A 150 dalla morte, e a 200 anni dalla pubblicazione del Fermo e Lucia, quella di Alessandro Manzoni «fu vera gloria»?
Gli anniversari e le celebrazioni servono anche per tracciare bilanci.
Occasione preziosa per un ripensamento complessivo sul romanzo, sulle scelte linguistiche, sull’ideologica, e su tante altre cose, della vita e dell’opera di Alessandro Manzoni, in modo da dare una risposta al quesito inziale.
Alessandro Manzoni (1785-1873)
Aggiungerei un secondo interrogativo: «Un lettore di oggi può identificarsi con Lucia, o con Renzo, anaffettivi e rinunciatari su tutto?»
La risposta è no. Il romanzo di Alessandro Manzoni va consegnato alla storia (dell’Ottocento), in quanto opera totalmente estranea alla sensibilità e ai bisogni educativi odierni.
Nulla (o quasi), inoltre, ha più da dire e da dare anche sotto il profilo culturale, sociale e politico (visto che, nelle sue pagine, l’unico atteggiamento consentito è quello della supina – e cristiana – accettazione del destino, della rassegnazione, della fiducia nella sola provvidenza divina).
Nelle pagine del romanzo, Manzoni sostiene che ribellarsi è ingiusto e dannoso. Tutto ciò che Renzo fa a Milano, infatti, seguendo la folla, è sbagliato.
Nulla (o quasi), infine, quel romanzo ha più da dire e da dare a un lettore contemporaneo anche sotto il profilo linguistico e letterario.
Per la stesura definitiva del romanzo, Manzoni fece ricorso all’utilizzo del fiorentino, espungendo da essa la vivacità, i colori e le visioni multi-prospettiche delle altre parlate d’Italia.
Altro che gloria nazionale e padre della patria e della lingua italiana.
Manzoni fu maestro di qualunquismo e di opportunismo, da non leggere, e da non proporre più nelle scuole, per contrastare, finalmente, la diffusione di quella cultura del disimpegno civico e del calcolo di convenienza di cui fu campione.
Renzo e Lucia
Cittadinanza attiva, attraverso la letteratura, e partecipazione democratica richiedono, oggi, ben altri Maestri, che il Gran Lombardo, prudente fino all’ignavia.
Forse, oggi, un ritorno a Manzoni è possibile, a patto, però, che lo si legga attraverso le ri-scritture in chiave pop.
Tornare a Manzoni senza le (troppe) incrostazioni retoriche e nazionalistiche che su di lui si sono, via via, sedimentate.
Meno piazze, meno strade, meno scuole a lui intitolate; meno nazionalismo e meno musealizzazione della sua opera e del suo pensiero, e più lettura.
Sono convinto che Manzoni vada restituito a sé stesso, al suo mondo pre-risorgimentale e risorgimentale, cattolico e conservatore, senza manipolazioni e/o strumentalizzazioni.
Non dev’essere più tirato per la giacchetta, da destra e da sinistra (e, oggi, da parte della cultura leghista, che vuol farne un vessillo anti-nazionale).
Manzoni va liberato dal manzonismo, in modo da recuperare, in una prospettiva storica, la complessità e l’autenticità della sua opera. Anche le sue forti contraddizioni.
Il pop, dal fumetto, al romanzo, dalla canzone, alle parodie, dalle sit-com, ai gadget, tutto può essere utile, purché si torni a leggerlo non più come il Nume della Patria, ma come un esponente della cultura dell’Ottocento italiano, ricollocandolo nello scaffale del suo secolo, tra Silvio Pellico, Ludovico di Breme, i fratelli Verri, e tanti altri.
Nulla di più. Ma anche nulla di meno.
Giuseppe Gasparro.
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