venerdì, 26 Aprile, 2024 2:08:29 PM

Maria Chiara Vitti: “Riconosco me stessa quando…”

di Gianni Pantaleo.

La terra richiama sempre i suoi figli. Lei, sensibilissimo abitante di questo pianeta, esploratrice di percezioni di altri spazi, lo ha sentito esplodere dentro. Ritornata, ha dato quello che la sua terra le ha donato: il sentimento con il quale esprime lo stato d’animo che le procura un’emozione. Anche sofferta. Perchè la terra non sempre dà gioia. La si suda. La si cura. La si ama. Con le lacrime e con la gioia di viverla. Maria Chiara Vitti, danzatrice e performer, è nuda da sovrastutture superflue. E’ pura. Non possiede complessi linguaggi edonistici. E’ scevra dalla materia. L’idioma è il suo corpo, il respiro le sue parole. E’ incisiva in scena: il dialogo con lo spettatore è il suo corpo, strumento di trasmissione delle sue trepidazioni. Potremmo definirla drammaturgia. In “Diario delle Molestie”, suo personalissimo e originale progetto artistico sul disagio delle donne, legato alle produzioni del Collettivo Factor Hill, diretto da Alessandra Gaeta, presenta e rappresenta in un unico atto, quell’universo femminile che costringe e reprime il corpo implodendolo da pregiudizi e tabù. In scena, Maria Chiara Vitti, quel corpo, lo fa esplodere.

                        Maria Chiara Vitti

C’è una frase che colpisce molto mentre “studiavo” il suo percorso artistico: “…forte desiderio di riconnessione con il proprio corpo”. E’ una riflessione avanzata. Non banale. La interpreto così: siamo così “viziati” dal nostro corpo che non percepiamo più il suo stato. Così “occupati” a “viverlo” con gli altri che non ne curiamo il suo aspetto…interiore. La sua bellezza è dal proprio equilibrio. Mi corregge questa mia interpretazione?

Il corpo è uno strumento, il nostro strumento, quello con cui ci affacciamo al mondo. Non è un caso se ho utilizzato la parola corpo. È stato frustrante realizzare di non riconoscermi pienamente in esso. Mi hanno insegnato che crisi vuol dire cambiamento. Da quel momento cruciale, dunque, mi sono dedicata ad una serie di dinamiche e azioni quotidiane che mi permettono di intervenire lì dove avverto delle personali lacune. Qui subentra, inevitabilmente, il concetto di “self care” che cerco di tenere sempre bene a mente (talvolta con pessimi risultati, ammetto!). Mi soffermerei su un passaggio di questa domanda: siamo così “occupati” a “viverlo” con gli altri che non ne curiamo il suo aspetto interiore. Credo sia l’emblema di tutto. Parlerò in prima persona perché non mi assumo la responsabilità di generalizzare. Sono troppo impegnata a rispettare le leggi del politicamente corretto da perdere di vista Maria Chiara. I ritmi serrati della vita nomade che conduco, a volte, mi costringono a mettere da parte i messaggi che il corpo stesso mi invia. E un bel giorno di quarantena, improvvisamente, il punto di vista è cambiato completamente. Avevo raggiunto un equilibrio psicofisico inebriante ed ho desiderato che continuasse quando avremmo oltrepassato quell’assurda situazione. Ho fatto tesoro delle sensazioni e mi sono dedicata a non censurarmi. Credo, dunque, che la NON CENSURA sia la pratica principale con la quale tento di riconnettermi al mio corpo. Mi interrogo quotidianamente, o per lo meno ci provo, sul dove sono, cosa voglio, cosa preferisco indossare, con chi voglio stare, dove voglio andare, cosa non sono disposta ad accettare, quanto ho bisogno di riposare (tentando di soffocare i sensi di colpa) e così via… 

Considero il suo lavoro un’analisi in parallelo tra mente e corpo. Dubito che gli uomini abbiano questa facoltà di riconnettersi col proprio corpo. Una donna sembra raggiungere questo status proprio perché spesso la vediamo solo “corpo”. Deduco che la “riconnessione” sia privilegio “sofferto” della donna. E’ così?

Non oserei fare distinzione di genere alcuna. Non credo dipenda dall’essere/sentirsi uomo o donna (ammesso e non concesso che siano gli unici generi possibili), fermo restando che, probabilmente, non sarei qui a rispondere alle sue domande se non fossimo d’accordo che l’oggettificazione del corpo femminile è parte integrante dei nostri tempi. Ipotizzo, per esperienza in prima persona, che questo desiderio di riconnessione appartenga a chi è bramoso di vedere con i propri occhi e sentire con la pelle, facendo appello ad una grande dose di coraggio. Coraggio perché in questo processo sei tu con te stessə, scavi nelle viscere del corpo e ti ritrovi spesso spiazzatə, spezzatə o disorientatə. In tutta questa dinamica regge il colpo la Maria Chiara instancabile, ingenua, ambiziosa e un po’ ribelle. Più che uno status da raggiungere, la “riconnessione” per me è una pratica inesauribile da alimentare costantemente. Faccio tesoro della parola privilegio, che lei ha utilizzato nel formulare la domanda. Credo che avere la possibilità di cambiare punto di vista, lo sia. Ed è tutt’altro che sofferto, perché seppur le dinamiche scatenanti il processo siano inevitabilmente tossiche, le scoperte durante il tragitto sono di una potenza tale da alimentare il cammino.

“Diario delle molestie”. Ero presente. Mi ha commosso. Sa perché? C’era dramma. Un corpo che soffriva e che urlava il disagio di… Di cosa? La considerazione della visione maschile del corpo di una donna? La barbarie “incolta” che l’uomo crede di avere sulla donna? La cultura maschilista?

Un corpo che urlava il disagio ma anche la paura, la mancanza, il desiderio, la rabbia, l’annientamento. Un corpo che ha deciso di indagare sé stesso invece di mettere il focus sul “fuori” che è già eccessivamente preso in considerazione. Un corpo che si è preso lo spazio ed il tempo per schiudersi. Il mio corpo urlava il disagio di tutte quelle volte che è stato inibito, zittito, toccato, accusato e violato da persone e in situazioni altre, senza averne dato il consenso, gratuitamente. E se questo approccio alla vita è sintomo di una cultura maschilista, allora si, “Il Diario delle Molestie” la respinge con tutte le sue forze, la denuncia a voce alta, vi resiste.

La sua personalissima e originale performance è stata unica. Sarebbe stato considerato una pièce teatrale. Una solista di un monologo non espresso con la parola. Il suo corpo “parlava”. L’intento è stato ben riuscito. Mi scuso per la domanda delicata: è un lavoro autobiografico?

Assolutamente, si. Il diario delle molestie cartaceo viaggia assieme a me, sempre.

“…una traccia di vita vissuta, reale, ma 𝑖𝑛𝑡𝑖𝑚𝑎 e quindi mai totalmente 𝑣𝑖𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒”. Anche in queste parole mi commuovo. Le ferite dell’anima non si vedono. Lei però ha avuto il coraggio di esternarle con il copro. Non riesco a usare il termine “danzato”. “Diario delle molestie” lo considero un lavoro teatrale. La comunicazione trasmessa nel suo lavoro era, mi perdoni la comparazione, di natura brechtiana: il corpo, il viso, le braccia, ogni arto era un “soggetto” di un unico lavoro. Lei ha interpretato “molti” personaggi solo con il suo corpo. Il suo background denota studi approfonditi. Chi il maestro che meglio l’ha indirizzata su questo percorso interiore?

Devo necessariamente citarne due in relazione a questo lavoro: Pablo Tapia Leyton mi ha insegnato a guardare dentro. Giorgia Ohanesian Nardin mi ha insegnato a guardare fuori.

“Diario delle molestie” è la “voce” di molte donne. Il suo è stato un atto coraggioso. L’ho già fatto, ma applaudo di nuovo. Tolgo il disturbo con un’ultima domanda. Maria Chiara Vitti, dal cuore di una donna, al dolore provato, quale la sensazione di felicità che prova quando… a lei la risposta.

…quando, guardandomi allo specchio, mi riconosco. …quando cammino a testa alta. …quando, a fine giornata, sono piena. …quando osservo il mare.

Chiarissima. Trasparente. Nella presentazione, incidevo sulla sua purezza. Maria Chiara Vitti, lo ha dimostrato con questa breve intervista che ha esplorato il suo animo, genesi dal quale nasce “Diario delle Molestie”. Si racconta senza ipocrisia e il suo è pudore di una moralità assoluta. E’ una donna libera, ops, mi scuso: Maria Chiara Vitti ha 24 anni! Direi, allora, una giovane donna con la consapevolezza acquisita anzitempo dall’esperienza vissuta e che ha raccontato nella performance. Deduco, quindi, che il vissuto di questa giovanisima artista, è summa di una vastissima analisi di vite consumate dalle costrizioni che molte donne, purtroppo, vivono. E’ empatica e questa dote le permette di essere la voce di tutte. Che gli uomini ascoltino, allora!

Gianni Pantaleo.

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Ph. photo/video di Saverio Corriero.

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