di Anna Landolfi.
Intervistare un personaggio delle Arti letterarie è spesso sorprendente. Impari. Chi ha il dono della parola, è un essere che siede accanto agli dei. Nulla di retorico, nè dottrinale, ma nell’immenso credo umano e da sempre innato nell’ uomo, rivolgersi ad un Supremo, specifica quanto miseri siamo di fronte all’Infinito. Intervistare Giuseppe Vignolo, attore, scrittore e poeta, è stato intervistare non lui, fisicamente presente, ma la sua anima. Privilegio che mi ha concessa arricchendo quella parte di me non ancora sazia del sapere.
Non mi è stato sufficiente leggere le sue composizioni poetiche. Nonostante mi sia interessata a presentarla ai lettori del magazine che rappresento, ho trovano necessario, focalizzarmi su Giuseppe Vignolo, poeta, scrittore e attore. Non è solo passione tutto quello che il suo animo le detta, è molto di più. L’anima: ha consapevolezza di quanto sia profonda la sua?
Non si può, a mio giudizio, misurare l’anima. Io non so e non voglio pensare a quanto sia profonda la mia anima ma sono certo che è ciò che da un senso alla mia vita e a quella di tutti noi. Se il cuore è il motore del nostro corpo, l’anima è il carburante che lo fa vivere. Le nostre emozioni, i nostri sentimenti, i nostri gesti, le nostre opere nascono da quella micro cellula che è in noi, l’anima.
Lei dice: “L’anima è parte integrante dell’universo, è in tutti noi, è il tutto di noi, è la musica del mondo, è la ragione stessa della vita.” Una tale introspezione non è comune negli uomini. Quale sentimento necessita un uomo perchè raggiunga questa consapevolezza? Il dolore? La felicità?
Ritengo che per raggiungere tale consapevolezza dobbiamo provare a trovarci nella condizione di un cieco; tutti i colori, tutte le forme che noi percepiamo attorno a noi per mezzo dei nostri occhi, non esistono per lui. Egli dorme apparentemente per i colori e per le forme ma non si può dormire completamente. Un cieco piano piano acquisisce una sensibilità particolare che gli consente di dare forma e colore a ciò che lo circonda, ecco perché dico che l’anima è la musica del mondo, perché il cieco attraverso le note di quella musica riesce a vedere a dare corpo alle cose, alle persone. Ora ditemi se tutto ciò non è opera dell’anima che è in noi. Più che il dolore o la felicità credo che ciò che ci da la consapevolezza della res bina che è in noi ( anima e corpo ) è la capacità di chiudere gli occhi e ascoltare la musica del mondo nel suo divenire continuo. Così, credo, riusciremo a percepire spiritualmente proprio ciò che il mondo assopisce nella coscienza ordinaria.
Giuseppe Vignolo
Sentimenti legati che caratterizzano gli esseri umani. Sig. Vignolo, pensa sia indispensabile avere il coraggio di “rinunciare” a tutto questo “benessere” di cui siamo circondati?
Ma vede non è necessario rinunciare al benessere da cui siamo circondati, il punto è farne un uso ponderato nella consapevolezza che tanta parte dell’umanità non vive nel benessere. Dovremmo riappropriarci dei valori di cui era portatrice la vita agro pastorale dei nostri avi. Vivere nel rispetto dell’ambiente, prendere dalla terra solo il necessario, dare agli altri per il piacere di dare senza nulla chiedere, amare incondizionatamente il nostro prossimo. Tutto ciò lo si può fare rinunciando al superfluo. La vita in fondo è fatta di cose semplici, siamo noi che le complichiamo.
Saper rinunciare è un atto di coraggio. Un tempo, i nostri padri, erano più coraggiosi e meno “ricchi” di tutti questi fulgidi bagliori che ci investono quotidianamente. Una riflessione su questo “consumismo” dell’immagine, crede sia opportuno porsi delle domande?
Certo che lo sfrenato consumismo dei giorni nostri è in totale contraddizione con la condizione di tanti che scappano dalle loro terre affrontando sacrifici ed anche la morte pur di trovare un angolo della terra dove vivere con dignità. Questa conditio non può non portarci a farci delle domande ma alle parole devono seguire le opere, i fatti altrimenti tutto diventa inutile. Io credo che ciò che rende la nostra vita serena e gioiosa sia l’avere il giusto nella condivisione. Quando si è capaci di condividere il nostro benessere la famiglia si allarga e vengono meno le litigiosità, le invidie e tutte le negatività frutto del nostro vivere egoisticamente.
La saggezza che la caratterizza, mi entusiasma. Io stessa, per istinto, sprizzo d’impeto per un sentimento quando ne sono appagata. Mi scuso per la domanda che le porrò, ma “contenere” certi gesti così ardenti, possono “ridimensionare” un po’ tutto questo esibire felicità e benessere che si nota per le strade? O sono maschere?
Credo che proprio camminando nelle strade si percepisca appieno che tutti siamo teatranti. In mezzo alla gente molti di noi nascondono le proprie ansietà, i dolori, le miserie, la stessa propria identità; indossano volutamente una maschera capace di dar corpo a felicità e benessere solo apparenti. E’ il teatro della vita, fantasmi che voglio farci apparire realtà ciò che non è.
Cosa avvicina di più al Signore? Una lacrima o un sorriso?
Sia una lacrima che un sorriso sono espressione di amore e, se crediamo che al di sopra di noi ci sia un Padre, origo mundi, tutto ciò che è espressione di amore non può che ricongiungersi a Lui. Chiamiamolo Dio, Allah, Budda o come vogliamo, sempre Amore anima del mondo è.
Quando scrive, lei “narra” un vissuto quasi tormentato. Leggerla non deprime, aiuta a riflettere. E’ stato confrontandosi con gli altri che le ha permesso di giungere questo suo status pacis?
Non credo di aver raggiunto uno status pacis ma certamente il vivere tra le diversità di etnia, religione, censo, ceto e genere nella consapevolezza che siamo tutti fratelli e nel contempo ascoltando, confrontandoci, rimettendoci sempre in discussione, dialogando senza mai prevaricare ci aiuta a dare un senso compiuto al nostro vivere e a trovare un equilibrio che ci pareva impossibile. Il cammino però è lungo e non se ne vede una fine.
La vedremo in teatro, ne “I giganti della montagna” di Luigi Pirandello, diretto dal regista Manuele Morgese. Un attore interpreta un personaggio entrando nell’anima di quel personaggio. Questo “complica” lo status quo del proprio sé. Chi è l’allievo in questo caso: lo spettatore o l’attore?
Credo di poter affermare che gli allievi sono insieme l’ attore e lo spettatore. L’attore è l’uomo che , senza perdere se stesso, deve creare il personaggio, è il protagonista di una trasposizione. L’arte è vista come arte di sollecitazione, provocazione e creazione di riflessi. Le vie interiori di questa creazione, i modi della sua realizzazione psicologica, gestuale, sonora, scenica sono un momento di crescita dello stesso attore. Lo spettatore deve concentrarsi e riuscire a captare quanto l’attore col suo lavoro vuole trasmettere. Questi due aspetti mi fanno affermare quanto dicevo prima: siamo allievi entrambi nella ricerca di noi stessi attraverso la magia del teatro che è vita.
Il teatro è veicolo di messaggi e riflessione della vita e sulla vita. Questo lavoro prossimo ad andare in scena l’11 dicembre al Teatro Grazia Deledda di Paulilatino, con la regia di Manuele Morgese, racconta di uomini emarginati e potere, magia e timori. Ci sono frame nel testo di Pirandello in cui riconosce qualcosa di sé?
“ I Giganti della montagna”, ultimo lavoro di Luigi Pirandello, è un’opera altamente simbolica che in fondo predice un futuro che è quello che stiamo vivendo. I giganti non sono altro che il mondo di oggi. Producono ricchezza con tecniche avanzatissime ma vivono in una città sulla montagna dove c’è tutto e niente. Nella vallata sottostante ci sono da una parte una compagnia teatrale senza risorse ma permeata da un amore per la poesia che vuole in ogni modo portare alla gente, dall’altra un gruppo di desperados guidati da un mago ciarlatano che li fa vivere tra favole sogni e realtà. Si celebra la morte della poesia e, francamente, ciò più volte mi ha portato a pensare che il mio trasferire in versi emozioni, interiorizzazioni, gioie e dolori del nostro vivere sia un inutile tentativo di ridare anima ad un mondo sempre più materialista. Oggi dominano i social di cui si fa un uso smodato, i nostri ragazzi non fanno lavorare la fantasia, rischiano di diventare “Fantocci“ che, come dice Pirandello (Il Conte) non parlano. Poi però prevale la speranza che infondere in chi ci ascolta attimi capaci di far vibrare il corpo ci porti tutti a ritrovare quell’invisibile filo d’Arianna capace di farci uscire dal labirinto della vita.
I toni pacati della sua voce, la serenità infusa nell’ascoltarlo, hanno reso la mia stessa anima, serena. Lo spessore delle parole entreranno negli animi di chi leggerà questo focus su Giuseppe Vignolo, senza tediare l’attenzione. Nel marasma delle lettere scritte alla rinfusa e vuote dei loro contenuti, nel caos dell’informazione attraverso quei media che, ammetto, adopero anche io per diffondere un messaggio, un’emozione, un monito, questa umile intervista, riscatta quel deserto del sapere che dà spazio al superficiale vivere quotidiano. Che possa, tutto questo, sanare la futilità inculcata dagli stessi mass media ai nostri giovani? Può essere. Proviamoci. E’ nostro compito sensibilizzare le generazioni future. Giuseppe Vignolo, lo fa e lo fa educandoci con la parola.
Anna Landolfi.
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