lunedì, 23 Dicembre, 2024 12:17:35 PM

Roma – Julianne Moore e Tilda Swinton – La stanza accanto

di Mauro Donzelli.

È quasi un modo di vedere la vita, sicuramente una maniera per raccontarla nel suo cinema, scegliere due donne come protagoniste, se non sue alter ego.

Pochi come Almodovar hanno condizionato la realtà a una visione al femminile, ne hanno compreso e condiviso la visione del mondo e le recriminazioni.

Non saranno madri parallele, per rievocare il titolo del suo (splendido) film precedente, ma questa volta le sistema in due stanze vicine, The Room Next Door come ricorda il titolo originale, La stanza accanto quello italiano.

Un’immagine mirabile per sintetizzare il rapporto che si viene a creare, quell’accompagnamento di una alla tappa definitiva dell’altra, a cui regala qualcosa di unico, apre riflessioni etiche e stimola un dibattito ancora troppo latitante come quello sull’eutanasia, schiacciato fra ideologie e tabù.

Non che questo sia l’intento del regista spagnolo, non tanto interessato a riflessioni etiche quanto all’aspetto umano, l’intimo momento di condivisione fra due donne, amiche ma perse di vista per molti anni, che si ritrovano di fronte alla scelta di morire di una delle due.

Due interpreti straordinarie come Tilda Swinton (Martha) e Julianne Moore (Ingrid) certo non deludono nel sostenere i molti dialoghi del battesimo di Pedro Almodovar con la lingua inglese.

Le due si sono conosciute da giovani lavorando nella redazione della stessa rivista, poi Ingrid è diventata scrittrice di buon successo e si trova a New York per presentare il suo ultimo libro quando viene informata da una vecchia amica in comune che Martha è malata gravemente di cancro.

La sua è una carriera che l’ha portata in giro per il mondo come reporter di guerra. Ingrid la va a trovare, Martha le chiede di accompagnarla in una villa nel verde dove ha deciso di prendere delle pillole per optare per l’eutanasia. La vuole semplicemente nella stanza vicina, non complice.

“La stanza accanto” è il racconto di chi ha talmente raccontato la morte da non avere più parole per raccontare la propria.

“Di questa guerra non riesco a scrivere niente”, dice la Swinton commentando il suo spaesamento. La sua è una presa di consapevolezza, il bisogno di essere lei in prima persona a gestire la malattia, mantenendo il controllo della sua vita e soprattutto della sua morte, quando sembrere impossibile, facendo un bilancio che presupponga un equilibrio interiore e di relazione con l’ambiente, senza pregiudiziali sociali e, naturalmente, un enorme coraggio.

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