di Anna Landolfi.
Non è stato casuale interessarmi di Giuseppe Vivona. Posso con certezza affermare, che delle sue composizioni poetiche, nessuna mi lasciò perplessa. Di questo poeta e scrittore di Iglesias, della splendida Sardegna, pubblicammo due sue poesie, (v. link a piè pagina n.d.r.) di forte impatto emotivo.
Continua quindi, la scoperta del poeta, con la presentazione ai lettori, di quest’altra composizione che lascerà traccia nella mente molto tempo dopo averla letta e ascoltata, interpretata da egli stesso, con una quiete algida lettura che rispecchia la visione di una città nella quale si mescolano sensazioni e percezioni popolati di uomini senza tempo.
Giuseppe Vivona ha questa acuta analisi dello spazio in cui vive, senza dovere negare l’esistenza nella quale è stato proiettato. Estraniatosi dal contesto metropolitano, è anzi “visto” come alieno in una metropoli affollata di uomini diventati automi. Questo suo modus vivendi lo rende unico “vivo” essere pensante. E’ l’evoluzione della società. Non di una società, ma di tutte le comunità del pianeta.
Ciò che accade in “Reminescenze di una città”, accade in altre metropoli votate all’infinito vuoto futuro. Messaggio catastrofico? Pessimistico? No. E’ riflessione. E’ la consapevolezza di ciò di cui ci siamo circondati e costruiti: niente! Epoche di grandi valori culturali, sono stati “costruiti” da uomini di ingegno.
Non siamo, noi contemporanei, società “minori” del passato. Giuseppe Vivona spiega con la sua composta metrica metaforica, quanto il suo presente, sia un esorto a chi al pensiero affida vita e futuro. Chi è vivo, pensa. Il poeta, vive.
Giuseppe Vivona
Reminiscenze di una Città
Dormo fra la polvere calma
di una città dall’anima oscena.
Mi risveglio sempre nella casa di un prete morto
Vedo ragazze brutte che si fingono angeli
Mentre a quelle più belle hanno spezzato le ali
Giorni di miseria.
Anni di sogni.
La voglia di scappare incatenata dalla memoria
Il fantasma di un prete morto,
galantuomini e bella gente che va a messa,
marinai, giramondo e faccendieri
mi fissano dal vetro della finestra
Giorni di speranza.
Anni di incubi.
Il tempo mi ha attraversato
La vita è scappata,
immobile in un pomeriggio d’estate.
Città vecchia.
Città maledetta.
Sepolcro dai mille ingressi
senza nessuna uscita.
Anna Landolfi.
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In copertina: “Metropolis” (1927) di Fritz Lang
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