di Gianni Pantaleo.
Saranno percorsi non comuni, ma per Maurizio Sarubbi, la strada attraversata, gli era stata già segnata. Spesso di un gioco ci si stufa. Capita, ed è successo a tutti noi, che quel gioco cominciava ad annoiarci, cercandone un altro con cui continuara a giocare. L’attore Sarubbi, di quel gioco ne fa professione.
Nell’intervista che presentiamo, si percepsice quanto quel gioco, dal quale tutto cominciò, mai lo appagò del tutto. Ovvia, quindi, che quella strada, non era stata ancora del tutto percorsa e impavidamente, come da sue parole: “…tante delusioni, di tante rivalità che…”, fonda e diventa egli stesso autore e produttore di quello sconosciuto e incantevole pianeta che si chiama Teatro.
da “Gestizie je fatte”
Lei è tra i più preparati attori del teatro pugliese. La sua carriera nasce però da una passione. Passione che approfondisce partecipando a laboratori con professionisti della prosa. Cosa, esattamente, l’ha spinta a questa scelta artistica?
Ho iniziato a fare teatro per gioco con un gruppo di amici. Col passare del tempo, mi sono appassionato sempre di più, studiando per conto mio. Ho cercato, sin dall’inizio, di creare un qualcosa che fosse tutto mio e non dettato da altri, motivo per il quale ho fatto la scelta di non seguire alcun laboratorio, perché penso che i laboratori, in genere, servano a dettare le regole di base, poi in un modo o nell’altro bisognerebbe staccarsi per poter crescere artisticamente.
Le sue prime esperienze teatrali sono di importanza artistica notevole. Le cito: “L’anatra all’arancia, “Quattefacce”, “La cena dei cretini” e tutte opere con registi preparatissimi, tra i tanti, Francis Veber. Un inizio di carriera ben ponderata. Chi tra loro, le è stato il “maestro”?
Questi tre titoli citati, fanno parte dell’approccio al teatro, ma fondamentalmente l’autore che mi ha spinto a fare una ricerca maggiore è stato Giovanni Testori, con il suo FACTUM EST portato in scena con la regia di Lino De Venuto. Da questo momento in poi mi sono appassionato ad altri grandi registi, quali Carmelo Bene ed Eugenio Barba, che mi hanno dato le basi per improntare le regie ai miei spettacoli.
da “A mano a mano, parlando di Rino”
Prosa e vernacolo. E’ complessa l’analisi artistica di un attore che si cimenta in queste due qualità attoriali. La prima è di natura letteraria, direi, senza essere frainteso, quasi “colta”. L’altra è di tradizione, di cultura del popolo. Con quali premesse si accinge a studiare un ruolo che sia di prosa o di vernacolo?
L’attore è un corpo neutro, l’approccio è spogliarsi del personaggio che si è fatto precedentemente e ricominciare da capo con il nuovo personaggio, che sia di prosa o vernacolo. Il vernacolo mi ha aiutato ad avere un contatto più diretto col pubblico, coinvolgendolo a tal punto da farlo diventare protagonista dello stesso spettacolo. Con “I FAVOLOSI ANNI ‘60”, ormai alla 55esima replica, è sempre una forte emozione vedere il pubblico, vero e indiscusso protagonista, emozionarsi e divertirsi contemporaneamente ricordando le tradizioni e i giochi di una volta che rappresentano la storia del Sud. E tutto questo mi spinge ad andare avanti e a fare sempre meglio.
Capisco, quindi, che lo studio di un ruolo, di prosa o vernacolo, ha una preparazione psicologica diversa… E’ così?
Certamente, ogni personaggio ha una propria identità e una propria interiorità e deve emozionare in maniera diversa e mai uguale. La prima cosa è proprio studiare il personaggio, renderlo tuo e immedesimarsi. L’importante è ascoltare e comprendere sia il proprio personaggio sia i personaggi dei colleghi in scena.
da “A mano a mano, parlando di Rino”
Si confronta con Pirandello e con Giovanni Testori. Il primo, Nobel per la letteratura nel 1934 e innovatore dell’arte della recitazione, l’altro, artista di ampie capacità, fortemente realista senza enfasi emotive. Mi permetta di apprezzare questi “salti” di grandi capacità interpretative. Mi scuso per la domanda: riesce a “estromettersi” dal suo essere Maurizio Sarubbi ed “entrare” nel ruolo di protagonisti di autori di questa portata culturale?
Assolutamente sì. Molte volte si cerca nei personaggi quello che crediamo di non avere.
E’ naturale allora che lei sia attore! Non è cosa facile “indossare” abiti che un autore o un regista, le chiede di interpretare. Sa cosa apprezzo di lei? Il suo studio. La sua capacità introspettiva per interpretare un personaggio. Che lavoro fa con se stesso, quando deve affrontare un nuovo ruolo?
Azzerare tutto il resto. E’ un po’ come rinascere ogni volta, imparare a camminare per la prima volta. Questo è un lavoro che faccio anche sui miei attori: cerco di cancellare, in funzione dello spettacolo, tutto quello che fanno con altre esperienze teatrali.
da “I favolosi anni ’60”
Tutta questa esperienza, la porta naturalmente ad essere regista. Per favore, ci chiarisca: cosa chiede il regista ad un attore e cosa deve dare l’attore per il regista. Lei ha facoltà di rispondere. Sa perché? Perché è attore e regista, quindi sa bene cosa provano gli attori e cosa chiedono i registi…
Io come regista chiedo innanzitutto il rispetto dei ruoli. Chiedo loro di portarmi materiale in abbondanza per poi selezionare secondo la mia visione. Sono convinto che la democrazia a teatro non deve assolutamente esistere quindi l attore deve dare il materiale che il regista ha deciso. Poi l attore deve fare un lavoro interiore e non di apparenza. Lavoro chiuso nelle coordinate del regista e dello spettacolo ovviamente.
Shakespeare, Čechov… e poi Calvino. Una crescita artistica nel tempo che premia la sua carriera con questi autori. Sapeva che nel suo percorso artistico, li avrebbe incontrati? O sono comparsi nella sua “strada” senza saperlo?
Calvino ad esempio l’ho cercato e voluto io fortemente, altri autori mi sono stati proposti e con lo studio li ho conosciuti, qualcuno l’ho amato di più rispetto ad altri, ma che ognuno mi ha trasmesso e lasciato qualcosa. Tendo comunque a cercare autori e idee originali e di nicchia per non rischiare di portare in scena cose già viste e riviste. Purtroppo capita che uno stesso copione o testo in genere, viene rappresentato da più compagnie contemporaneamente. Forse perché c’è, mi duole dirlo, una mancanza di creatività nell ultimo periodo. Dal punto di vista registico mi piace rischiare evitando i “copia e incolla “ di regie già fatte.
Oggi, Maurizio Sarubbi: sogni, progetti… cosa la soddisfa della sua carriera e cosa la intristisce? Come per tutti noi, le strade del nostro vissuto, sono spesso piene di sassi….
Progetti e sogni, tanti. Il più importante quello di aver fondato a dicembre 2021 una mia compagnia, Compagnia Teatrale Artù, fortemente voluta dopo tanti anni di gavetta e affiancamenti ad altri. E’ stata una decisione presa a seguito, di tante delusioni, di tante rivalità che mi hanno portato a creare e fondare una Compagnia tutta mia, libero di fare i progetti che voglio, scegliendo gli attori che ritengo adatti alle mie regie, e che intendono seguire il mio pensiero.
Penso che la vita sia fatta di percorsi, di salite e di discese e che prima o poi bisogna prendere la decisione che si ritiene più giusta, andando secondo la propria strada e non quella dettata da altri. Penso che faccia parte di una crescita non solo di vita ma anche professionale, se si vuole ottenere qualcosa. All’attivo spettacoli portati in scena già diverse volte (“A mano a mano…..Parlando di Rino”, omaggio a Rino Gaetano di Lidia Cuccovillo e Maurizio Sarubbi; “In Viaggio per Spoon River” di Edgar Lee Master; “Due gatte Randagie” di Aldo Nicolaj; “La scema” di Susi Rutigliano;” I favolosi anni ’60 “di Emanuele Battista e tanti altri) in attesa che riprende la nuova stagione teatrale con nuovi progetti, tra cui “Chi ha paura di Virginia Woolf” di Edward Albee per citarne uno.
Intensa la collaborazione con il Piccolo Teatro “E. D’Attoma” di Bari. Ho già fatto la regia di “Gestizzie je fatte” di E. D’Attoma e sto prepparando insieme all attrice Nietta Tempesta “l‘importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde. Il rapporto con Nietta Tempesta è fondamentale per la mia formazione. Lavorare con lei è un grandissimo onore. Sogni…cos’altro aggiungere, sì questo: vi aspettiamo a teatro, perché il teatro ha un fascino speciale sia per chi lo fa che per chi lo va a vedere.
Non traggo analisi complesse in Maurizio Sarubbi. Si tende a considerare che la vita di un artista, sia il prodotto di una sua profonda insoddisfazione narcisistica.
Di un bisogno protagonistico difficilmente controllabile. Si potrebbe, a ragione, considerare che se non sei così vanaglorioso e ambizioso, difficilmente la propria carriera possa decollare. Il successo. Le copertine dei tabloid.
Le luci del palcoscenico. Nulla di tutto questo è in Maurizio Sarubbi. Lo spiega il suo tracciato artistico: il gioco, la passione, l’amore per una delle discipline artistiche più complesse e anche più effimere dello spettacolo: la prosa.
Questo modus dell’attore Sarubbi, il pubblico lo sente, perchè quando è in scena, quello che egli trasmette, è solo l’emozione di un eroe che vuole solo suscitare nello spettatore la commozione di un racconto.
Gianni Pantaleo.
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