Capita spesso di dover discutere di fatti, avvenimenti, di amici. Lo facciamo spesso perchè sono motivi di interesse goliardico, sociale e perchè no, anche di curiosità di questo, di quello, di quell’altro. E’ un sano “chiacchiericcìo” (con l’accento sulla quarta sillaba). No, non ridiamoci su. Il nostro linguaggio è spesso “farcito” di termini di altre lingue, inserendoli nel contesto di un nostro discorso, di un nostro “interloquire”, anche mentre divertendoci, facciamo…”gossip”. Gossip, shopping, planning, briefing, ci stanno tutti. E sono corretti, per carità. Ogni vocabolo ha uno specifico significato. Peccato che nelle lingue sassoni, un solo vocabolo ha molti significati. Comune errore è inserirla nel contesto della frase e per lo più è pronunciata senza, purtroppo, conoscere il reale significato, il giusto termine per identificare cosa si vuol dire. Non fraintendetemi, vi prego: non sono un nostalgico, nè un reazionario, adopero e uso tecnologie sempre aggiornate, anzi: riconosco di essere “malato” di pc, software, ecc. Scrivo e leggo in altra lingua con molta dimestichezza. Non dico mai, sottolineo mai, la patetica frase “Ehhhhhh….ai miei tempi”. Ma spesso, per discrezione o magari per non mettere in difficoltà chi in quel momento mi parla, vorrei chiedere “Ma il planning del book che presenteremo durante il briefing on line che l’editor ha plubbicato on demand…che vorrdì? (romanesco). Nulla in contrario, eh, niente di contestabile, io stesso adotto questo speaking. Ma poi mi fermo e tornano in mente i miei maestri elementari che insegnavano la corretta pronuncia di una lettera, la sillaba, “la parolina”. E poi alle medie, leanalisilogichegliaccentileelisionigliarticolilelettureelevirgoleeipuntieleesclamazionilavocechesimodulaproprioperessilepauseilrespiro...la sonorità della nostra lingua. Mediterranea. Latina. Italiana. Ho vissuto spesso all’estero, ho studiato e lavorato girovagando un po’ della nostra amata Europa. Capitava che quando io, italiano, parlavo o intervenivo durante un pranzo di pausa (breackfast?) con intorno seduti tutte le lingue europee con ognuno che parlava la propria all’altro che parlava in spagnolo che parlava in inglese che parlava in tedesco e tutti, bene o male, ne parlavamo almeno un’altra per comprendere, per capirsi l’un l’altro, bene, quando si sentiva il “suono” della lingua italiana, scendeva il silenzio e ascoltavano. Guardandomi intorno mi scusai per coloro i quali non capivano la mia lingua. E invece…invece erano lì ad ascoltare come parlavo in…italiano. Impossibile per noi “sentirci” come parliamo in italiano. Capiamo la dolcezza del “suono” della lingua francese. La “durezza” delle sassoni”. La “cantilena” greca o il “sonoro” ispanico. Alle orecchie dei nostri fratelli europei, quando un italiano parla…canta. Il suono della lingua italiana è un canto. Ma pensa…
Le lingue si evolvono, non c’è dubbio. Si arricchiscono di vocaboli, di nuovi entrano nel lessico e quando diventa di popolo entra nei dizionari. Questa, signori lettori, è stata un riflessione sul nostro linguaggio. Chiamare “darling” la mia “lady” fa un po’ soap opera (lo sceneggiato insomma!).