di Trifone Gargano.
Dai jeans «Jesus», al Natale «Cucù»: il degrado è giunto al capolinea.
Pier Paolo Pasolini, in un celeberrimo articolo apparso sul «Corriere della sera» il 17 maggio 1973 (cinquant’anni fa, tondi tondi), si scagliava contro la manipolazione (la mercificazione) del testo di uno dei Comandamenti della Chiesa cattolica:
Sembra folle, ma un recente slogan, quello divenuto fulmineamente celebre, dei «jeans Jesus»: «Non avrai altri jeans all’infuori di me», si pone come un fatto nuovo, una eccezione nel canone fisso dello slogan, rivelandone una possibilità espressiva imprevista, e indicandone una evoluzione diversa da quella che la convenzionalità — subito adottata dai disperati che vogliono sentire il futuro come morte — faceva troppo ragionevolmente prevedere.
Profetiche le parole di Pasolini, nel momento in cui, in quell’articolo, vaticinava la fine della Chiesa, e la perdita totale, in nome del mercato, del «senso religioso», nella nostra società sempre più secolarizzata e asservita al Dio Mercato:
[…] il fascismo non ha nemmeno scalfito la Chiesa, mentre oggi il Neocapitalismo la distrugge.
L’accettazione del fascismo è stato un atroce episodio: ma l’accettazione della civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo, il cui cinismo non è solo una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino.
Giotto, Il Presepe di Greccio (XIII sec.)
Per affondare, qualche rigo più avanti, il suo lucido bisturi:
Il futuro appartiene alla giovane borghesia che non ha più bisogno di detenere il potere con gli strumenti classici; che non sa più cosa farsene della Chiesa, la quale, ormai, ha finito genericamente con l’appartenere a quel mondo umanistico del passato che costituisce un impedimento alla nuova rivoluzione industriale; il nuovo potere borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente terreno è quello in cui può svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo.
Trifone Gargano
Con la forza espressiva di un odierno tweet, Pasolini concludeva la sua analisi (sulla gravità dell’utilizzo del testo di uno dei Comandamenti cattolici come slogan pubblicitario) con l’affermazione dolente (ma profetica) che, nella nostra società capitalistica e borghese, non c’è più spazio per la religione e per la Chiesa.
Non diversamente potremmo commentare il caso di questi giorni, di questo Natale 2023, salito ai (dis)onori della cronaca, con quelle maestre di Agna (in provincia di Padova), che, con disinvoltura (e con una buona dose di ignoranza), hanno sostituito al nome Gesù, per la recita di natale, l’espressione «Cucù», forse, azzardo un’ipotesi, per mera associazione fonetica (Gesù – Cucù), spiegando questa loro genialata con un presunto atteggiamento di “rispetto” nei confronti delle altre religioni presenti e professate in Italia (forse, anche, all’interno del loro gruppo classe).
Mi permetto, da laico, di far notare alle maestre di Agna che hanno sbagliato ben due volte. Hanno sbagliato, per la prima volta, in tutti i giorni dell’anno scolastico, nel momento in cui, evidentemente, hanno confuso l’educazione religiosa, cioè, l’educazione a sviluppare un senso religioso della vita, dell’uomo e del mondo, con un momento di catechismo cattolico.
Lo Stato italiano, in Costituzione, non prevede che si faccia educazione al cattolicesimo, ma educazione al senso religioso, alle fedi, a tutte le fedi, in quanto visioni del mondo e dell’uomo.
Compresa, anche, l’educazione all’assenza di senso religioso, all’ateismo, che qualche bambino potrebbe aver già sviluppato.
E hanno sbagliato una seconda volta, in occasione della recitina di Natale, con la ridicolizzazione della figura (e del significato) di Gesù, che, per i credenti, è il Cristo (e non un orologio svizzero).
Papa Onorio III (1150 – 1227)
Gesù il Cristo, per fede, e secondo il racconto dei Vangeli. Non Gesù orologio a Cucù.
Buon Natale, allora, mi azzardo a scrivere, in chiusura di articolo. Buon Natale in memoria di quel primo presepe realizzato ben ottocento anni fa, dal poverello d’Assisi, san Francesco, nel dicembre del 1223, di ritorno da Roma, dove (finalmente) aveva ottenuto da papa Onorio III l’approvazione della Regola dei frati minori, fermandosi nel piccolo borgo di Greccio, e decidendo di allestirvi la prima rappresentazione della nascita sulla terra di Gesù, il Cristo.
In copertina: Giotto, Il Presepe di Greccio (XIII sec.)