sabato, 23 Novembre, 2024 9:09:30 AM

Bari – Un po’ di antropologia del Carnevale

Un po’ di antropologia del Carnevale…tra radici e alimentazione in Puglia.

Il Carnevale affonda le sue radici in riti naturali antichissimi, probabilmente ancora più antichi di quelli romani cui spesso ci si richiama. È una festa che si collega alla vita contadina e presenta assieme elementi di morte ed elementi di vita, riti di passaggio e di propiziazione.

Sta finendo l’inverno, che dunque muore, e sta arrivando la primavera, che dunque è vita nuova, e i riti propiziano raccolti abbondanti senza eventi negativi.

La popolazione è connessa alla natura, non c’è separazione, e dunque anche le persone muoiono e rinascono assieme alla Natura, ma non solo: si preparano già le nuove scorte alimentari e si possono consumare quelle vecchie che sono state centellinate, prima che si guastino.

Un altro elemento fortemente caratterizzante del Carnevale è il rovesciamento: chi è povero si traveste da ricco e comanda, chi è ricco si traveste da povero e subisce.

Uomini e donne si travestono per cambiare genere, perchè il momento di passaggio è un momento in cui tutto può accadere ed anzi deve succedere, per sfogare malcontenti e ripulirsi da ansie e malumori che potrebbero incidere negativamente sul futuro che sta arrivando e deve essere propiziato.

Perfettamente coincidente con le feste romane è dunque l’elemento di libertà e sfogo, anche libertino.

In linea generale il Carnevale presenta numerosi elementi psicopompi, che cioè rappresentano assieme la vita e la morte, come ad esempio la presenza di animali a due zampe (una rappresenta la vita, l’altra la morte), un tipo di passo ondulatorio da una gamba all’altra dei personaggi mascherati che sfilano o portano a braccia personaggi allegorici, la presenza di personaggi e maschere che muoiono e rinascono immediatamente, a simboleggiare appunto l’inverno e la primavera.

Con l’avvento del Cristianesimo, che considera l’elemento dionisiaco delle feste romane inaccettabile, il Carnevale cambia e gli elementi cristiani si sovrappongono a quelli pagani.

Così i riti psicopompi restano ma la morte e la vita vengono legati alla Quaresima, che prepara le persone alla Pasqua. Il personaggio che muore e rinasce è l’uomo che muore al paganesimo e rinasce al cristianesimo attraverso la penitenza quaresimale.

Caronte, personaggio psicopompo

Ma i significati arcaici trovano mille modi per trasformarsi in modo da essere accettati, e soprattutto il momento di sfogo tanto importante per le collettività non può essere eliminato, per cui si cerca di gestirlo e renderlo innocuo, mantenendo il mascheramento e privandolo per quanto possibile dell’elemento dionisiaco sfrenato e libertino.

Restano invece le gratificazioni della gola e della pancia piena, già tanto significative per popolazioni povere. Risulta particolarmente interessante capire quali fossero le pietanze che si potevano preparare con le scorte alimentari con cui ci si riempiva la pancia in attesa dei raccolti.

In epoca romana troviamo soprattutto presenti in Puglia le olive e l’olio. Sono numerosi gli scritti, ma possiamo tranquillamente definirli manuali, che stabiliscono come trattare gli ulivi e quanti e quali tipi di olio possono essere realizzati, e con quali scopi.

Catone nel De agri cultura, Gaio Plinio il Giovane nella Naturalis historia e Columella nel De re rustica parlano a lungo delle tecniche di coltura, della potatura, censiscono anche dieci varietà di olive e cinque tipi di olio.

Il più pregiato, dal sapore intenso, era ricavato da olive tra il verde ed il verde chiaro ed era “oleum ex albis ulivis”. L’”oleum viride strictivum” era ottenuto in dicembre/gennaio dalle olive invaiate, maturate fino a cambiare colore, ed utilizzato per la cura del corpo.

Con le olive mature era prodotto l’”oleum maturum”. Con i frutti caduti per terra era realizzato l’”oleum caducum” mentre con le olive di scarsa qualità era prodotto l’”oleum cibarum” destinato agli schiavi.

Catone

Infine l’olio di recupero veniva usato per lubrificare. Oltre l’olio con i suoi svariati utilizzi, era pratica comune in epoca romana consumare olive ad ogni pasto, sia all’inizio come aperitivo che alla fine e dunque conservarle in modi diversi.

Venivano colte ed immediatamente conservate sott’olio oppure in salamoia, e preparate per il consumo triturandole e condendole con vari aromi e miele. Le olive chiare erano anche conservate sott’aceto ed erano immediatamente pronte all’uso.

Oppure con le più grosse e pregiate si realizzava una conserva che veniva utilizzata come companatico ed era saporita ed economica. Columella descrive una conserva di olive dette colymbadae, cioè affiorate, perché galleggiavano in un liquido composto per un terzo da salamoia e due terzi di aceto.

Catone descrive l’eptyrum, prodotto con le olive migliori: una salsa molto saporita ottenuta da frutti colti quando iniziavano appena ad ingiallire, asciugati sulle stuoie al vento, sminuzzate e condite con sale e aromi, e coperte d’olio in un vaso.

Anche le olive nere potevano essere conservate con trenta/quaranta giorni di salagione, dopo di che, eliminato il sale, venivano conservate in un concentrato di mosto. Le olive potevano essere conservate sotto sale con semi di finocchio selvatico ed altre bacche.

D’altra parte, non bisogna pensare che l’olio fosse consumato largamente. Catone ad esempio indica il cavolfiore come una verdura che risultava cara perché per renderla saporita era necessario utilizzare molto olio.

Cici e tria

Viene ancora descritta l’agliata, una salsa realizzata con molto aglio, aceto e poche gocce di olio, per condire i cibi. L’olio realizzato in Puglia era considerato pregiatissimo e dunque destinato al commercio.

Possiamo immaginare, in mancanza di racconti storici, che i banchetti carnascialeschi in epoca romana fossero a base di panificati conditi con le salse a base di olive e di miele, e carne secca.

Per avere altre notizie bisogna arrivare in epoca medievale in cui troviamo i ricettari dell’epoca di Federico II, in cui l’olio è citato poco e niente, e le pietanze sono già “contaminate” dagli usi arabi.

Gli arabi infatti con la conquista della Sicilia portarono anche l’uso di ceci, fave, lenticchie, melanzane, l’uso dell’agrodolce con zucchero e aceto come metodo di conservazione e condimento (scapece), la mandorla, la pasta.

Inutile sottolineare come questo arricchimento abbia giovato all’alimentazione. Una ricetta derivata dagli arabi in Puglia è la famosa “ciceri e tria” in cui “tria” deriva direttamente da “itriya”, la sfoglia di pasta.

Un esempio è dato dalla ricetta della purea di fave contenuta nel De libera coquina del 300, in cui le fave bollite e schiacciate erano condite con miele o con olio d’oliva.

Figura psicopompo

O la parmigiana di melanzane fritte, le polpette di carne e tante altre delizie. Torniamo però al carnevale e alla pancia finalmente piena dei poveri.

Per le feste dell’antico carnevale dunque i cibi che potevano ( e dovevano) essere consumati erano i prodotti vegetali che erano asciugati al sole e al vento sulle stuoie e sui graticci, o tenuti a seccare a rami interi come i ceci.

Quindi ortaggi, legumi, carne secca, i panificati e i dolci con miele e con zucchero, con ricotta, fritti al momento oppure cotti al forno.

Una domanda sorge spontanea: cosa si mangiava quotidianamente in epoca antica? In epoca romana si faceva largo consumo di verdure e carne di maiale.

Accurati studi di archeozoologia hanno dimostrato la prevalenza di carne suina, accompagnata da pesce, sia marino che lacustre, molluschi sia di terra che di mare, formaggi.

In epoca medievale si è rilevata una drastica diminuzione di carne suina a favore dell’ovicaprino e del bovino, stabile invece il consumo di pesce e molluschi.

Naturalmente l’alimentazione dei poveri non era basata sulla carne se non sporadicamente o eccezionalmente.

Alcuni piatti arcaici prevedono l’utilizzo di agnelli o capretti in ogni parte, incluse le interiora che venivano arrotolati nei budelli dell’intestino ed arrostiti, ed è pensabile che in occasione della Pasqua fosse previsto il consumo di un agnello come previsto nelle sacre scritture.

In Puglia l’economia era basata sulla cerealicoltura e sulla pastorizia, quindi l’alimentazione quotidiana includeva pane, latte e formaggi in piccole quantità, erbe selvatiche come la cicoria e quelle coltivate, che come detto grazie agli apporti arabi erano molto più varie, includendo fave, piselli, ceci, lenticchie, melanzane.

Per vedere sulle tavole patate e pomodori bisognerà aspettare qualche secolo, quando queste tipologie saranno importate dalle Americhe.

Nel corso dei secoli l’alimentazione è aumentata e variata, anche se i poveri non potevano consumare se non quello che era alla loro portata: pesci di mare o di fiume, molluschi di terra e di mare, verdure ed ortaggi, pane e panificati, qualche formaggio e latte, ed eccezionalmente carne ovocaprina o di animali da cortile come l’oca o il piccione, fino a quando non prese piede anche il pollame.

Sicuramente il Carnevale e la possibilità di saziarsi e di mangiare cibi preclusi normalmente era realmente un momento eccezionale.

Valeria Cristiano.

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