di Adele Dentice.
C’è un quadro, Le tre età della donna di Klimt, dove la donna anziana sembra voler uscire per dare spazio alla giovane e proseguire verso un altrove non individuabile nel recinto del dipinto. E’ un passaggio naturale, uno sfondo delicato che racchiude l’intensità di una vita vissuta; i capelli grigi, il ventre appesantito, testimone della maternità passata, la schiena curvata dal peso di un’intera esistenza, una disperazione cupa ma dignitosa.
“Le tre età della donna” (1905) Gustav Klimt (1862-1918).
Un’immagine della vecchiaia che non ricorre agli stereotipi dell’anziano rispettato e tenuto in grande considerazione o all’ accentuato realismo della decrepitezza della Maronide, la cui rugosità del volto, la bocca aperta e sdentata esprimono un degrado che è allo stesso tempo fisico e morale. E’ un’inevitabile, disperata, ma contenuta, uscita di scena, quella della donna anziana di Klimt, come un fiume che scorre in acqua trasparente con storie sotterranee tenute celate per pudore. La vecchiaia è, comunque, una stagione difficile della vita e gli stessi artisti sono restii a rappresentarla; è terribilmente faticoso saper cogliere la poesia di un periodo in cui si tirano le somme di un’intera esistenza, senza precipitare nel patetico rimpianto o, peggio ancora, nella grottesca rappresentazione dell’età lacerata dal tempo. Nell’arte classica abbiamo grandi esperimenti come la Maddalena di Donatello dove la miseria cede il passo all’altissima dignità del soggetto, o la Vecchia di Giorgione, che sembra raccontarci la sua vita, ma oggi è particolarmente complicato disegnare un’età in cui le ferite più profonde non sono quelle delle malattie o della miseria quanto la consapevolezza di essere stati messi da parte, con Le Spalle al Muro, come cita una celebre canzone di Renato Zero. Oggi, si è più soli o meglio isolati, ce lo gettano in faccia i toni aspri dei quadri di un giovane e vitale Morbelli, che mosso dal desiderio di documentare la vita nel ricovero Pio Albergo Trivulzio, è stato capace di sfidare la società indagando la realtà dei poveri vecchi, obbligati a spendere nel ricovero i loro ultimi anni.
“Maria Maddalena”, scultura in legno, Donatello (1386-1466).
“Vecchia”, Giorgione (1478-1510)
Una società patologica, edonistica, la nostra, che considera l’anzianità un nome astratto , ai confini dei pensieri, che pare esaltare il corpo fino all’inverosimile, fino al parossismo; gli stessi vecchi scimmiottano comportamenti giovanilisti, rinnegando i propri anni; ormai il corpo non è altro che una merce, utilizzabile per i propri scopi, economici o di piacere. Vietato invecchiare, la regola fondamentale di vita, si può vivere come se si avesse 10 anni di meno con l’aiuto della chirurgia estetica, congelando la propria bellezza ed estirpando all’origine il rischio di riflettere sul senso e sul valore che i segni del passato, impressi sui nostri corpi, ci trasmettono.
Adele Dentice.
In copertina: “Il poema della vecchiaia”, Angelo Morbelli (1853-1919)