mercoledì, 25 Dicembre, 2024 8:28:12 AM

Quel caldo pomeriggio d’agosto a casa di Rita

di Anna Landolfi.

Potrò sembrare di parte, magari anche un po’ saccente, ma noi donne abbiamo quella marcia in più che non ha bisogno di correre a 100 all’ora per sentirsi appagate: sono sufficienti un tè ghiacciato, un tavolino sotto un gazebo di glicini, due sedie impagliate e un’amica. Nel caldo torrido di un agosto anomalo, è bastata averla di fronte perchè entrambe diventassimo due belle chiacchierone. Con Rita Sarritzu ci passi ore ad ascoltarla. Ha un bagaglio di esperienze come donna e mamma, come figlia e artista, perchè Rita, molto della sua vita, le è stata donata da una stella che anche non presente, le brilla ancora nell’animo. E racconta con serenità, quanto le è stato insegnato e quanto, da sola, ha imparato, perchè Rita Sarritzu, pare, non si fermi mai…neanche quando è stanca.

Allora Rita, siamo finalmente in un meritato pomeriggio tra amiche. Sarò molto informale. Nonostante ti consideri artista, questa intervista sarà colloquiale, intimamente complice tra due donne. Rita, una domanda però mi preme fartela: tu pensi che nascere in Sardegna abbia una sua peculiarità? La qualità della vita nell’isola di “smeraldo”, è migliore che in una qualsiasi altra regione italiana?

Sì. In verità si vive bene. Perché si vive bene in Sardegna? E’ un’isola e le isole hanno già di per sé la bellezza di avere confini solo con il mare. Difesa e protezione da possibili “contaminazioni” culturali che possono minacciare la vita del popolo che la abita. Magari certe cose sono limitate proprio per il fatto che il mare potrebbe essere un ostacolo, ma in generale, si vive bene sull’isola.

Credi, dunque, che il fatto di vivere in un’isola, abbia dei vantaggi di qualità della vita e dei disagi su certe cose. Posso chiederti quali?

L’aspetto negativo è magari perché per certi punti di vista, qui in Sardegna si arriva un po’ in ritardo. Alcune prestazioni sociali o istituzionali, ad esempio. Saranno certo le distanze, tuttavia risolvibili con i traffici marini e gli affollati aeroporti, ma per altri versi, ci sono difficoltà di gestione delle città e quindi della vita dei cittadini. L’isolamento, per esagerare nel termine, ha comunque il vantaggio di tutelare un patrimonio culturale paesaggistico, gastronomico e artistico dell’isola.

Per lavoro e prima della pandemia, ho viaggiato in Sardegna. Molto poco, però e per ragioni di impegni, ma credo che della tua Sardegna debba ancora tanto da conoscere.

Esatto: c’è molto di più di quello che si conosce dell’isola. Non è solo il mare, non è solo la costa. C’è una Sardegna ben più profonda, più mistica, più primitiva che conferma quanto la cultura dell’isola è la millenaria cultura di un popolo: i sardi.

 

 

Queste considerazioni, confermano quanto sia speciale la Sardegna. C’è però che ti ho conosciuta per i tuoi lavori e alludo naturalmente più che alle Barbie, a come tu le hai vestite. Hai un ruolo di stilista e questo di fare “indossare” gli abiti da te confezionati, alle tue “modelle”, ti ha letteralmente proiettata nel mondo dell’alta moda.  Questo non può essere casuale. Non è solo passione per una bambola, tra l’altro la più famosa del mondo, questa è l’amore per Barbie. Creatività che esplode creando abiti “haut couture” per lei?

Allora, la passione della creatività l’ho avuta sin da piccola, perché cercavo, ad esempio, da un pezzo di carta, di creare qualcosa di pratico, di visibilmente utile. È una forza istintiva: devo creare per stare bene con me stessa. Creare abiti per le Barbie, ho iniziato a vestirle che ero bambina, mi ha resa produttiva, pragmatica e anche, perché no, soddisfatta di quanto facevo. Con dei pezzettini di stoffa che si trovavano in casa e grazie alla fantasia, creavo una serie di abiti tanto da sembrare pronti per una sfilata di alta moda.  Ma le Barbie, cara Anna, sono state anche le tue bambole. Tutte hanno avuto la loro Barbie. Magari io, bambina, ci mettevo molto di mio, perché agli abiti che avevano già in dotazione, ci affiancavo le mie creazioni. Adoravo creare, Anna e anche adesso sono lì ore e ore a maneggiare tra colla, forbici, aghi, fili e passamanerie.  Qualsiasi materiale mi torna utile.

 

Sorprendenti sono le acconciature. I capelli raccolti delle Barbie, le pettinature, le coroncine. C’è una precisissima cura del dettaglio che rendono le tue bambole uniche. Che percorsi fai per raggiungere questi risultati?

Mi basta poco: del filo di rame che ricavo dai cavetti elettrici. Poi le amiche, il vicinato, raccoglievo e raccolgo tutto ciò che può essermi utile per creare quelle acconciature: anellini, fiorellini, bottoncini, minuscoli oggetti che possono diventare arredi. Tutto questo materiale, mi permette di avere a disposizione, molti strumenti per creare e “vestire” le Barbie. Le mie modelle per una ipotetica sfilata in passerella. Tutto ciò che luccica e che dà luce, per me è “pane” per creare.

Sì, Rita, ma mi pare di avere la certezza che i tuoi abiti non sono così…banali. Quella è alta moda!

E hai ragione. I miei riferimenti sono stati i grandi giornali di moda: Vogue, Bazaar, la rivista italiana di Amica, storiche testate di moda e costume. Quelle foto, quegli abiti, quelle manifatture di alta qualità sartoriale, ecco, quelli erano i miei riferimenti che applico, modestamente in piccolo, sulle Barbie. Oggi, poi, con a disposizione la tecnologia, da telefonino, non faccio che cercare tra le antiche sartorie d’epoca.

  

Quindi, parliamo degli atelier che hanno fatto la storia della moda?

Certo! Le sorelle Fontana, le sorelle Fendi, Laura Biagiotti, la storica Roberta di Camerino e  tante altre sarte che rivoluzionarono la moda femminile dagli anni ’40. Un tempo erano le sartorie le case della moda, adesso si chiamano stilisti, ma gli Armani, i Coveri, i Ferrè, erano sarti.

Ma Rita, questa è storia della moda!

…è storia della moda che applico poi sulle Barbie!

Questi sono dei bellissimi sogni che poi si avverano con le tue mani. Rita, continui ancora a sognare?

Sognare è creare, mia cara Anna. Guai a chi non sogna più! I sogni ti rendono viva. A parte il mio quotidiano, come per tutte noi, ho compiti ben più faticosi che non il solo badare ad una casa. Per realizzare questi abiti, sono spesso in giro per negozi. I più disparati, quelli meno noti, sempre alla ricerca di particolari che renderanno preziosi gli abiti per Barbie. Adoro andare nei negozi, nelle mercerie e scegliere i tessuti più consoni a quel particolare abito, allora, non so, prendo un pezzo di tessuto e poi vado alla ricerca per abbinarlo ad un prossimo abito e mentre lo realizzo, sto già pensando al prossimo. 

  

Rita, quante ore di lavoro occorrono per ogni abito?

Allora, per un abito di alta moda, dalle quattro, cinque ore, perché poi va pettinata e acconciata di ghirlande e accessori. Per gli abiti che da poco ho cominciato a presentare, quelli della tradizione sarda, anche fino a 14 ore. Qui mi sono dovuta documentare. Studiare e cercare tra le tante informazioni di storia del costume sardo. La riproduzione di un abito tradizionale sardo è complessa. Cerco di riprodurli il più fedelmente possibile tentando di concentrarmi sui dettagli che fanno del costume sardo, un unico concentrato di tradizioni e culture della mia gente. Dettagli importanti come le maniche. Le maniche sono talmente piccole per le proporzioni delle bambole, che diventa difficilissimo cucirle con la macchina per cucire. Tutti i costumi sono cuciti a mano e molte parti hanno bisogno di essere incollate pezzo per pezzo con una colla che non macchi il tessuto. E’ un lavoro così certosino, che difficilmente si può considerare  di “serie”. Credo che più che essere considerata da te, e lo apprezzo, artista, sono una artigiana del manufatto.

Rita hai mai pensato di poter fare un’esposizione?

Una stilista di Quartu S. Elena, mi aveva chiesto se volevo esperro un vestinio creato da me . Alla sua esposizone, fu presentato questo ma creazione. Altre mostre le ho presentate nel corso degli anni sempre a Quartu S. Elena, in una casa museo.

  

Rita, posso chiederti in che anno?

Esattamente non ricordo, ma tanto tempo fa, si tanto tempo fa. Ma io di questi lavoretti, li realizzo per regalarli. Potrò invece pensare di fare della beneficienza così da contribuire nel mio piccolo a chi ha necessità. Pensare di raccogliere dei fondi con i miei abiti per fare stare bene gli altri. 

Un’altra delle tue passioni e per le quali mi incanti, sono i dolci. Ricordo che le prime volte che li vedevo pubblicati sui social, non potetti fare a meno di mandarti un messaggio che ricordo ancora: “Gentilissima signora Sarritzu, apprezzo i suoi dolci, ma non potrei mai mangiarli perché li considero gioielli. Semmai, li indosserei come spille”.

Ho fatto un corso di dolci sardi. Era il 1985. un corso di sei mesi organizzato dalla Regione Sardegna. Mi permise di imparare cos’è e come preparare tipo la pasta di zucchero. Questo mi permette di lavorarla in qualsiasi forma dando alla creatività la libertà di modellarla come uno scultore.  Un tempo  però era la  pasta in croce, che usavano le nostre nonne a essere preparata per i dolci. Un tipo di pasta composta di gomma dragante che dà consistenza alla pasta, albume d’uovo e zucchero a velo.

Da dove trai ispirazioni quando produci questi dolci meravigliosi? Vedo tantissime forme e colori, molti sembrano dedicati ad un tema ben specifico. Sono richieste?

Sono a tema, sì. Da giorni mi sto preparando per un matrimonio, quindi sono tutti dedicati agli sposi. E’ regalo per questa giovane coppia e hanno scelto un colore chiaro, bianco perlaceo. Sto sperimentando tutte le sfumature del bianco, colore ben augurale per una coppia di sposi.

  

Ho visto che hai anche adottato il tema del mare. C’erano stelle marine, conchiglie, coralli… In che occasioni sono state fatte quei dolci, Rita?

Sono ordinazioni, sono favori che chiedono le amiche. La mia ispirazione per il tema mare, soprattutto adesso che siamo in estate, è un po’ preso dalla mai terra: la Sardegna. Sai Anna, siamo tutti un po’ figli del mare, noi che viviamo sulle coste sarde. Il tema del mare, secondo me, è tema di libertà, di colori, di sole. Anche le targhette, che possono essere utilizzate come segnaposto, hanno come tema il mare. Ad una cara amica le piacquero molto. Voleva addobbare la tavola col tema mare e quindi li ho preparati volentieri.

  

Rita, dimmi, tutto questo, è un “eredità” materna?

Eredito dalla mamma, l’amore per le cose. Tutte cose che fanno una casa. Lo spazio vissuto di una casa, è uno spazio vivo, dove e molte amiche lo sanno, non ci si ferma mai. La mia mamma era una donna sempre occupata e capace. Mi ha insegnato molto e molto ho di lei. L’amore per la casa è anche saperla accudire e qui in Sardegna tutti fanno il pane in casa. E’ un rito. Ogni famiglia, ogni casa, il rito del pane riunisce e unisce la famiglia proprio per il forte senso che abbiamo della famiglia. In un rione di Quartu S. Elena ci sono delle case dove si fa il pane ancora nel forno sardo. Ancora oggi ci sono persone che raccolgono le fascine di legno sparse per le nostre campagne e noi che in tante abbiamo il forno in casa, le acquistiamo come un tempo facevano le nostre mamme, le nostre nonne e così nel tempo. E’ il lavoro degli umili, uomini di una terra amara che si accontenta di quello che ci da. E’ la memoria delle nostre tradizioni. Tradizioni semplici e sempre le stesse. Da piccole, eravamo la generazione futura per tramandare questa cultura. Adesso sono i nostri figli e a loro volta, i nostri nipoti che conserveranno questa cultura. Così come un rituale è la pasta fatta in casa, un forte valore di tradizione. Non voglio dire che siamo unici, ogni regione ha la sua tradizione in cucina, ma qui in Sardegna, ha un valore intrinseco, nativa delle prime popolazioni sarde. Proprio perché isola, ogni pezzettino di terra, dava il suo frutto. Gli scambi commerciali sono venuti molto dopo. Quindi quel poco di grano, il nostro mare, i nostri allevamenti, erano le nostre uniche ricchezze.  Le specialità di territorio campidanese, i ravioli di ripieni di ricotta, zafferano e profumo di limone. O anche i culurjones, tipici dell’Ogliastra, ripieni patate, menta, pecorino e cipolla. Insomma, la tipicità sta nella tradizione e ogni famiglia, ogni nucleo familiare, ha un suo “segreto”, che le donne, tramandano di madre in figlia. Le panadas, le casadinas o le pardule, altre tradizioni delle mie genti. Dolci poveri, i cui ingredienti sono i prodotti coltivati e sudati con il lavoro dei nostri uomini: ricotta, miele, zafferano, i nostri agrumi aranceti…i nostri agrumi.

  

                     I culurjones                                                Le pardule

  

                  Le panadas                                                  Le seadas

Resto incantata. I tuoi racconti si materializzano dandomi il senso del focolare domestico. Quell’emozione che si sta perdendo contaminati dai nostri tempi sempre in corsa. Rita, cosa resta di quel tempo, noi che siamo figlie di quest’ epoca così distratta, che dimentica il passato?

E’ poca cosa quello che ho raccontato. Il piacere di questa nostra conversazione, è stato quello di averti avuta mia ospite nella mia casa. L’amica di fronte alla quale, ti apri, ti confidi e sorridi e ti intristisci perché nel corso di una vita si ride e si piange. E’ così la vita. Trasmettere quello che provo nei sentimenti, è quello che desidero più di altro: spiegare che l’amore per la mia terra, la mia gente, è lo stesso amore che essi mi danno. E’ la terra di Sardegna. E’ la gente di Sardegna. L’isola del Sole e del Vento.

Ho gli occhi che brillano di entusiasmo. Da sempre, da quando conosco Rita Sarritzu, la curiosità mi ha pervasa. Non una curiosità “pettegola”, ma concreta, didattica, proficua. Io, cittadina del “continente”, figlia delle montagne, nata in Umbria, terra di vette e massici, confrontarmi con una delle “figlie del mare”, ho solo da imparare. E quanto di questa terra mi riporta alla mia terra: se volgo lo sguardo indietro al mare, trovo le sue montagne e il pensiero mi riporta alla mia terra. Rita Sarritzu rappresenta tutte le donne della Sardegna. Donne caparbie, donne silenziose perchè un’azione non ha bisogno di parola: la loro voce è la voce di chi sa quanta fatica è vivere un’isola che da millenni non ha bisogno di altro se non della sua gente. Il fiero, dignitoso, orgoglioso popolo sardo. 

Il caldo ci ha stremate. Il tè ha perso la sua freschezza. Capelli raccolti e maditi di sudore: estate rovente questa. E si resta mute, grate di essere amiche. E se non hai una sorella, in Rita trovi quella che non hai. Si chiama “sorellanza”, è quella condizione femminile per la quale le donne si riconoscono le une nelle altre. Lontane dalle competizioni e dalle rivalità. Sentimenti inutili per chi percepisce che la donna che hai di fronte, potresti essere tu. Empatia di donne.

Anna Landolfi.

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