di Giovanni Francesco Cicchitti.
Tra le gemme meno note ma più affascinanti del Rinascimento c’è un dipinto che racconta una scelta eterna, sospesa tra spirito e corpo, virtù e piacere.
È Il Sogno del Cavaliere di Raffaello, opera nata probabilmente intorno al 1503, proprio in quegli anni in cui l’artista fece un breve viaggio a Roma, forse in occasione dell’ascesa di Giulio II al soglio pontificio.
Il cavaliere dorme sullo scudo, avvolto in un silenzio che sembra fermare il tempo. Davanti a lui, due figure femminili allegoriche – la Virtù e il Piacere – attendono, non come nemiche ma come opposte possibilità da abbracciare o rifiutare.

Raffaello Sanzio (1483-1520).
Il sogno del guerriero – Museo Condé di Chantilly.
La Virtù indica la strada più impervia, il cammino della conoscenza e della disciplina; il Piacere si presenta con abiti leggeri, invitando alla seduzione dei sensi.
Raffaello non ci mostra una semplice contrapposizione, ma un equilibrio perfetto, sottolineato dall’alberello al centro che divide e unisce al tempo stesso.
Il dipinto sembra riflettere quel pensiero neoplatonico caro agli intellettuali fiorentini: l’armonia possibile tra le due nature dell’uomo, la tensione e l’incontro tra anima e corpo.

Nel tempo l’opera ha attraversato collezioni e geografie: dai nobili Borghese di Roma, dove rimase per secoli, fino a giungere in Inghilterra, oggi custodita in un museo londinese dal 1847.
Restano tracce del suo passaggio, come il cartone preparatorio con i segni dei forellini che servivano a trasferire il disegno sulla tavola, conservato al British Museum, testimonianza tangibile del genio di Raffaello.
Ma quello che più resta impresso è quel sogno sospeso, quel bivio che ogni giovane – e forse ogni uomo – si trova ad affrontare: quale via scegliere, quale destino abbracciare, quale voce ascoltare dentro il silenzio del proprio sonno?
Giovanni Francesco Cicchitti.
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