di Gianni Pantaleo.
Al di sopra dell’imperante protagonismo che attraverso i mass media, invadono i nostri occhi, c’è chi con discreta presenza, dimostra che una luce su di sè, ha ragione di migliorare sè stessa.
Prima di brillare per gli altri, Raffaella Piscitelli, che conosciamo col nome con il quale desidera sia presentata, Juicy Raffy, illumina la sua interiorità di artista che si manifesta con il canto.
Raffaella canta. Le note, i testi, le sue interpretazioni, sono i suoi stati d’animo che coraggiosamante, esprime senza timore di essere giudicata.
Ci vuole coraggio. Molte, molti, sono i giovani che reprimono i loro umori, le loro paure. Forse vittime dei tantissimi luoghi comuni che isolano chi non ha quelle capacità espressive che sono l’esibizionismo.
Capacità? Ma no! The self celebrations sono le uniformità di massa. Senza offesa: il gregge. Mettiamola così: forse siamo tutti un po’ pecore. Nel gregge ci siamo tutti. Ma Juicy Raffy, probabilmente ha il mantello nero.
Il che, nel gregge, la distingue e la rende unica nel caos degli “artisti” che vediamo e ascoltiamo tutti i giorni. Conosciamola meglio.
La sua vocazione e l’indole artistica, nascono ed sono professionalmente coltivate, in una delle accademie che meglio preparano gli artisti dello spettacolo di Bari: l’Accademia Unika. Un remind delle sue prime lezioni. Grata a quel maestro o quella maestra che ha creduto in lei. Può dirci chi è?
L’Accademia Unika ha rappresentato per me un vero e proprio trampolino di lancio. È lì che ho mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo.
Parlare di un singolo insegnante sarebbe riduttivo, perché in questi anni di formazione ho avuto la fortuna di incontrare molti maestri, ognuno dei quali ha contribuito, a suo modo, a plasmare la persona e l’artista che sono oggi.
Ho iniziato il mio percorso a Unika nel 2015, dedicandomi inizialmente al teatro per i primi due anni. Giacomo Dimase e Giacomo Dimase, i miei primi insegnanti di recitazione, sono stati i primi a credere in me, a vedere in Raffaella qualcosa che io stessa non riuscivo a percepire.
Durante il mio primo anno, in occasione dello spettacolo di fine anno, mi affidarono la parte di voce solista in un brano del musical “Matilda”, “Revolting Children“.
Ricordo ancora l’emozione a sipario chiuso, quando il Maestro mi corse incontro per abbracciarmi, esclamando: “Piscitelli, devi assolutamente andare a X-Factor!”.
In quel preciso istante, ho compreso quale fosse la mia strada: il palcoscenico, il canto…
Sarebbe ingiusto, tuttavia, non menzionare anche gli altri insegnanti che hanno contribuito alla mia crescita artistica: Anna Garofalo e Rocco Capri Chiumarulo (Teatro e Dizione), che hanno saputo tirare fuori sempre il meglio di me, sfruttando le mie potenzialità, e a cui devo molto della mia formazione personale.
La Maestra Francesca Chimienti (Danza, Hip-Hop), con cui ho studiato nell’ultimo anno, che mi ha aiutato a riappropriarmi del mio corpo, soprattutto dopo il periodo difficile del disturbo alimentare, e che è riuscita a farmi esprimere al meglio, nonostante non avessi mai avuto una vera e propria esperienza nella danza.
E, naturalmente, non posso non citare la direttrice di Unika, Sabrina Speranza, che ha coordinato l’intero percorso, supportandomi e sopportandomi con infinita pazienza.
Da lì, fiducia, passione, dedizione e soprattutto studio. Lo ascoltiamo nel brano “Briciole”. La sua voce è straordinariamente un susseguirsi di melodic words. Uno strumento vocale che interpreta lo stato d’animo. Un bel canto, insomma. Cantare quindi è interpretare. E’ così?
Assolutamente sì. Cantare non è solo una questione di tecnica vocale, ma anche di interpretazione: la voce è uno strumento potente per comunicare emozioni.
La tecnica vocale è al servizio dell’interpretazione, è fondamentale per poter esprimere appieno le proprie capacità interpretative.
Ma l’arte vocale va ben oltre la semplice produzione di suoni, e in un’epoca in cui l’attenzione sembra concentrarsi sui tormentoni radiofonici, rischiamo di dimenticare l’essenza stessa della musica: un veicolo di emozioni e messaggi profondi.
Oggi più che mai, avvertiamo l’urgenza di voci sincere, di interpreti che portino con sé storie di vita vissuta, capaci di risuonare nell’anima di chi ascolta.
Spero che il mio brano “Briciole” riesca a incarnare questa autenticità. Nato dalla mia lotta contro l’anoressia, “Briciole” è il racconto della mia rinascita.
Tra le voci delle nuove generazioni di cantanti, tra i vari talent e festival sparsi in tutta Europa, molte sono voci urlate. Cantare a squarciagola sembra essere il format giusto per avere risonanza mediatica. Credo sia un grossolano errore. Una voce si modula, si esprime, si armonizza e lei lo fa e si distingue dalla massa. Cantare è esprimere se stessi?
È vero che spesso, soprattutto nei contesti dei talent show, l’enfasi sembra essere posta sulla potenza vocale e sulla capacità di “urlare”, piuttosto che sulla modulazione, l’armonia e l’espressione più intima.
Il canto è indubbiamente una forma di espressione personale, ed è anche soggetto a mode e cambiamenti, in base allo stile che viene richiesto dal pubblico.
Tuttavia, l’espressione di sé non si limita alla potenza vocale. Può manifestarsi attraverso la delicatezza, la sfumatura, l’interpretazione e la capacità di trasmettere emozioni attraverso il controllo della voce.
Una voce delicata ma ben controllata può essere uno strumento molto più potente per esprimere emozioni complesse rispetto a una voce che urla: meno “potente” ma più “potente”.
Anche perché la capacità di creare un’atmosfera intima e coinvolgente, di trasmettere emozioni autentiche e di connettersi con il pubblico a un livello profondo può essere molto più efficace rispetto alla semplice dimostrazione di potenza vocale.
Ogni cantante ha una voce unica, un timbro particolare e una gamma di possibilità espressive. La potenza vocale è solo uno degli strumenti a disposizione del cantante.
La capacità di modulare la voce, di interpretare un brano e di trasmettere emozioni che risuonino nel cuore di chi ascolta sono elementi altrettanto importanti, se non di più, per creare un’esperienza musicale significativa, per distinguersi dalla massa e per esprimere se stessi.
Credo di averlo dimostrato durante la quinta edizione di Una Voce Da Pub, il concorso canoro che si è tenuto lo scorso anno al Joy’s Pub di Bari e di cui sono stata la vincitrice: ho portato in scena entrambe le mie anime, Juicy Raffy e Raffaella, scoprendo che la loro coesistenza è il mio tratto distintivo e trasformando la mia dualità in un’espressione artistica unica e potente.
Non mi sono limitata a eseguire brani, ma ha raccontato storie, ha evocato sentimenti, ha creato un legame.
La giuria tecnica e il pubblico hanno percepito questa autenticità, premiando la mia capacità di trasformare la musica in un’esperienza condivisa: ciò mi ha permesso di emergere durante le varie fasi del concorso.
La vittoria finale è stata la conferma che l’unicità, quando espressa con sincerità, è la chiave per lasciare un’impronta indelebile.
Questa consapevolezza non sarebbe stata possibile senza il prezioso contributo di chi ha lavorato non solo dietro le quinte, ma anche sul palco al mio fianco, in questo concorso che per me si è rivelato l’esperienza artistica più significativa della mia vita.
Ci tengo quindi a fare un ringraziamento speciale ai direttori artistici di “Una Voce Da Pub”: Marco Protano, titolare del Joy’s Pub, ideatore e direttore esecutivo del contest, e il musicista Fabio Prota, maestro concertatore.
È merito loro se “Una Voce Da Pub” non è stata solo una semplice competizione ma un’esperienza piena di bellezza collaterale.
Alla voce, le parole. Parole che lei scrive. I testi la rappresentano. Non sempre si può cantare l’amore sognato. L’amore è anche disagio. A volte non è corrisposto. Spesso finisce. Gli amori impossibili. Quanti dimenticano di amarsi?
L’amore, nelle sue molteplici forme e sfaccettature, è una musa ispiratrice per poeti, cantautori e scrittori di ogni epoca.
Purtroppo, nella società contemporanea, assistiamo a una crescente difficoltà nell’abbracciare l’amore, sia verso gli altri che verso noi stessi.
La paura di aprirsi, di rischiare la vulnerabilità, sembra aver preso il sopravvento. Troppo spesso trascuriamo l’importanza dell’amore e questa tendenza non riguarda esclusivamente le relazioni interpersonali, ma permea anche il rapporto che abbiamo con noi stessi.
La mancanza di autostima e la difficoltà nell’accettare le nostre imperfezioni ci impediscono di riconoscere il nostro valore, di vivere pienamente l’amore in tutte le sue forme.
Penso sia fondamentale riscoprire la bellezza e la forza dell’amore, inteso come un sentimento che arricchisce e dà significato alla nostra esistenza.
Dobbiamo imparare a superare le nostre paure, ad abbracciare la vulnerabilità e a coltivare l’amor proprio, riconoscendo che siamo degni di amore e di felicità.
È in questi casi che mi viene da pensare “menomale che esiste la musica”, poiché la musica ci permette di connetterci con il nostro io più autentico, di riscoprire la nostra interiorità e di trovare un senso di pace e di armonia.
La musica ci offre un’ancora di salvezza, un luogo sicuro in cui rifugiarci, ci permette di esprimere emozioni che spesso non riusciamo a verbalizzare.
Al di là dell’esibizionismo dilagante, quanto valore ha l’amor proprio?
L’amor proprio è essenziale per la salute mentale ed emotiva, permette di accettarsi con i propri pregi e difetti; è strettamente legato all’autostima, favorisce la realizzazione personale e professionale, rafforza la capacità di affrontare le difficoltà e di riprendersi dalle avversità.
Influisce positivamente nelle relazioni interpersonali, poiché chi si ama è in grado di stabilire legami più sani, di proteggere il proprio benessere, di riconoscere e allontanare le persone o situazioni tossiche.
Dunque l’amor proprio, al di là delle manifestazioni esteriori, ha un valore intrinseco e profondo che si riflette in molteplici aspetti della vita di un individuo.
“Empity”, racconta. E’ una vertigine di sentimenti. Si soffre, ci si arrabbia. Lei è leale con se stessa. Esternare il disagio emotivo non è cosa facile. Sono necessari coraggio e voglia di rialzarsi. Torniamo quindi all’amore proprio. E’ un meccanismo di sopravvivenza?
Esprimere il disagio emotivo è un atto di coraggio e un passo fondamentale verso la guarigione. Non è un processo facile, poiché richiede vulnerabilità e la volontà di affrontare sentimenti difficili. L’amore per sé gioca un ruolo cruciale in questo percorso, funge da colonna portante.
Cantare e scrivere canzoni mi permette di trasformare sentimenti come dolore, rabbia, gioia o tristezza in qualcosa di creativo e significativo.
La musica ha, su di me, un effetto catartico, mi aiuta a liberare emozioni, mi permette di elaborare traumi o esperienze dolorose.
Inoltre, scrivere testi è per me un modo per comunicare esperienze personali e trovare persone che si identificano con esse, per sentirmi quindi meno sola.
Quando ho scritto “Briciole” la musica è stata la mia cura, una medicina, la più efficace, che ha lenito le ferite dell’anima.
Con “Sotto i riflettori”, la musica ha liberato la rabbia repressa, ed è diventata un grido di protesta contro l’ingiustizia, una valvola di sfogo.
In “Empty” la musica è riuscita a riempire, appunto, un vuoto: è stata una confidente, una sorta di psicologa interiore, dove ho riversato il dolore e la frustrazione di una relazione finita, trasformando il buio in luce e riempiendo quel “vuoto”.
La musica è sempre stata per me un rifugio, un’ancora in un mare di emozioni inespresse. Fin da bambina, la mia timidezza e introversione mi imprigionavano in un silenzio che solo le note riuscivano a infrangere.
La musica è diventata il mio linguaggio segreto, un modo per dare voce ai sentimenti che non riuscivo a esprimere a parole.
La musica mi ha insegnato a comunicare, a trasformare le emozioni in suoni, a liberare l’anima dalle catene dell’isolamento.
Ogni canzone è un capitolo del mio diario interiore, un modo per dare forma ai miei pensieri più intimi e condividerli con il mondo, senza paura di essere giudicata.
Oggi, la musica continua a essere la mia compagna di viaggio, la mia confidente silenziosa, la mia ancora in un mondo che a volte sembra troppo rumoroso.
Mi ha insegnato a essere me stessa, ad abbracciare la mia timidezza e a trasformarla in una melodia unica e irripetibile: timida e introversa nella vita, esplosiva e magnetica sul palco, come un pesce fuor d’acqua che trova il suo elemento nel canto, sul palco mi sento finalmente a casa.
La mia natura silenziosa si trasforma in energia pura quando canto. Considero la musica un vero e proprio meccanismo di sopravvivenza, oltre che un atto di profondo amor proprio.
Lasciarsi andare e lei lo canta nei suoi brani, è una punizione non meritata. Ha superato l’anoressia, ha vinto la solitudine dei lockdown. Ha ingoiato l’amaro delle vicissitudini. Sono messaggi per le anime fragili?
Lo spero. Non voglio che la mia musica sia un effimero sottofondo, un brano dimenticato in una playlist. Desidero che ogni nota, ogni parola, lasci un’impronta indelebile e mi piace pensare che effettivamente le mie canzoni possano diventare messaggi di speranza e conforto per le “anime fragili”.
Come tanti altri artisti, utilizzo la musica per condividere le mie lotte, che si tratti di problemi di salute mentale, difficoltà relazionali, problemi di cuore o esperienze di isolamento, e spero di riuscire a creare un senso di connessione con gli ascoltatori che si identificano con le stesse emozioni, dimostrando anche che è possibile superare i momenti difficili.
E’ consapevole che le sue canzoni sono stimoli perché non ci si lasci andare? Direi che il suo, è un atto d’amore per i giovani… quindi: educativo.
Non ci avevo mai pensato, non avevo mai considerato che la mia musica potesse essere un faro per qualcun altro, oltre che per me stessa.
L’ho sempre vista come la mia ancora di salvezza, la mia motivazione più grande, come un modo per non lasciarmi sopraffare, per non arrendermi.
Ma l’idea che possa ispirare, motivare, persino salvare qualcun altro… mi riempie di un senso di responsabilità quasi vertiginoso.
Penso agli artisti che hanno illuminato il mio cammino, e mi viene la pelle d’oca all’idea di poter fare lo stesso.
Se anche una sola persona trovasse nella mia musica un atto d’amore, un motivo per non arrendersi, avrei realizzato il mio scopo più profondo.
La musica ha un potere immenso e mi impegno a usare questo potere con consapevolezza, per diffondere messaggi positivi, per ricordare a chi ascolta che non è solo, che c’è sempre una nota di bellezza e di coraggio da trovare, anche nell’oscurità.
La canzone come scopo di crescita. Nel tempo lei maturerà esperienza artistica e sperimenterà generi sonori. Studio e ricerca. Cambieranno i suoi obiettivi o la ricerca sella serenità interiore è un orizzonte infinito?
L’evoluzione artistica è un percorso naturale, segnato dalla maturazione dell’esperienza e dall’affinamento della tecnica. La sperimentazione di generi diversi non è solo comune, ma essenziale per una piena consapevolezza delle proprie capacità espressive.
Utilizzo la musica come mezzo per esprimere le mie emozioni e per elaborare le mie esperienze, trasformando ciò che provo in una fonte di ispirazione creativa.
In questo momento, la ricerca di una serenità interiore permea profondamente la mia vita e dunque la mia produzione artistica.
Tuttavia, riconosco la natura fluida e mutevole delle emozioni umane. La musica, in quanto specchio dell’anima, è soggetta a queste variazioni.
Pertanto, la serenità interiore non è un traguardo statico, ma un orizzonte in costante movimento, che accompagnerà il mio percorso artistico in forme diverse, adattandosi alle diverse fasi della mia vita.
In sintesi, la mia musica è un viaggio interiore, un’esplorazione continua delle emozioni e delle esperienze, spinta dalla ricerca di un equilibrio interiore che, pur essendo un obiettivo primario, si manifesta in modi sempre nuovi e sorprendenti.
Determinata sul palcosenico, trascina il pubblico dentro i suoi testi. A scriverle sono i suoi sentimenti e appare per quella che è: figlia di una generazione competitiva e straordinariamente disarmante quando si trova immersa nel meccanisco dell’inutile agonismo.
Cantando Juicy Raffy si rigenera. Rimargina e cicatrizza quelle lesioni che dell’anima non si possono vedere. Al contrario, on stage, ascolando la sua voce, c’è lei.
Gianni Pantaleo.
Ph. Gennaro Guida.