L’appuntamento era al Teatro Abeliano. Aspetto con l’ansia di incontrare Antonella Genga, una delle attrici che meglio rappresenta la duttilità di una interprete della recitazione.
L’attesa è premiata da una forte e sincera stretta di mano ma in teatro nessuno si fà vedere. Inaspettatamente, riposta una borsa, si siede su uno degli scalini che portano al foyer. Mi guarda quasi sorpresa: “Mè? E che stiamo ad aspettare a loro? Facciamola qui l’intervista, sui gradini”. MERAVIGLIA!
Comica, drammatica, ironica, sarcastica, naturalmente attrice.
Descriverla come eclettica non è corretto. L’eccletismo è una corrente artistica che rappresenta, nelle arti figurative, teatrali o performative, un dituttounpo’ nel contesto del raffinato, elegante, di gusto, fine… ma senza contenuto!
Antonella Genga E’ artisticamente una lavoratrice della recitazione perchè E’ naturalmente attrice.
Teatro, televisione, cinema. Assume ruoli. Li studia, li interpreta. Diventa la donna che deve portare in scena.
Facile? Non direi! Lei ha un percorso di attenzione e studio dell’interpretazione innata. Nessuna meraviglia se gli storici del nostro teatro, Signorile, De Fano, Salatino, Pignataro, Chiumarulo, Panaro e molti altri, si siano sempre legati a questa giovane e curiosa futura attrice, alzando su di lei, quell’ala protettiva che le avrebbe permesso di stare sul palcoscenico ferma e sicura di se stessa.
Leggete un po’…
Non le chiederò i suoi inizi, ha una presenza televisiva così nota che tutti ricordano lei da sempre. Allora facciamo un percorso inverso, lei entra in uno dei mondi artistici più complessi del sistema teatro: la prosa. Cos’è stato? Un merito?
Nonostante sia approdata in televisione, la mia partenza è stata al contrario. Ho cominciato con il teatro e i primi passi li ho mossi con il teatro di farsa, il teatro popolare.
Ero da poco maggiorenne, con Nico Salatino, che reputo uno degli artisti della tradizione popolare barese più autentico. Scrittore, musicista, ricercatore dell’anima barese, Nico Salatino centra sempre i personaggi con garbo e rispetto per l’attore. Io ho proprio cominciato con lui.
Antonella Genga e Nico Salatino
E’ stato il mio maestro non soltanto perché mi ha fatto muovere i primi passi sul palcoscenico, ma mi ha anche insegnato l’improvvisazione. Proprio in un’opera teatrale del mio esordio “L’augurio della casa”, lavoro interpretato e scritto in dialetto barese.
Diciamo che non mi ha insegnato solo l’uso del dialetto, ma mi ha stimolata ad approfondire e studiare il giusto modo di pronunciare determinate parole che spesso usiamo con un po’ di leggerezza. Il dialetto è una lingua, come il napoletano, il romano, come il veneto, lingue della commedia dell’arte e sono lingue che hanno bisogno di essere rispettate.
Tina Tempesta
Per questa ragione, non amo molto i neologismi o le interpretazioni personali. Da Nico Salatino in poi, è nata una ricerca vera e propria sul dialetto.
Quindi la mia nascita come attrice, inizia col popolare. Poco dopo Nico Salatino, approdo al Teatro Abeliano, con Vito Signorile che affettuosamente chiamo “zio Vito”.
Con Vito Signorile e Tina Tempesta, comincia lo studio dell’arte del teatro, la prosa. E’ stato il secondo passo della mia carriera di attrice.
Vito Signorile
Tutto questo è stato prima di approdare alla televisione nonostante piccole esperienze per emittenti private che mi hanno poi permesso di essere conosciuta in maniera più popolare. Passano ben diciassette anni dal teatro alla televisione.
Quindi provengo dal teatro, dal santo popolare alla prosa. Approdata in televisione, incontro Roberto Petruzzelli e da quell’incontro ho poi lavorato con Antonio Carella e Paolo Panaro in un lavoro di Arthur Schnitzler “Scena madre” e fu un ritorno indietro nel tempo che mi ha riportata al mio amore per il teatro.
Le spiego il perché della precedente domanda: una meta quale è Schnitzler, dove ha interpretato una Sophie profondamente drammatica, è necessaria una preparazione mica male. Mi scusi, ma questa sua dote è apprendimento o analisi istintiva di un personaggio?
Chiaramente, già nella prima risposta, confermo la volontà dell’apprendimento. Ho avuto la fortuna di lavorare con molti registi in opere differenti e questo mi ha dato i mezzi, spero, mi auguro, per riuscire a interpretare i personaggi più svariati, soprattutto Sophie, uno dei personaggi di “Scena madre”, che è una donna complessa perché Schnitzler, contemporaneo di Freud, ha affrontato la profondità psicologica di questa donna, analisi che in altre opere, magari, erano presentate in maniera più superficiale.
Così come i personaggi di Pirandello, tutti ben impostati, caratterialmente formati. Credo che Schnitzler e Pirandello, abbiano delle similitudini letterarie simili e chissà se l’uno non si sia confrontato con l’altro e viceversa.
Quindi, sì, la mia capacità, mi auguro è frutto della mia volontà di apprendere. Mi caratterizza anche la mia curiosità personale, sono una che si mette in gioco.
Dal dramma al sorriso. O meglio: alla risata. Lei ha donato, lo dico a ragione, quella facilità del ridere immediata, genuina, anche fortemente ironica. Le grandi dello schermo, Magnani, Vitti, Melato, tutte straordinariamente plastiche, immediate nel cambio di ruolo. Dal dramma alla comicità. E’una qualità artistica dell’attrice o del regista, vestirvi di un ruolo, qualsiasi esso sia?
Io credo che i meriti siano condivisi. Di sicuro l’attore è plasmabile. E’ materia viva. Il suo ruolo di “cambio” di personaggi è quello di studiare, approfondire il ruolo per il quale dovrà recitare.
Se ci pensiamo, è l’uomo, inteso come individuo, che ha tutte le corde giuste e al loro posto e che con la propria sensibilità, ha la capacità di variare soggetti, parti, ruoli.
Passo dal comico al drammatico, con grande facilità. Semmai, in una situazione imbarazzante, l’attore che ha doti di spirito ironico e immediato, è in grado con una battuta, di tirarsi fuori dall’empasse del momento.
Noi baresi siamo particolarmente capaci di fare questa cosa: siamo, come si dice, sempre pronti a cavarcela.
La stessa commedia dell’arte, per esempio, ci insegna che anche in un funerale, situazione profondamente drammatica, ci possa essere un momento di sana ilarità, un po’ per sfuggire al dolore, un po’ per strappare al momento, un attimo di serenità interiore.
L’attore, anche grazie al regista, riesce a cogliere drammaticità e ironia. La visione del regista è importante e fondamentale. E’ grazie al regista che l’attore può capire e scoprire, parti di sé che a volte ignora.
“Scena madre”
Tante donne, tante storie. Non crede siano indispensabili i percorsi personali per capire quella donna, quella storia?
Io non sono mamma, ma mi è capitato di interpretare la madre di uno dei personaggi di una commedia di Luigi Pirandello.
Un ruolo profondamente drammatico. Nonostante non abbia vissuto una maternità, il compenetrarsi in una donna con un suo vissuto molto diverso dal mio, mi permette di vivere questo caleidoscopio di sentimenti e portarli in scena.
L’attore che studia i buoni metodi e poi guidato dal regista, riesce a simulare e a essere il più verosimile al ruolo che nella sua vita non è. Le esperienze di vita fanno molto basta la propria sensibilità per entrare in un personaggio. Esistono personaggi che sono così perfetti da esprimere tutte le emozioni volute dall’autore.
Sg.ra Genga, glielo devo proprio chiedere però col tono divertito: com’è lavorare con lei?
Con me? Ma io mi auguro che sia divertente. Nel senso che non sono un’attrice “sorda”. Ci sono attori che non “sentono” l’altro.
Non lo sono nemmeno come persona. Sono con gli altri. “Sento” gli altri. Ovvio che non sto alludendo all’udito legato come orecchio, ma parlo di attenzione nei confronti degli altri.
Sono attenta all’umore del collega in quel momento. Un suo stato d’umore non ottimale, un disagio, lì, allora, mi sento partecipe di quel suo stato d’animo e naturalmente, il corso del lavoro diventa più sereno. Non sono competitiva.
“Scena madre”. Antonella Genga e Paolo Panaro
Questo, credo, sia una delle carte che permettono di potere considerare il o la collega, amici di questo carrozzone che è il teatro. Ognuno di noi del mestiere di attore è un unico. La competitività non ha senso.
Sono un’ottima ascoltatrice, come mi dicono le amiche e gli amici e questo probabilmente, è una buona qualità per rispondere che, sì, lavorare con me è divertente e comunque andrebbe chiesto alle mie colleghe e ai miei colleghi che hanno questo impegno a lavorare con me.
Nico Salatino
Colleghi/amici. Spigliata e empatica com’è, non è possibile non amarla. Sarò impertinente: serve avere nemici? Non mi fraintenda, non nel senso distruttivo, ma come crescita interiore per imparare a NON essere con chi non ci vuole bene…
Domanda molto importante, questa qui. Ho potuto comprendere che non si può essere simpatici a tutti e nemmeno essere nelle grazie di tutte le persone che conosci.
Anche perché l’aspirazione delle persone umili e sensibili, sarebbe quella di non avere nemici. Una volta c’era qualcuno che diceva: “Molti nemici, molto onore”, magari è un’allusione un po’ politica ma lasciamo stare. Se hai dei nemici è perché hai fatto qualcosa che loro non possono fare.
I nemici o chi non ti apprezza, potrebbero servire per farti capire che cosa non funziona in te. Un’utile auto-critica, può migliorare il proprio rapporto con gli altri.
Essere più attenti alle cose che si fanno, alle scelte, anche per migliorarsi per una crescita personale, non per avere più pubblico.
Sì, sì: sono sicura che avere nemici sia importante e comunque di questi nemici, se dovessero esserci, diciamo questi “critici”, ci si accorge in età matura, dopo avere fatto esperienze di lavoro e di vita.
Veloce: cinema, teatro, televisione. Di chi potrebbe fare a meno?
Del cinema, probabilmente. Ho diverse esperienze cinematografiche per la TV. Però non perché il cinema non mi abbia scelta per diverse interpretazioni, potrei sembrare che la mia scelta sarebbe una ripicca, anzi. In realtà è perché il rapporto che ha l’attore del cinema con il pubblico, non c’è.
Per me il pubblico è importante, la presenza del pubblico dal vivo, lo percepisci, lo senti. Su tutto, su tutti, è del teatro che non potrei fare a meno. E’ immediato, è estemporaneo, è vivo. La comunicazione non è artefatta.
Tu stessa avverti la risposta del pubblico durante uno spettacolo. Ti viene la strizza, hai le spalle strette, sei attenta. Senti il loro respiro. Il teatro è magico.
Maria Giaquinto
Col cinema le cose si costruiscono fino alla perfezione. Il cinema americano è straordinario. Gli attori del cinema vivono il loro personaggio portandoselo dentro per tanto tempo. E’ una capacità d’introspezione assoluta.
Apprezzo tantissimo, però il rapporto col pubblico arriva dopo ripetute volte della stessa scena e quindi il rapporto che hai è sul set.
Ecco perché dico che del cinema potrei farne a meno. La televisione è una via di mezzo. Arrivi nelle case delle persone lì dove loro non possono raggiungerti. E’ indubbio: il teatro è prima di tutto.
Ha facoltà di citare chi le è stato maestro nella sua carriera. A chi deve la sua arte?
Non uno solo. Prima di tutto al bel teatro e alla bella televisione che ho visto durante la mia infanzia. Quando la televisione era educativa, ingenua, casalinga. Una televisione garbata.
Quando in televisione c’erano gli sceneggiati dei grandi autori della letteratura italiana e straniera. Imparavi dalla televisione.
Giuseppe De Trizio
De Filippo, Totò, Ave Ninchi, Anna Magnani, Manfredi… Diciamo che questi erano i maestri che mi hanno ispirata da adulta. E poi ci sono coloro che mi hanno dato una mano vera e quindi Nico Salatino, Vito Signorile, Paolo Panaro, e tante attrici e colleghi.
Ho cercato di carpire il meglio o almeno, quello che pensavo fosse il meglio, del loro professionismo. Sicuramente dimenticherò molti altri e mi scuso, per esempio ho un ricordo bellissimo di Michele Napoletano, grande creativo dell’arte scenica, con cui mise su uno spettacolo di Raffaele Viviani.
Alfredo Vasco, artista di non facile comprensione per la sua scelta di testi di profonda interiorità e per il quale ho una sincera gratitudine perché mi ha formata in maniera indelebile, insegnandomi ad affrontare di pancia, le difficoltà tecniche della recitazione.
Mariolina De Fano (1940 – 2020)
Roberto Petruzzelli, Rocco Chiumarulo, Maria Giaquinto. Mariolina De Fano, soprattutto, che fin da bambina andavo a vedere le commedie con Nicola Pignataro.
Ognuno di loro mi ha lasciato un pezzettino della loro saggezza e del lavoro. Sono grata a tutti loro. Ma non dimentico Uccio De Santis che mia ha insegnato la TELEVISIONE.
L’esperienza televisiva ha tempi completamente diversi e Uccio mi è stato maestro. Spero invece di avere lasciato anch’io qualcosa a loro. Proveniente dal teatro, quello forse un po’ più accademico per approdare a quello di tradizione, qualcosa da entrambi, s’impara.
Roberto Petruzzelli
Una donna che vorrebbe interpretare?
Madame Bovary o comunque donne dalle forti caratteristiche di ribellione dal proprio stato di mogli, madri, amanti.
Donne che sfidano i luoghi comuni che le vogliono relegate nei ruoli di donna remissiva, inetta, dedita a procreare, alla casa, al marito.
Giulietta è un personaggio invece che mi commuove. L’amore assoluto, non legato alla fisicità, innamorata dell’amore.
Credo di avere anche il phisique du role. Forse un po’ sottovalutata per poterlo interpretare, ma comunque in uno spettacolo portato in teatro, fui la nutrice di Giulietta, questo, almeno, mi introdusse nella magia di Shakespeare.
Uccio De Santis
Ci regalerà un monologo? Ce lo aspetteremmo, sa? Lo hanno fatto Mariangela Melato, Teresa Mannino, Anna Marchesini e adesso m’inchino: Bice Valori, Franca Valeri.
…che sono tra l’altro le mie maestre. Allora: Qualche anno fa, mi è capitato di essere chiamata dal Comune di Bari, grazie ad un suggerimento di Vito Signorile, tra gli attori del teatro popolare, per mettere su uno spettacolo al femminile.
In quel periodo Mariolina De Fano era meno presente sui palcoscenici ed avendo esperienza di teatro popolare, fui spronata proprio da Signorile, a mettere in scena uno spettacolo da protagonista.
Essere sola in scena è un lavoro di alta professionalità e, onestamente, non ho questa ambizione da unica diva del palcoscenico. Portai con me in scena un chitarrista, il bravissimo Giuseppe De Trizio, che spesso mi accompagna in serata musicali.
Il cast di Mudù
Decisa la sceneggiatura, della quale mi occupai e le scelte musicali, venne su uno spettacolino che fu portato in piazza della Chiesa del Redentore.
Furono citati e cantati autori e compositori baresi, uno spettacolo sulla baresità tanto che Vito Signorile, l’anno dopo, si propose come regista per riproporla in teatro.
Il titolo era “Quann la femmen”, uno spettacolo popolare dialettale, nel quale recito e canto dando vita alla tipica donna barese, forte, popolana, una donna dalle forti tradizioni cittadine.
Una donna vista nelle sue varie fasce di età: dall’adolescente innamorata alla giovane mamma, dalla matura donna dal vissuto dedito al marito alla madre disperata con un figlio irreprensibile.
Umberto Sardella, Uccio De Santis, Antonella Genga
Dal comico al drammatico sempre accompagnata da Giuseppe De Trizio. Ho in mente di preparare un monologo in lingua, drammatico o brillante, ispirandomi alla grande Franca Rame e alla sua intelligente ironia.
Antonella Genga, Uccio De Santis, Loredana Ceci
Un’ultima domanda: fuori dai set, mi troverò di fronte l’attrice o l’amica? Sa com’è, molti artisti fanno gli artisti anche fuori dalle scene, insomma, dietro ognuno di loro ci sarà pure un uomo o una donna, le pare?
Quando incontrerai me, troverai Antonella, l’amica, la donna, la sorella. Antonella che non si preoccupa di parlare con la voce impostata, che non ha l’enfasi della gestualità esagerata e che quando deve dire una battuta in dialetto, la dice e basta.
Che poi Antonella abbia un’anima sensibile, un’anima che si commuove facilmente, Antonella che si preoccupa che tu stia bene… e bè, quella è la donna come tante e che ha con sé una valigia piena di altre donne ma che non dimentica di essere sempre se stessa.
Dice giusto Antonella Genga: “…io sono quella donna come tante, che ha con sé una valigia piena di altre donne”. Colpisce profondamente questa considerazione del sè.
Quella valigia ha i panni e le vesti delle molte donne nelle quali, lei attenta osservatrice del mondo, indossa.
C’è una profonda empatia con l’essere femminile che rende generosa la sua interiorità di donna.
Questa è la sua naturale indole all’interpretazione. Attenti però: dismessi quegli abiti, spogliata di quelle donne, lei torna Antonella. Quale essere speciale può prendere se stessa e continuare a essere se stessa?
Poche!
Gianni Pantaleo.