di Rita Farneti.
Dare nomi alle cose rappresenta per Alessandro Baricco un modo di difendersi incontrando mondi non più temibili.
In Carlo Emilio Gadda l’atto del nominare è diverso dal semplice raccontare una storia. Lessico e sintassi sono infatti cesellati con tenacissima minuzia, quasi con anatomica limpidezza.
Carlo Emilio Gadda (1893-1973)
Le parole vivono della loro potenza evocatrice, paiono attendere dentro un alambicco, con lucida presenza. Come regista consumato lo scrittore milanese stringe l’inquadratura su scenari che trasmettono il senso di un momento/movimento senza tempo. Lo testimoniano le ultime righe de “La cognizione del dolore”:
“Si udiva il residuo d’acqua e alcool dalle pezzuole strizzate ricadere gocciolando in una bacinella. E alle stecche delle persiane già l’alba.
Il gallo, improvvisamente, la suscitò dai monti lontani (…) La invitava ad accedere e ad elencare i gelsi, nella solitudine della campagna apparita”.
Laureato in ingegneria , laurea ampiamente richiesta dalla tradizione di famiglia, lo scrittore milanese non si discosterà da una propria inclinazione naturale per letteratura e filosofia.
Iscritto alla facoltà di filosofia, supererà tutti gli esami, fino alla tesi su Leibniz, tesi però mai discussa perché mai consegnata.
Nel 1959 Gadda pubblica un pezzo, dal titolo “Il risotto patrio”, su Il Gatto selvatico, organo aziendale dell’ENI.
Il direttore è Attilio Bertolucci, poeta e padre dei registi Giuseppe e Bernardo. Il Gatto Selvatico rappresenta molto di più di una semplice rivista, è un vero e proprio laboratorio culturale dove pubblicano scrittori come la Ginzburg, Sciascia e Parise.
Solitario, schivo fino a risultare quasi respingente, – anche se, come ebbe modo di sottolineare Alberto Arbasino, più volte suo ospite, Gadda si mostrava capace di convivialità e grande ironia, un buongustaio ben navigato in saperi e sapori – lo scrittore esordisce con una ricetta di ottima e ben nota caratura culinaria locale, ovvero la preparazione del risotto alla milanese.
Attilio Bertolucci (1911-2000)
Poi non mancheranno nelle opere riferimenti al cibo ed alla convivialità, incluso il lusso di gusti vigliacchi come gli spaghetti alle vongole e le fragole al marsala.
In questo pezzo la cucina diventa pura letteratura, dentro la regia dell’aurato battesimo del risotto allo zafferano, cotto con gesti lenti, quasi sacrali, dentro una rotonda casseruola di rame che con sommessa tenacia assorbe il calore della cura.
Il cucinare mostra l’andamento di un rito, sapiente ed antico, scandito con pedagogica solennità. E’ liturgia linguistico gastronomica, come sostiene Pietro Citati perché ingredienti, tempi, modalità ed oggetti cucinieri entrano a far parte di un tutto che riluce dentro una prosa barocca di perfetta armonia letteraria, esempio per il critico e scrittore toscano di uno dei momenti forse più alti della prosa gastronomica narrativa del nostro Novecento (P. Citati, Nel pentolone magico di Gadda, Corriere della Sera, 31 dicembre 2012, pp.28-29).
Pietro Citati (1930-2022)
I libri di Gadda possono essere letti come mondi in grado di raccontare, parlare, allungarsi e superare il limite fino a spezzarsi nella forma di rovine grandiose.
Entra poi a pieno titolo nella tradizione della cucina moderna – il cui esordio è collocabile nel Settecento (M. Montanari, La fame e l’abbondanza Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma-Bari, 1993) – la messa in valore della natura, interpretata all’interno di una visione socio – antropocentrica del cucinare. Il cibo ingrediente è protagonista della natura di cui intende esaltare ogni aspetto di genuinità.
Far cucina si appalesa molto più complesso del semplice ed accurato uso di ingredienti: creare un piatto esige anche gesti e modi ,attenzioni e sospensioni, ci obbliga a farci testimoni di cosa significhi l’approntare rispetto al preparare puro e semplice ovvero l’approntamento di un riso di ottima qualità.
Non dunque un riso qualunque, bensì proprio quel prodotto sul quale si pone un’attenzione particolare, addirittura una sorta di dedizione nella scelta rigorosa ed oculata degli ingredienti, nell’uso di utensili in rame, i famosi rami, che di fatto rientravano a pieno titolo in qualsiasi buon corredo di cucina familiare.
Fine 1^ parte.
Rita Farneti.