martedì, 8 Aprile, 2025 2:00:45 PM

Ravenna – “Il risotto patrio” – Carlo Emilio Gadda – 3^ e ultima parte

di Rita Farneti.

In essa sarà stato disciolto lo zafferano in polvere, vivace, incomparabile stimolante del gastrico, venutoci dai pistilli disseccati e poi debitamente macinati del fiore.

Per otto persone due cucchiaini da caffè. Il brodo zafferanato dovrà per tal modo aver attinto un color giallo mandarino: talché il risotto, a cottura perfetta, venti ventidue minuti, abbia a risultare giallo-arancio: per gli stomaci timorati basterà un po’ meno, due cucchiaini rasi, e non colmi: e ne verrà un giallo chiaro canarino.

Quel che più importa è adibire al rito un animo timorato degli dèi e reverente del reverendo Esculapio o per dir meglio Asclepio, e immettere nel sacro «risotto alla milanese» ingredienti di prima qualità: il suddetto Vialone con la suddetta veste lacera, il suddetto Lodi (Laus Pompeia), e i suddetti spicchi di cipolle tenere.

Per il brodo, un lesso di manzo con carote sedani, venuti tutti e tre dalla pianura padana, non un toro pensionato, di animo e di corna balcaniche: per lo zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si tratterà di dieci dodici, al massimo quindici, lire a persona: mezza sigaretta!

Burro di Melzo.

Non ingannare gli dèi, non obliare Asclepio, non tradire i familiari, né gli ospiti che Giove Xenio protegge, per contendere alla Carlo Erba il suo ragionevole guadambio. 

No! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano Casalbuttano Soresina; Melzo, Casalpusterlengo; tutta la bassa milanese al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all’Adda e insino a Crema e Cremona.

Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no! Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o richieste dagli iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di osso (di bue) previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto impiego in altra marginale scodella.

Si sogliono deporre sul riso dopo metà cottura all’incirca: una almeno per ogni commensale: e verranno rimestate e travolte dal mestolo (di legno, ancora), con cui si adempia all’ultimo ufficio risottiero.

Le midolle conferiscono al risotto, non più che il misuratissimo burro, una sobria untuosità: e assecondano, pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie midolle.

Due o più cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda quel gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione.

Piemonte – Aree vinicole del Barolo.

Il risotto alla milanese non deve essere scotto, ohibò, no! solo un po’ più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed enfiato de’ suddetti succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato in una melma, in una bagna che riuscirebbe spiacevole.

Del parmigiano grattugiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una cordializzazione della sobrietà e dell’eleganza milanesi.

Alle prime acquate di settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo San Martino, scaglie asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetta-trifole potranno decedere sul piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso tavolante, debitamente remunerato a cose fatte, a festa consunta.

Né la soluzione funghi, né la soluzione tartufo arrivano a pervertire il profondo, il vitale, nobile significato del risotto alla milanese.

Rita Farneti.

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