di Giovanni Ferruccio Labella.
Un doverso contributo ad una delle voci più applaudite della lirica di oggi, è per Lidia Tamburrino, soprano di profondo spessore artistico e soprattutto culturale. L’intervista del nostro inviato Giovanni Ferruccio Labella, è fresca, scorrevole e a tratti anche “divertita”.
Sì, perchè entrambi, redattore e artista, sono persone che dal loro lavoro traggono una positività gioiosa e giocosa dando un senso all’Arte come elemento indispensabile di gioia della Vita.
Lydia Tamburrino, soprano.
Qual è stato il suo primo approccio con la musica, con quali insegnanti si è formata e quali cantanti ascoltava da piccola?
Da bimba veramente in erba, ho il ricordo di mia cugina Virginia, molto più grande di me, che suona il pianoforte. Trascorrevo tante ore nella sua casa, dove tra i profumi inebrianti della cucina, le orecchie venivano accarezzate dai suoni emessi dal pianoforte.
Lei, Virginia, mi comprò il primo quaderno pentagrammato. L’opera entra nella mia vita intorno alla prima adolescenza, quando alle scuole medie si formavano i cori scolastici per intonare “Le Zingarelle” della Traviata.
Lì scocca una scintilla, capisco di avere una facilità e potenza vocale e vengo indirizzata dalla professoressa di Musica ad un cantante professionista. Senza dire nulla a casa, mi presento all’audizione accompagnata dalla mia più cara amica, che si chiama Maria Pia.
Eravamo due giovanissime ragazze di terza media. Da quel momento la mia avventura ebbe inizio. Mia sorella Virginia (si chiama come mia cugina) mi regalava sempre raccolte o di Maria Callas o di Renata Tebaldi.
Però, a 15 anni m’innamorai di Brahms. Mi sono sempre sentita descritta nel concerto di pianoforte e orchestra n. 2. Mi sembrava parlasse di me, di tutto ciò che sentivo agitarsi nelle mie parti più recondite.
Ad un concorso di canto al quale lei ha preso parte, in giuria c’era il celebre soprano Antonietta Stella. Che cosa ricorda di quella serata?
Nel 1992 il Sovrintendente Cresci, del Teatro dell’Opera, bandì un concorso per formare un vivaio per il teatro. Nella commissione c’era – è vero – Antonietta Stella. Avevo solo 21 anni e portavo arie del Trovatore.
Ricordo che ebbi il suo plauso e ricordo una signora distinta e misurata nei modi. Al concorso non fece seguito il corso del “vivaio”, purtroppo. Come accade spesso, i fondi furono destinati ad altro.
Lei è un soprano lirico-drammatico. Chi l’ha ascoltata dal vivo, ha notato nel timbro della sua voce, un canto particolare, una tecnica formidabile, con una messa in voce in maschera caratterizzata dall’emissione di suoni naturali, fluidi, con un perfetto smalto vocale. Può spiegarci cosa significa?
Carissimo amico, grazie per i complimenti. Nella musica ed in particolare nel canto, si è quello che si è in grado di emettere. Il suono nasce nel cervello.
Lo “vedi” e lo traduci nell’arcata palatale. E’ la cosa più semplice, perchè è fiato che viene emesso passando attraverso due corde che suonano e che sfrutta come cassa di risonanza tutta la maschera facciale.
Il cantante deve conoscere tutto ciò che accade in lui quando canta, avere la lucidità di sapere dove agganciare ogni nota. I parametri di riferimento cambiano da persona a persona; ecco perchè il Maestro bravo esercita l’allievo nella conoscenza specifica del suo apparato fonatorio.
… quindi è la Vera tecnica di canto … che rimane per sempre. Quella dei grandi interpreti!
I grandi interpreti erano persone che nella semplicità esprimevano la scuola italiana. Nella loro sublime semplicità c’era tutta la loro grande arte.
Madama Butterfly (2011), Teatro Petruzzelli.
Tra i ruoli interpretati, ve n’è uno al quale è rimasta maggiormente legata?
Il ruolo a cui sono particolarmente legata è un’opera moderna, “Falcone e Borsellino”. Lì ero “la madre”, madre delle vittime della mafia, madre dei magistrati, madre dei piccoli della mafia. Ero “madre” nel senso che rappresentavo l’Italia nella sua essenza più aulica, più bella, che nel sacrificio della Vita canta la Vittoria dei valori sull’ignoranza becera.
… e la serata memorabile (opera o recita) che ricorderà per sempre?
La serata memorabile è stata il mio esordio in Bohème. Calcare le tavole del palcoscenico, gli odori del teatro, accarezzare il velluto rosso delle poltrone, i suoni dell’orchestra… cantare per la mia prima volta con l’orchestra è stata come il mio primo bacio… non lo dimenticherò mai.
Madama Butterfly (2011), Teatro Petruzzelli.
C’è un ruolo che vorrebbe cantare in futuro?
Vorrei cantare tutto ciò che è stato scritto. Io canto dentro di me tutte le volte che leggo uno spartito. Vorrei cantare la Bellezza, ma forse serpeggia in ogni opera. Vede, l’opera è viva… è un mistero. Qualunque cosa mi riserverà il futuro, mi troverà pronta ad interpretarlo. Studio tutti i giorni.
Domanda di rito: oltre ad essere un artista, lei è anche una donna. Mi è stato detto che è un’ottima cuoca. Dopo la pasta alla Norma, il pollo alla Callas, gli spaghetti alla Titta … c’è un piatto suo personale?
Il mio piatto è un ragù, ma non le svelerò mai gli ingredienti, neanche sotto tortura, però la invito a cena…
A causa della pandemia, assistiamo tristemente a teatri chiusi, sale vuote, pubblico a casa. Cosa si aspetta dopo l’era Covid?
Dopo il Covid mi aspetto una rinascita. Da tanto buio, può sorgere il sole. Passato’inverno, arriva la primavera. Questo periodo del Covid ci ha permesso di ripensare alla vita, ai veri valori dell’esistenza umana. Sono certa che il Teatro sarà un formidabile strumento di rinascita. Me lo auguro con tutto il cuore.
Giovanni Ferruccio Labella.
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Caro Giovanni sapevo da tempo della tua passione per la musica lirica ma sono rimasto molto colpito, naturalmente in modo positivo, del tuo armeggiare con le opere e con gli artisti eccezionali come la sig.ra Lidia Tamburrino, con una sapienza di linguaggio e quindi espressione linguistica comprensibilissima anche per le persone che, della lirica, non conoscono nulla o quasi. Grazie e vai avanti così.