di Raffaele Bella.
Il 9 giugno 2025, all’età di 62 anni, è scomparso prematuramente a Roma il flautista, polistrumentista e compositore Stefano Cogolo.
Il musicista romano, figura importante della musica contemporanea italiana, ha sviluppato un percorso artistico che l’ha visto gradualmente passare dall’ambito accademico all’area dell’improvvisazione e della sperimentazione, all’insegna di un atteggiamento cosmopolita, in armonia con la temperie contemporanea, multietnica e plurale, alla ricerca di nuovi linguaggi musicali.

Dopo aver studiato chitarra, Cogolo si è avvicinato da ragazzo allo studio del flauto da autodidatta, formandosi in seguito con Angelo Persichilli e Lorenza Summonte.
Diplomandosi in flauto presso il Conservatorio “S. Cecilia” di Roma sotto la guida di Leonardo Angeloni, si perfezionò in musica da camera con Marco Lenzi e Luciano Cerroni, dedicandosi contemporaneamente allo studio dei flauti e dei linguaggi musicali appartenenti a diverse tradizioni popolari, europee ed extraeuropee.
È iniziata negli anni ’90 la sua carriera nazionale e internazionale di flautista classico, partecipando a numerosi festival in Italia e all’estero, con le formazioni di cui è stato co-fondatore.

Stefano Cogolo, Giovanni Guaccero,
Gianfranco Tedeschi, Nicola Raffone
Come il Trio Colosseum, con Valentino Sani al violoncello e Monica Ficarra al pianoforte (trasformatosi poi nel più ampio gruppo “Ensemble Colosseum”), e il trio di flauti “Phorbeia”, fondato con Calogero Giallanza e Barbara Ceccarelli.
La sua spiccata attenzione verso la musica contemporanea e l’improvvisazione l’ha portato a collaborare – tra gli altri – con compositori come Alvin Curran, Giovanni Guaccero, Daniele Del Monaco, Antonio Scarlato, Lucio Gregoretti, Sergio Pallante, Nicola Sani, Raffaele Bellafronte, Alberto Giraldi, Terje Bjorklund.
Ma anche musicisti dell’area della musica improvvisata come Gianfranco Tedeschi, Nicola Raffone, Monica Demuru, Gianni Trovalusci, Marco Ariano, Alípio Carvalho Neto e molti altri.

Stefano Cogolo, Alipio Carvalho Neto,
Marco Pace, Marco Ariano
Tra le incisioni discografiche di ambito classico che ha realizzato tra fine anni ’90 e primi 2000, ricordiamo Flutedance (1999, Domani Musica) per flauto solo, dedicato al Novecento.
Incantations (2000, Domani Musica) per flauto solo e arpa, con l’arpista Adalgisa Turrisi con musiche di compositori italiani contemporanei.
Altre incisioni Due Fauni, Arco e Pizzicato (2005, Gruppo Elettrogeno Edizioni Musicali), con l’Ensemble Colosseum, con musiche italiane del ‘700 e contemporanee.
Chi, come chi scrive, ha vissuto a Roma poteva vederlo partecipare negli anni ‘90 ai concerti del Teatro Ghione, ma anche alla rassegna “Folkstudio Contemporanea”, presso lo storico club romano fondato da Giancarlo Cesaroni.
Oppure come non ricordare il concerto del 1994 presso quello che allora era chiamato “Centro Estudos Brasileiros”, presso l’Ambasciata del Brasile a piazza Navona, con il Trio Colosseum e il grande compositore brasiliano Francis Hime, che ha segnato l’apertura del capitolo Brasile nel percorso del giovane concertista.

Oppure in seguito lo si poteva vedere spesso tra i musicisti del festival di Nuova Consonanza, in particolare nelle “maratone” musicali che si tenevano presso l’American Academy a Villa Aurelia.
Un passaggio importante è stato tra 2000 e 2004 la sua partecipazione al gruppo “Alquimia”, ideato da Giovanni Guaccero, di cui hanno fatto parte anche Nicola Raffone (batteria e percussioni), Gianfranco Tedeschi (contrabbasso) e Alessandra Del Maro (voce).
Una formazione all’insegna della contaminazione, a metà strada tra scrittura e improvvisazione, alla quale Cogolo ha dato un contributo fondamentale per definire un’identità sonora originale.
Lo si poteva percepire assistendo ai loro concerti (da ricordare quello per la Fondazione Scelsi nel 2002, con la partecipazione di Eugenio Colombo e Massimo Coen).

Testimonianza dell’attività del gruppo è il bellissimo CD “Musica per le montagne” (2004, Gruppo Elettrogeno Edizioni Musicali).
In questo periodo riemerge anche il suo mai sopito amore per la musica etnica, tanto che entrando nella sua casa-studio sembrava quasi di trovarsi all’interno di un museo di strumenti musicali (a fiato, a corde, a percussioni) di tutte le parti del mondo.
Una volta conclusa l’esperienza con “Alquimia”, Cogolo negli anni successivi si unisce al movimento della musica improvvisata romana.

Da qui partecipa a molti progetti, ancora all’interno di quel percorso condiviso dall’ambiente e suggerito dal momento culturale, ancora a metà strada tra improvvisazione e composizione.
In quegli anni contribuisce alla nascita di “Iato”(momento di incontro tra le diverse aree romane), lavora per l’etichetta indipendente NED.
Collabora con musicisti come Marco Ariano (“Opera Mutica”, “Ensemble Intondo”), Daniele Del Monaco (ideatore del “Laboratorio Creativo Permanente”) e Alípio Carvalho Neto, sassofonista e studioso brasiliano, sodale di personaggi come Giancarlo Schiaffini, e Alvin Curran, presenza storica e da lunga data radicata nell’ambiente di Roma.

Sul già ricordato sentiero, d’incontro a metà strada tra composizione, improvvisazione, musica etnica, elettronica e teatro-danza, dalla metà degli anni ’10, Stefano Cogolo comincia a sviluppare progetti discografici molto personali a suo nome, basati esclusivamente su sue composizioni.
Tre sono i dischi in quegli anni pubblicati con l’etichetta Terre Sommerse: Eterna impermanenza. Nove musiche per Walter Chappell (2017), Lupercalia (2019), Musica per la notte di San Giovanni (2023).
Tutti reperibili oggi sulle varie piattaforme digitali, lavori originalissimi e bellissimi in cui mette tutto se stesso (suonando tutti i tipi di flauti, tradizionali ed etnici, vari strumenti a corde fino alla zampogna indiana, le percussioni e la voce).
A questi lavori partecipano tanti artisti, come Alípio Carvalho Neto, Marco Ariano, Marco Resovaglio, David Riondino, Ludovica Manzo, Francesco Lo Cascio, Gianfranco Tedeschi, Nicola Raffone e molti altri.
Stefano Cogolo, in qualche modo incarna la figura di intellettuale-artista che “dismette” i panni borghesi per abbracciare “l’altra musica”.
Quella che si muove sul percorso della ricerca e della curiosità per altri suoni del mondo, ma anche verso la ricerca di un nuovo pensiero musicale e compositivo.
È stato un animo “puro”, con un approccio etico e un amore vitale per la musica, facendo parte di un movimento artistico, che ha prodotto – potremmo dire – un’altra “nuova musica” (per citare il noto motto dei musicisti cosmopoliti dei convegni estivi di Darmstadt).

L’immediata simpatia che m’ispirava, con i suoi modi semplici e cordiali, andava di pari passo con la riservatezza propria dei soggetti gentili, e discreti.
A tale proposito mi viene in mente un ricordo personale: in occasione di una di quelle performance all’insegna dell’originalità e vivacità d’idee, proprie di quell’ambiente musicale, Stefano andava in giro di notte anche in pieno inverno in autobus, caricandosi il flauto in do, l’ottavino e il maestoso e pesante flauto basso.
Al momento di tornare a casa, a un certo punto gli intimo scherzosamente di accettare un passaggio con la mia vecchia automobile (sì ma alla svelta, perché l’indomani mattina mi sarei alzato presto per andare a sciare!).
Un altro tratto di simpatia e condivisione tra me e Stefano era l’attrazione per il mondo misterioso dell’antica Grecia, che faceva rivivere in affascinanti composizioni per flauto e arpa, restituendo l’aura di dolcezza e di mistero ancestrale delle nostre remote radici.
In un certo senso possiamo definire Stefano Cogolo un artista “transculturale”, che ha messo in contatto diretto aree geografiche che rappresentano mondi musicali diversi e luoghi dell’immaginario collettivo contemporaneo.

Una visione d’apertura, di scambio reciproco, e di abbattimento di antiche barriere – di certo, non solo barriere musicali.
Associo con immediatezza il personaggio di Exú, l’entità spirituale dei sincretismi religiosi afrobrasiliani – il messaggero e tramite tra gli umani e il mondo ancestrale – alla figura e l’opera di Stefano.
Negli scritti di alcuni autori afrobrasiliani, la qualità di Exú è riconosciuta alle donne e agli uomini che si rendono tramite di messaggi e di scambi di pace rivolti al mondo.
Stefano è stato un amico generoso per chi gli ha voluto bene, e un musicista sempre disponibile per chi voleva collaborare con lui.
È stato anche un educatore musicale appassionato, avendo insegnato per molti anni in diverse scuole romane.
Testimonianza di questo è l’amore che traspariva dagli sguardi dei suoi piccoli allievi, che, il 12 giugno nella chiesa del quartiere Monte Sacro (dove abitava con la famiglia), hanno cantato e suonato per lui, dandogli l’ultimo saluto.
di Raffaele Bella.
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