anno prima non avrei mai pensato di interpretare, ma che invece mi ha arricchito professionalmente e umanamente.

 

“AMLETO” nel ruolo di Amleto. Regia di P. Cigliano (2014).

Quindi il ruolo di Mr. Banks per lei è stata un’esperienza molto significativa. Quanto lei si è nutrito del personaggio e quanto questo lo ha cambiato interiormente?

Mr. Banks ha richiesto una preparazione molto lunga e difficile, sia a livello interpretativo che fisico. Le prove sono durate un mese e mezzo e le repliche sono state portate avanti per ben tre anni. Mi sono nutrito di questo personaggio, ma anche lui si è nutrito di me, direi che mi ha anche prosciugato trasformando anche il mio fisico, per via dello stress e delle continue sollecitazioni a cui ero sottoposto. Dovevo lavorare sodo, perché il confronto con il film di Stevenson del ’64 era inevitabile, essendo entrato nel mito per il mondo intero. La riscrittura era incredibile, il realizzatore nella persona di Cameron Mackintosh, ha fatto un lavoro di riscrittura commovente, riuscendo a riproporre la storia in una dinamica rispettosa dell’originale ma anche del tutto nuova, più fedele ai libri della Travers e Federico Bellone, il regista italiano, è riuscito a rielaborarlo ancora, rendendolo a volte anche più bello della versione inglese. Tutti noi siamo stati inglobati in una macchina perfetta, che ci faceva volare ogni sera a 10 mt. da terra. Il nostro gruppo ha contribuito a rendere questo spettacolo unico. Il pubblico era talmente coinvolto da rimandarci delle emozioni indescrivibili, che si infrangevano su di noi a fine spettacolo e ci davano una carica che, sono certo, non proveremo più in questo modo in tutta la vita. Ho vissuto un sogno incredibile, un sogno che mi ha fatto scoprire ancora altre emozioni che non pensavo potessero riempirmi così tanto.

 

“MARY POPPINS” nel ruolo di Mr. Banks. Regia di F. Bellone (2018-2019).

L’arte del doppiaggio.

Il massimo della sua espressione artistica è il doppiaggio? Fare il doppiatore è un’arte abbastanza difficile perché si lavora soprattutto con la voce per dare espressività ad un altro attore che recita sul set. Oltre alla voce, quali altre parti del corpo vengono interessate per rendere completa l’espressività vocale nel doppiaggio e quanto della sua interiorità viene messa in gioco?

Il doppiaggio non è il massimo della mia espressione artistica, ma sicuramente è un percorso della mia formazione, indubbiamente fondamentale per la mia carriera attoriale. Mi completa, affina le mie competenze, il mio orecchio e la mia tecnica recitativa spostandola su una forma di linguaggio più sofisticata e dotata di regole e convezioni ferree che vanno rispettate rigorosamente e vanno applicate in tempi strettissimi, mettendo alla prova la mia capacità di adattarmi alle situazioni e di raggiungere un obiettivo in pochi passaggi. Per fare doppiaggio bisogna essere dotati di una tecnica perfetta, di una dizione perfetta e di ottimo ritmo interno che deve adattarsi alla recitazione dell’attore che si doppia. Contrariamente a quello che si pensa in genere non è solo un lavoro tecnico, ma anche emotivo. Per indossare i panni di un personaggio bisogna viverlo in tutte le sue sfumature, bisogna seguire il suo percorso emotivo affidandosi, dove possibile, alla bravura dell’interprete originale.

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             Federico Bellone                                    Patrizio Cigliano

A quale tipologia caratteriale di personaggio le piace prestare la sua voce? 

Mi piacciono i personaggi introspettivi o personaggi di grande estro. Devono avere, al loro interno, varie sfumature. Trovo che, in generale, gli antagonisti siano quelli che danno più soddisfazione. Mi diverte molto doppiare i cartoni animati e amo i documentari. Mi piacerebbe doppiare un grande kolossal americano.

Come è nata la sua grande passione  per la scherma olimpica ?

La scherma ho iniziato a praticarla a vent’anni con la scherma scenica, grazie al mio primo maestro d’armi Virgilio Ponti, che è stato un grande stunt-man di Hollywood.  É stato lui a scoprire il mio talento e a spingermi a coltivarlo, portandomi anche su dei set cinematografici come giovane stunt. Però, nel 2013, durante la messa in scena di Amleto, con la regia di Patrizio Cigliano, dove interpretavo il protagonista duellante, ho incontrato il mio mentore Dario Spampinato, che mi ha fatto scoprire la travolgente passione per la scherma olimpica, che pratico ancora oggi a livello agonistico come master partecipando a gare nazionali e internazionali. La voglia continua di superamento dei miei limiti mi ha permesso anche di studiare per prendere il titolo di istruttore regionale alle tre armi. Sì, perché le armi della scherma sono tre e molti non lo sanno. Fioretto, sciabola e spada. E ogni disciplina ha regole molto diverse e anche le armi sono diverse per forma, peso e utilizzo. La pandemia, fortunatamente, non mi impedisce di praticarla perché il Governo ha permesso agli atleti di continuare ad allenarsi. La carica che mi passa la scherma mi permette di mantenere altissimo il mio stato vitale che, altrimenti, per questa stasi generale, sarebbe probabilmente molto basso.

“Re Lear” nel ruolo del duca di Cornovaglia di M. Placido ( 2014)

Questo sport, così raffinato, le apporta miglioramenti sulla scena e viceversa?

Come può uno sport così elegante, pieno di storia e tradizione che affonda le sue radici nel passato ed è stato al servizio dell’interpretazione di tanti personaggi entrati nel mito, non aiutarmi sulla scena? Stare in scena vuol dire controllare lo spazio, gestirlo, stabilire rapporti di azione e reazione con i propri compagni di scena. Tutto questo si ritrova perfettamente e meravigliosamente nella scherma olimpica. Devo studiare il mio avversario e capire i suoi movimenti e mettermi in relazione con questi. La scherma ti dà anche portamento e dirò di più la guardia di scherma, la posizione dei piedi a squadra, è stata utilizzata e applicata in teatro per il rapporto con il compagno di scena e il rapporto di apertura con il pubblico.

Come affronta la vita? Di piatto, di taglio o di controtaglio? Ci spieghi…

Questa domanda mi fa sorridere, perché la sciabola è la mia arma d’eccellenza. La amo profondamente,  perché devi prendere decisioni in pochissimi secondi per andare a bersaglio. É esattamente così che vedo la mia vita. Penso che bisogna pensare in fretta e agire in fretta per attaccare la vita prima che la vita attacchi te. E io cerco di colpirla, con tutta l’energia che scorre nel mio corpo, di taglio, di controtaglio, di punta e di piatto come la sciabola. Ma cerco di farlo con la giusta scelta di tempo, come quando in pedana bisogna scegliere il tempo giusto per attaccare o per difendersi dall’avversario. Tempo, velocità e misura sono le regole perfette per la pedana ma anche per la vita. Cerco di non dimenticarlo mai!

 

               Michele Placido                                        Gabriele Lavia

 Qual è la sua massima aspirazione artistica?

Interpretare un film con un artista internazionale è il mio sogno nel cassetto, la mia massima aspirazione artistica è riuscire a realizzare varie produzioni itineranti che possano uscire dai teatri, che possano vivere in spazi non convenzionali. Produzioni di forte impatto visivo, ma di grande contenuto.

La carriera dell’attore.

Il suo talento, tanto studio, applicazione, tenacia, fortuna l’hanno condotta a vivere maggiori esperienze nell’ambito attoriale, fino ad arrivare ad alti livelli artistici, cosa suggerirebbe ad un giovane che vorrebbe affacciarsi alla carriera di attore teatrale o cinematografico o al doppiaggio?

Gli direi di essere sempre curioso, di avere sempre fame di conoscenza, di sorprendersi e sorprendere, di non essere mai convenzionale come diceva Steve Jobs, perché solo così si può fare breccia nel cuore e nella mente di qualcuno. Bisogna essere unici, come siamo, per catturare l’attenzione e diventare parte di un racconto e di essere i creatori di quel racconto. Comunque ci si arrivi si dovrà farlo credendo sempre in se stessi, perché quello dello spettacolo è un mondo complesso e pieno di ostacoli. Oggi viviamo in una società fatta solo di apparenza e per la società vai bene solo se sei particolarmente bello o particolarmente seguito. Io vorrei dire ai ragazzi: ”Siate un modello da seguire, siate un motivo per ispirare gli altri, ma fatelo riempiendovi di contenuti, perché quando l’involucro avvizzirà rimarrà ben poco di voi nella memoria degli altri”.

Cosa pensa della situazione del teatro in questo tempo di fermo a causa della pandemia?

C’è solo da riflettere sul fatto che chi è al potere sta annegando nella cupidigia e nell’ossessione del comando, con l’alibi della pandemia, ma perde di vista che la cultura è il cuore pulsante della società, messa come un esiliato al confino. Questa società appassirà lentamente e si ripiegherà su se stessa se non farà qualcosa di serio per recuperare questo periodo nebbioso. E cosa potremo raccontare a chi verrà dopo di noi? Che il 2020 e il 2021 sono stati gli anni in cui abbiamo fatto i funerali alla vita e non ne porteremo nessuno memoria se non del triste affossarsi della società? Credo che ci sia un problema oggettivo: Il Covid. Che vada affrontato seriamente. Ma credo che ci sia una scarsa coscienza sociale, alimentata dall’ignoranza politica, che non è stata capace di istruire le persone in modo sensato e che abbiano stabilito un clima di terrore, che è sfociato in una ben più grave negligenza da parte della popolazione, impigrita e sfiduciata. Se le persone fossero previdenti i problemi si ridurrebbero all’osso. Ma, ahimè, non lo sono. Vedo ancora gente in giro con mascherine indossate male o non indossate, che non rispettano le distanze. Non c’è coscienza di una collettività. Ognuno vive nel mero interesse personale. Il teatro non sarebbe causa di contagi. Lo sono molto di più i supermercati,  dove la gente si affolla senza attenzione e dove nulla viene disinfettato. Cosa posso dire di più? Il resto è silenzio.

In questo periodo di lockdown riesce a svolgere qualche attività? Ci sono progetti prossimi?

Per fortuna, non mi fermo mai. Non potrei. Chi si ferma è perduto. Intanto doppio come sempre, anche se il mercato del doppiaggio come quello del cinema ha avuto un’inevitabile flessione. Poi stiamo cercando di organizzare, tra una zona rossa e un’autocertificazione, una mini tournée siciliana in posti unici per la loro storia teatrale. Lo spettacolo è “La discesa infinita” con la regia di Paola Veneto, tratto dal romanzo di Giordano Bruno Guerri. “Follia? Vita di Vincent van Gogh”. La tournée è confermata ma ovviamente è subordinata alle potenziali chiusure delle regioni.  Sarà nella prima settimana di Agosto e rappresenteremo lo spettacolo in posti come Segesta, Erice, Lipari, Catania, Taormina. É uno spettacolo nato da un’idea di Paola, che ha curato la scrittura della messa in scena, dando lustro al meraviglioso romanzo del marito Giordano, che mette in dubbio la Follia di van Gogh, considerato un rifiutato della società. La forza della storia è tutta nelle parole di Vincent, scambiate con suo fratello Theo, attraverso tutte le lettere scritte nella sua vita. Van Gogh era uno scrittore straordinario e attraverso di esse fa breccia nei cuori del pubblico, con la stessa forza delle sue pennellate. La sua fragilità di uomo che non è stato capito dalla società, ci spezza in due e ci commuove e ci invita a riflettere oggi più di ieri, perché anche noi artisti ci sentiamo esiliati come lui, ma “…sempre la vista delle stelle ci fa sognare…”. Giordano Bruno Guerri e Paola Veneto sono la nostra luce in un mondo che si aggrappa ferocemente alla speranza di una rinascita culturale. Sbracciano e si affannano, in un paese che arranca e che continua a negarci il piacere di tornare ad emozionarci, davanti ai puntini neri di una carta geografica, come faceva van Gogh. Gli attori sono Antonio Gargiulo (van Gogh), Paola Tarantino (Sien, Mademoiselle Ravoux, narratrice), Vincenzo De Luca (Antonin Artaud), con la partecipazione della danzatrice Marta Melchiorre e la costumista e coreografa, Paola Lo Sciuto ed io naturalmente (Theo, Sartre, Gauguin, Bernard, narratore) che sono anche curatore della direzione artistica del progetto. In scena ci sarà anche lo stesso Giordano nei panni di se stesso. Le musiche sono composte e interpretate dal vivo dal nostro Giacomo Del Colle Lauri Volpi e avremo la partecipazione straordinaria di Gianmarco Tognazzi, nei panni di Toulouse- Lautrec. Giordano e Paola vivono e si nutrono di poesia e al Vittoriale degli Italiani, di cui è Presidente lo stesso Giordano, organizzano ogni anno un premio dedicato alla poesia: “Premio Più Luce”. Spero che anche quest’anno si possa tornare a godere di questo momento di ebbrezza, con l’organizzazione del Festival Tener-a-mente di Viola Costa, che prevede un programma fitto di appuntamenti musicali di rilievo internazionale.

 

         Giordano Bruno Guerri                                  Paola Veneto

È stato interessante poter scoprire il tragitto di Alessandro Parise che, grazie alla sua tenacia, perseveranza e passione per l’arte teatrale è riuscito a dar corpo ai suoi sogni e desideri e a diventare un esempio positivo e vincente per le nuove leve che vogliano iniziare qualsiasi tipo di percorso nell’ambito artistico. La ringrazio davvero tanto Alessandro Parise per la sua disponibilità e per il contributo fornito all’arte con questa intervista, auspicando che ci siano tempi migliori per tutti e per lei una futura scalata a maggiori successi.

Elisabetta Lamanna.

https://www.facebook.com/alessandro.parise1

 

 

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7 comments

  1. Alessandro è una perla rara. Professionisti come lui sono d’esempio per chi ha davvero voglia di fare qualcosa di significativo nel mondo dello spettacolo.

  2. Rosa Angela Ferrara

    Bellissimo articolo,ben strutturato e capace di rendere a chiare note la straordinaria personalità di un attore poliedrico ,dotato di una naturale vocazione alla teatralità.
    Ciò che colpisce, leggendo la lunga intervista, è non solo la grande capacità di fare,nel senso di agire, ma anche di adattarsi al mutare delle situazioni, senza mai piegarsi alle sorti di un destino avverso.
    Auguriamoci di poter rivedere Alessandro Parise al più presto sulle scene per farci godere delle sue straordinarie vocazioni artistiche che già in passato ci hanno regalato momenti magici di grande emozione e trepidazione.tanti auguri.

  3. Maria Pia Filograno

    Grazie ad Elisabetta per un’altra bella e coinvolgente intervista in cui ci presenta e, per me che vivo da anni all’estero, fa conoscere un artista così poliedrico e di così grande spessore come Alessandro Parise.

  4. Ti ringrazio Maria Pia , mi fa piacere che questa intervista ti sia piaciuta e che sia riuscita a dare luce ad Alessandro Parise, artista di indiscusso talento, merita di essere conosciuto e Artilibere, nella figura di Gianni Pantaleo, caporedattore, ha dato questa possibilità!

  5. Alessandro è bravissimo, in scena come al “leggio”. Ed è veramente bravo come insegnnate. Ha una predisposizione innata all’insegnamento, cosa che non è scontata.

  6. Riflessioni profonde da cui si evince la passione per un lavoro difficile e faticoso ma che è nutrimento indispensabile per chi,come Alessandro Parise,è sempre in cammino verso nuovi orizzonti e si nutre di tutti gli stimoli e le sollecitazioni che riesce a cogliere,attraverso la sua grande sensibilità di artista.Non ci resta che augurargli e augurarci di poter sempre più spesso godere delle sue interpretazioni e di riuscire a coronare i suoi sogni…buon vento Alessandro

  7. Sono felice di poter leggere quanto la passione per il teatro abbia portato lontano Alessandro Parise dai suoi primi passi e desideri. Avevo letto nei suoi occhi il suo ardore ,la sua empatica personalità che lo ha spinto a cercare strade e intuizioni sempre più idonee ad affermare la sua vena artistica. Complimenti Alessandro e auguri perchè si possano realizzare tutti i sogni che ancora ti spingono a affermare il tuo iter per palcoscenici e schermi con ruoli e attività sempre più coinvolgenti. Spero di poterti applaudire presto nei nostri teatri.

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