martedì, 3 Dicembre, 2024 6:53:31 PM

BARI – Emilio Badolati – Il garbo e lo stile dell’immagine

Non è solo una questione di immagine. Non ne fà solo una questione di fotografia. Su carta patinata o composta da milioni di pixel, nonostante la dimensione “piatta”, Emilio Badolati dà volume ad un soggetto rendendolo fisicamente reale. Ne percepisci la presenza, l’odore e se ha luce, ti copri la mano per intravederla meglio. La fotografia diventa materia e come dice lui, se da un foglio bianco o da un cubo di marmo, ricavi un’opera (ometto d’arte, parola ormai empirica, pare che tutti facciano arte (sigh!), lui dello spazio ne estrapola l’attimo e lo ferma nel tempo.

C’è quell’arte che ferma il tempo e lei lo fa. Posso chiederle un from the beginning? Non in tono nostalgico, ma come un giovane che decise che la fotografia sarebbe stato il suo lavoro.

Ho iniziato quasi per caso, per la verità. Papà è sempre stato appassionato di fotografia, e ha sempreassecondato le mie inclinazioni, prima con telefoni che (per l’epoca, parliamo degli anni 90) avevano fotocamere spaziali, poi facendomi utilizzare la sua Lumix. Ma il punto di svolta è arrivato quando, a casa del nonno, ho trovato una yashica af-200 che il nonno poi mi ha regalato. Da li è stato tutto un gran susseguirsi di rullini d’ogni tipo.

Visione e creatività. Due sostantivi che equivalgono a libertà di espressione. Doti naturali o acquisite?

Non credo molto nel talento. Specialmente nella fotografia, io credo che sia sempre tutta una questione di studio ed abitudine allo sguardo. La tecnica, con le giuste motivazioni, la si impara relativamente velocemente, e la capacità di visualizzare la scena, il saper guardare diventa poi una questione di abitudine, mista forse ad un po’ di buon gusto.

Una carriera di spessore produttivo artistico. Leggo dal 2012. Quale passaggio le ha permesso di diventare un professionista?

Ho lavorato con la fotografia da che avevo 18 anni, affiancandola per la durata dell’università ad altri progetti di vita. Dopo la laurea in giurisprudenza ho sperimentato, brevemente, la vita che il titolo mi avrebbe portato a vivere, e non sono riuscito ad apprezzarla. La fotografia mi mancava ogni secondo. Ho deciso allora di abbandonare ogni reticenza e di dedicarmi al 100%, in via esclusiva, al lavoro di fotografo. E se mi si concede, ne sono felice, non sempre il lavoro è abbastanza, non sempre è ciò che sognavo di fare, ma mai una volta ho sentito il peso di ciò che faccio sulla schiena, sempre tenuta dritta da tanta tanta passione.

Quindi quel famoso detto “…da grande farò” era un traguardo ben mirato alla sua professione di fotografo. Posso chiederle di spiegare cosa si intende per una foto d’arte?

Quando ne scatterò una magari saprò spiegarglielo! Per la verità, e sarebbe un discorso abbastanza lungo, io non credo che la fotografia, quantomeno quella che faccio io, sia arte. Credo che per arte debba intendersi l’assurdo superpotere di creare mondi nuovi da un foglio bianco, da una tela, da un blocco di marmo. Io non faccio niente, scopiazzo la realtà che già esiste. Al massimo potremmo definire il mondo stesso come oggetto artistico.

E’ il soggetto che influenza il suo obiettivo?

Si, per l’appunto. Il soggetto è tutto ciò che conta in una foto, altrimenti si parla di un esercizio di stile.

Quale rapporto c’è tra soggetto e obiettivo?

Lo stesso rapporto che intercorre tra significante e significato. Senza il significato (qualunque soggetto) il
significante non ha senso d’essere.

Abbia pazienza: l’obiettivo però, sono i suoi occhi. Non posso pensare che sia la macchina, il regista
di una immagine. Posso considerare la “camera” il suo alter ego?

Non direi alter-ego, è un termine che probabilmente richiama troppo un’idea di dualità, che non corrisponde molto al mio modo di essere. Piuttosto credo che potremmo considerare la fotocamera come un prolungamento di me stesso, tanto che quando non la ho con me mi sento a disagio, spesso mi intimidisco e rimango in disparte chiuso nei miei pensieri.

Una domanda curiosa: litiga con la sua “camera”? Nel senso, considerandola uno strumento indispensabile, quasi “viva”, ha conflitti con lei? Se il risultato ottenuto non la soddisfa, mica se la può prendere con la macchina. Le pare?

Mettiamola così, sono un pessimo compagno. Ho una passione molto pronunciata non solo per la fotografia ma anche per l’oggetto fotocamera, per cui mi piace cambiare macchina quando posso, sperimentare con tante fotocamere diverse. E se è vero che il 99% del lavoro dipende da chi la camera la usa, non possiamo negare che anche la fotocamera una sua importanza ce l’ha, in dei generi estremamente specifici ed in situazioni particolarissime. Poi dopo un po’ diventa anche una questione di feeling, se con una fotocamera non mi ci trovo non c’è manico (per manico si intende il fotografo) che tenga, non riesco a farci nulla di buono. Sono un totale incapace con le fotocamere dei cellulari moderni per esempio, per quanto siano ottime.

Pubblicità. Moda. Ritrattistica. Ha un ventaglio di azioni vastissimo. Ho “sbirciato” dappertutto: la luce. Nessuna immagine, nessuna foto, dal food, al portrait, al commercial, è banalmente presentato. Mi spiego: se dovesse anche solo fotografare un posacenere, lei lo renderebbe “divo”. Chi rende il soggetto così importante? La luce?

Il soggetto si rende importante da solo, bisogna solo saperlo guardare. Poi si tratta solo di capire cosa includere nella composizione e cosa escludere, tenendo sempre bene in mente che in qualunque contesto, qualunque oggetto deve raccontare una storia, la sua storia, senza la quale qualunque immagine sarebbe inutile.

Le sue immagini hanno eleganza. Possa essere un piatto di pasta o una modella silenziosamente “fermata” dall’obiettivo. Non c’è chiasso nelle sue foto. Questo attrae l’osservatore. E’ uno stato d’animo del suo lato umano che trasmette con il suo lavoro?

Sono contento del termine utilizzato, “eleganza”, e vi ringrazio per questo. Probabilmente ciò che più mi ossessiona del mio lavoro è la continua ricerca di eleganza in ciò che produco. Non ché sia una persona elegante o giù di lì, anzi onestamente sono disordinato, non faccio troppo caso al mio aspetto e non mi preoccupo troppo quasi di nulla. L’immagine però deve trasmettere questo senso di solennità quasi stoica, questa grandezza intrinseca, senza scendere nel tamarro. Mio zio una volta mi disse (in altri contesti per la verità, non fotografici) “non serve che pensi ai fuochi d’artificio, fai le cose semplici, pulite, ed andrà tutto bene”. E credo che questa possa essere la frase che riassume un po’ tutta la mia fotografia. Scusate il flusso di coscienza.

Grazie.

Grazie a voi, grazie per la pazienza, per l’opportunità e per l’apprezzamento.

Gianni Pantaleo.

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