di Sabrina Briscese.
Per spezzare l’imbarazzante, e a tratti inquietante silenzio, domandai: ”Chi era quell’uomo che è ho visto prima?
Dall’aspetto mi sembrava un po’ strano.” La mia amica senza guardarmi in faccia rispose: ”Nessuno, è un operaio che verrà a montare la piscina”, ma io non ero convinta della risposta imbarazzata, e continuai a fare domande sull’argomento.
Sofia seccata, come se volesse nascondere qualcosa, rispose che era tardi e i bambini dovevano andare a dormire.
Pensai che fosse meglio far finta di niente per non essere scortese con le persone che mi avevano invitata, anche io ero stanca per il viaggio e chiesi quale fosse la mia stanza.
Effettivamente sentivo gli occhi pesanti e fui contenta di stendermi sul letto. Mi addormentai subito.
Ad un’ora imprecisata della notte mi svegliai con un senso di inquietudine.
Mi sembrava di aver sentito, non so se davvero o nel sogno, un battito di ali e un orribile stridio proveniente dalla soffitta.
Attesi di sentire altri rumori per capire se fosse stata soltanto un’ impressione dettata dalla stranezza della serata. Non udii altro, ma ero troppo curiosa di sapere cosa stesse accadendo in quella casa.
In silenzio, per non svegliare i miei amici, salii al piano superiore. Mi guardai intorno, ma non vidi nulla.
Tranquillizzata stavo girandomi per scendere quando, con la coda dell’occhio, intravidi un’ombra spaventosa, che subito sparì.
Poi sentii delle urla provenire dalla camera da letto di Sofia. In preda all’ansia mi precipitai al piano inferiore.
Vidi che era spalancata. Sentii la mia amica piangere e il marito che cercava di tranquillizzarla dicendo che tutto si sarebbe risolto, che l’uomo con il quale aveva parlato, Mikael Saltzman, li avrebbe sicuramente aiutati.
Non volli farmi vedere, ero preoccupata ma anche molto stanca, così ritornai nel mio letto cercando di
tranquillizzarmi con pensieri positivi.
La mattina seguente chiesi se anche loro avessero sentito dei rumori dalla soffitta o visto una strana ombra in casa, ma i miei amici arrossirono e risposero che loro avevano dormito bene e che non avevano né udito né visto nulla.
Io sapevo che stavano mentendo, però non sapevo perché non si fidassero di me. Per non essere una ospite scortese decisi quindi di ignorare la strana avventura della notte precedente.
Quel giorno trascorse tranquillamente. Era una bellissima giornata di sole, e con i miei amici facemmo una piacevole passeggiata per le stradine del vicino paesetto medievale.
Aveva delle viuzze molto strette e delle case antiche, ma bianche e ben curate. Era un piccolo gioiello della storia.
Pranzammo in un locale e parlammo tra noi così piacevolmente, tanto che non pensai più a quello che era successo durante la notte.
Purtroppo, mentre finivamo di mangiare, ricevetti una chiamata sul cellulare: si era creato un grande problema in ufficio e dovevo ritornare urgentemente in città.
Così, presi le mie cose, salutai la mia amica e la sua famiglia e tornai a casa, immersa nei pensieri del mio ufficio, senza più ricordare quanto era accaduto nel casolare.
Erano trascorsi tre mesi e per lavoro mi trovavo dalle parti della tenuta della mia amica. Le volevo fare una sorpresa, così decisi di andarla a trovare.
Ero in macchina, quasi all’ingresso del vialetto, quando squillò il cellulare. Era Sofia, aveva una voce spaventata e travolta dalle emozioni.
Con frasi rotte e concitate, quasi singhiozzante “ Aiutami… ho bisogno di te…. non so che fare…” “Che ti succede?” chiesi preoccupata “Parla, dimmi tutto”, ma cadde il silenzio.
Era un silenzio angosciante, sentivo solo il battito del mio cuore che mi faceva pulsare le orecchie. Poi arrivò dal telefono una voce lontana, strozzata “l’orrore… l’orrore…”
La telefonata si interruppe. Accelerai e mi precipitai lungo il vialetto alzando una nube di polvere. Uscii di corsa dall’auto ed entrai dalla porta, che era aperta.
Vidi il corpo della mia amica riverso sul pavimento, estremamente pallido come se le fosse stato tolto tutto il sangue dalle vene.
Mi avvicinai in preda all’angoscia, ma dietro al divano un’immagine ancora più spaventosa, i corpi del marito e dei tre poveri bambini.
E su uno di loro, accovacciato per il suo lurido pasto, una cosa, forse un pipistrello gigantesco, e sotto di lui una chioma di biondi capelli… “l’orrore… l’orrore…”.
Poi quella cosa girò la testa e i suoi occhi rossi come il sangue mi guardarono maligni. Fuggii in preda al terrore.
Non pensavo più a nulla, soltanto a correre per allontanarmi il più possibile da quella casa maledetta. Vagai per i campi quasi folle e solo dopo molte ore mi trovarono esausta, sanguinante per i graffi che mi ero procurata, in uno stato quasi di incoscienza.
Ora sono uscita dalla clinica per malattie nervose dove mi avevano ricoverata. Non tremo più come un tempo, udendo dei fruscii intorno a me o degli squittii dei topi che rovistano fra i bidoni dei rifiuti.
Ma la notte, a volte, quando sogno, vedo ancora quei piccoli cerchi rossi che mi cercano maligni. E allora è l’ORRORE, è l’ORRORE che torna.
Fine.