di Gianni Pantaleo.
Di solito un incipit ad ogni intervista, ha la necessità di presentare un artista. Che egli, o ella, sia scrittore, cantante, compositore, pittore…
Non nascondo la difficoltà che ho nel presentarVi Alessandro Fabio Basile. Non che mi manchino le parole. Anzi, spesso sono costretto a scusarmi per essere “logorroico” (ma solo nel lavoro, altrimenti sono una specie di pesce).

Restauro Teatro Margherita – Bari
Ma trovarmi con un artista quale è Alessandro Fabio Basile, bè, la parole, non so per quale ragione, si perdono. Naturalmente devo farmele “venire”, altrimenti non faccio bene il mio lavoro.
In fin dei conti, che bisogno ho di presentarLo ai lettori: basta leggere (attentamente) l’intervista. Che prima che sia fatta all’artista, è fatta all’Uomo. Eh, sì. Perchè dietro ognuno di noi, in qualsiasi posto di lavoro si è e si fa, c’è un essere umano.
Assicuro che molto c’è da imparare…

Restauro Teatro Margherita – Bari
La sua formazione accademica, da quanto attentamente osservato nelle sue opere, è un valore aggiunto. Ma senza averla frequentata, lei lo stesso avrebbe potuto farci sentire la “voce” dei suoi lavori: essi urlano.
Il segno, il tratto, le bozze ma anche il solco dello scalpello nella pietra: lei maestro scava l’anima. Non c’è solo l’idea, c’è la ricerca. Sono gli uomini la sua ricerca?

Particolare di decoro
Sì, assolutamente sì. Non amo troppo filosofeggiare e senza andare troppo nei dolori o tragedie del mondo, assolutamente difficili da descrivere, il mio percorso artistico non è egoistico ma personale.
Nelle difficoltà della mia vita, che sono state notevoli, come nella vita di tutti, è stato da sempre una necessità quella di elaborare questa difficoltà e questi dolori che grazie all’aiuto dell’arte e grazie al Cielo, ho avuto la possibilità di esprimere il mio senso artistico che non è nato nei primi anni di vita, ma è venuto nell’arco della mia crescita, pian piano.
E’ stato casuale avere frequentato il liceo e l’Accademia, ma quella fu una scelta prettamente scolastica. Sono sincero: non c’era proprio un’attitudine artistica.

Particolare di decoro
La scuola mi ha soltanto “raffinato” un po’. Ho avuto dei grandi insegnanti. Ma più che insegnanti, sono stati uomini di vita che mi hanno insegnato a fare uscire la mia vera natura interiore.
Poi tutto è venuto con la pratica. Ho praticato tanto, disegnato tanto, come per i matematici che imparano la tabellina.
Ho allenato il polso, la mano e sono diventato un tecnico da questo punto di vista. Superata la parte tecnica e capita la materia con la quale lavori, nel tempo incominciai a elaborare quello che era dentro di me.

Restauro Teatro Margherita – Bari
Quindi lasciando la sfera accademica, mi sono distaccato dal contesto scolastico cercando e continuando ancora con la ricerca, il mio tratto personale che mi distingue nelle opere.
Non ho velleità di fare cose eccezionali, la mia forza è quella di tirare fuori tutto quello che ho dentro di me.
Un’interiorità drammatica. Spirituale. Il dolore non è percepito come malessere, ma come sofferenza di sé. I volti segnati. Le braccia intersecate, vortici di graffiti a rappresentare un universo colmo di sentimenti.
Facciamo ordine, maestro: nella nostra confusione quotidiana, lei specchia quello che gli uomini sono: soli. Le sue opere sono un monito: riflettete. Sognate. Spogliatevi dell’inutile.
Crede che il valore delle sue opere siano anche dare coraggio a rivedere se stessi nel contesto di una società contaminata dalla disumanità?
Questa domanda mi emoziona e la ringrazio. Credo che lei abbia detto tutto. Nelle mie installazioni, nelle mie mostre, nel mio piccolo percorso, quando c’è stato qualcuno che mi intervistasse, anche durante le presentazioni nelle stesse mostre, ho sinceramente avuto poco da dire.

2106
Penso che l’artista non debba parlare. Lei facendomi questa bellissima domanda, che pone tanti interrogativi ma anche tante risposte, cosa dovrei aggiungere?
Dovrei ringraziarla per essere arrivato a questa considerazione del mio lavoro. Non ho da aggiungere nulla: praticamente ha centrato il mio percorso.
Quello che tiro fuori da dentro di me, è a disposizione di chi osserva. Senza velleità di cambiare il mondo, le società, gli uomini… Sono un lavoratore: esprimo umilmente la mia umanità. Agli altri interpretarla.

Arte Fiera Dolomiti
Deduco quindi, che un artista è soprattutto un essere umano un po’ più speciale della massa: il suo osservare penetra la fisicità degli uomini e legge la sua interiorità. Sa dove ritrovo la dolcezza del creato?
Negli affreschi. Il volo degli uccelli, l’acqua, le calle, i fiordalisi, spazi e luoghi senza gli esseri umani. Lì, intravvedo la serenità dell’artista. Quella dolcezza del Botticelli.

Senza titolo
Lei maestro potrebbe essere vissuto in periodi storici multipli: la sua plasticità intellettuale, le avrebbe permesso di osservare quegli spazi, quegli uomini, quella umanità in quel contesto storico. Mi scusi: cosa stiamo perdendo di tanta bellezza?
Cosa stiamo perdendo di tanta bellezza… Penso che il concetto che stiamo perdendo la bellezza sia errato. La bellezza esiste ed è intorno a noi.
E’ che non abbiamo più né voglia, né tempo di fermarci a guardarla. Anche io ho dei momenti in cui penso che la bellezza non esista più o non la veda, ma qui, probabilmente, sta la differenza tra un artista e gli altri.
In questo momento sto facendo un lavoro molto bello, sto affrescando una villa. Sono seduto in giardino a parlare con lei.

Primo bacio
Tutto intorno non è bellissimo. Sono seduto su una panchina in mezzo a dei palazzi che oscurano la luce, però ci sono delle piante meravigliose.
Potrebbe essere banale, ma molte volte queste piantine spontanee non le guarda nessuno e senza fare retorica, lì io vedo tanta bellezza. Un tronco che sembra un uomo avvinghiato. Lì c’è bellezza.
Ma se noi siamo bombardati da tragedie, guerre, immagini volgari e comportamenti sgarbati, per non parlare della politica, vivendo in un momento storico di miseria culturale, lì, dove gli occhi non si soffermano mai, lì c’è bellezza. Io, come tantissimi artisti sparsi per il mondo, lì in altri spazi, troviamo bellezza.

Ph. Margherita Calefati
Penso ai miei colleghi in quelle aree dove c’è la guerra, continuano a fare affreschi, dipingono, disegnano…
Lì dove c’è la disperazione, loro trovano spiragli di umanità. Quindi la bellezza esiste ancora. E’ che la dobbiamo scavare, la dobbiamo cercare. Questo è difficile, però c’è.

Ph. Margherita Calefati
La delude l’uomo contemporaneo?
Le sono sincero, sì.

Ph. Margherita Calefati
Percepisco una profonda spiritualità nelle sue opere. Non necessariamente legata ad una Fede. Una spiritualità comunque legata agli uomini.
Non c’è società in cui non esista una divinità. E ogni dio professa umanità. Lei testimonia con le sue opere, che probabilmente professare l’amore è ipocrita.

Dei della guerra. Dei della vendetta. Il sangue. Le corde sospese. Confini che lei traccia e solca con una coraggiosa operazione artistica: i teli, le corde, le pietre sono messaggi di dei forse non proprio votati all’amore.
Maestro: ma allora una Natura senza l’Uomo: sarebbe davvero quello il Regno dei Cieli. Si può pensare una natura senza gli esseri umani?

Opera in terracotta
Assolutamente sì. Mettiamo anche un altro punto: la dico semplice, sono vegetariano da sempre. Da bambino. Da ragazzo.
Perché? Non tanto per questioni etiche o politiche o di economia, è per rispetto per l’ambiente. Quindi, l’uomo, che sia arrivato prima o dopo gli animali, era già in relazione con le piante, gli animali e sarebbe stato un uomo migliore se avesse avuto un rapporto differente con essi e con l’ambiente stesso.

Bersagliere
Ho cani e gatti ma non faccio differenze tra loro: il vitello, la mucca, il cavallo, la capra, gli uccelli… tutti gli esseri viventi sono tutti uguali.
Quindi non mi nutro di altra carne, non faccio di queste becere schifezze. Siamo ospiti su questo pianeta. Dovremmo fermarci, respirare. Siediti e stai.

Narciso
Sto leggendo un libro: “Dove vai così di fretta” (n.d.r. di Michel Lama Rinpoche, Bompiani ed.). Ma dove andiamo così di fretta!
Condivido con lei un’altra considerazione. Noi pensiamo ad un’aspettativa di vita nel tempo lunga. Invece la vita va allargata e questo è meraviglioso.

Ph. Margherita Calefati
La vita va allargata perché in quello spazio largo ci mettiamo tante di quelle cose. Mentre allungando la vita, essa diventa stretta.
Forse tutto ciò l’ho imparato studiando gli artisti del Rinascimento che sono ancora oggi i miei punti di riferimento. Immagino quanto era larga la loro vita e lunga la loro giornata. Seguo tanti artisti moderni, ma le radici sono quelle.

Finalmente
Sono colpito dai bronzi. “L’abbraccio del figlio”. “la ricerca della serenità”. “Il soffio” e tutte, maestro, tutte, manifestano emozioni.
I “Senza nome” inquietano, sa? Figure umane avvolte da… Avvolte da restare muti. Legate. Prigioniere. Scorgo le sinuosità delle sculture di Boccioni e ne “L’equilibrio” vedo la fisicità di Degas e Matisse. Lei, maestro, è loro collega.
Nel senso che se De Nittis è stato un pregevole impressionista tra i Monet, i Renoir, i Pissarro, lei occupa naturalmente, posizioni di correnti d’arte che abbracciano 200 anni di storia dell’arte.

L’abbraccio del figlio
Continuo a chiederle scusa maestro, ma… riconosce, la prego, senza modestia, il talento che ha nelle mani per trasmetterci queste emozioni?
No. Non lo so. Le dico con molta sincerità: penso di essere molto mediocre. Lo dico senza fare il modesto. Ma è così. Penso invece di poter fare ancora tanto.
Ma capisco anche, di avere ancora dei limiti, dei “tappi” da qualche parte. Le dico una cosa: il liceo e l’Accademia hanno formato pseudo-artisti.

La ricetta della serenità
Ci hanno insegnato tante cose, ma ci hanno anche insegnato una sorta di illusione. L’Accademia ci ha illusi che noi potessimo fare gli artisti, che potessimo fare gli affreschi, le sculture, che potessimo andare nei Comuni e dire “Voglio fare questa cosa qua.”
Esiste una sorta di compensazione tra la delusione e l’aspettativa. Mia moglie spesso dice che uno fa un’opera mediocre e pensa di essere un grande artista.

Ph. Margherita Calefati
Questo compensa quanto quell’artista, che sa che sta facendo un’opera senza contenuti, buttata lì per il mercato e che lo illuda di stare facendo chissà quale “opus perfectum” e quindi è come se si difendesse dall’inutilità della sua opera. C’è coraggio in questo, sa?
Per la XV edizione del Festival del Belcanto, diretta dal m° Ferdinando Redavid e che si terrà a Turi con la prima di “Cavalleria Rusticana” in occasione dell’anniversario degli 80 anni dalla scomparsa di Pietro Mascagni.

Odio l’arte
Le sue sculture sono i premi che il direttore artistico Ferdinando Redavid consegna all’artista che meglio si è distinto nell’anno e proprio quest’anno il 2 agosto, giorno della morte del compositore (n.d.r. per l’anno 2025 il premio sarà consegnato a Domenico Colaianni, baritono).

Ph. Margherita Calefati
Premiare con una scultura è un gesto di amore per l’Arte, sensibilità che il m° Redavid dimostra ad ogni edizione del suo Festival. Da quanto è cominciata questa sua presenza con il festival?
Da sempre. Sin dall’inizio del Festival e quindi proprio da quindici anni. Il maestro Ferdinando Redavid è stato bravo a scegliermi.
Il gesto più bello di questa scelta che il maestro ha fatto, è anche un altro: lui fà il Festival e ti spiega perché fa il festival, il suo contesto, la ragione stessa dell’evento e mi dice: “Fai tu qualcosa, pensa tu qualcosa che sia il simbolo stesso del Festival e che diventi il testimone del Festival stesso.”

Pietà
Non c’è stata una linea tipo vorrei che mi facessi questo o quest’altro, ma “…pensa a qualcosa che diventi un Premio.”
Quando ad un artista si lascia uno spazio di libertà, lì allora, nascono idee belle. Non ho fatto troppe elaborazioni mentali.
Ho realizzato un Premio che si riferisse al contesto del Festival, una maschera in bassorilievo su un basamento e che riportasse all’idea del Teatro antico e che è anche l’allegorìa della maschera che indossiamo tutti i giorni.
Questo semplice oggetto che diventa un Premio, dura da ben quindici anni. Lui ha creduto in me, io ho creduto nel suo progetto e il rapporto artistico continua.
Un’ultima domanda, maestro. I suoi lavori, le sue opere, lei ci dona emozioni. Un temperamento (e alludo al genio di George Balanchine, danzatore e coreografo del XX secolo che portò in scena un balletto straordinario “I 4 temperamenti”) come il suo non può essere lontano dal percepirle: la domanda sarà intima ma la prego di rispondere: cosa commuove lei?
Gli abbracci. Gli abbracci che non ho mai ricevuto.

Ph. Margherita Calefati
Dovremmo imparare ad avere una visione di certi “operatori delle Arti” meno inibente. Capita che ci si ritrovi ad avere una sorta di soggezione per chi è in televisione o in palcoscenico.
Una riverenza che rende poi, quell’artista, un “divo”. Dovremmo meglio amplificare questa visione e cercare di “comprendere” il “lavoratore” che con le sue opere, ci dà emozioni.

Ma quello che più mi ha impressionato e messo a mio agio, è stata questa intervista: Alessandro Fabio Basile è l’Uomo che di mestiere è uno scultore, un pittore, un “artigiano” della materia.
Le mani ruvide. Il pantalone macchiato. Schizzi di colore tra i capelli… Non mi pare sia necessario un papillon o un tight per avere un’impressione meno “nobile” del maestro.

Chi arriva al nulla vince
Maestro. E’ il titolo, rispettoso, con il quale lo definisco. Maestro. Perchè dentro quelle mani, c’è tutta l’umanità che sta mancando a molti e che mi fa credere che “…la bellezza esiste ed è intorno a noi“.
Senza orpelli o smancerie, senza effimeri aggettivi, nudo da ruoli o celebrazioni e prima di stringere la mano al Maestro, è all’Uomo la stima.
Gianni Pantaleo.
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