mercoledì, 25 Dicembre, 2024 5:20:20 AM

Sara Elisa Stangalino-Schulze, princìpi androgini di una mente creativa

Di Anna Landolfi.

Sara Elisa Stangalino-Schulze, musicologa, scrittrice.

Se filtri da socchiuse persiane, raggi di sole, t’incanti di quanto incredibile è la potenza della luce. Ma se le spalanchi ed essa, prepotente, invade la stanza, è allora che diventi luce anche tu. Succede e spesso anche: sollevi la copertina di un libro e questi, t’irradia. Accade con “Sine nomine” di Sara Elisa Stangalino-Schulze, musicologo, filologo, scrittore. Non mi è parsa una sorpresa: approfondendo i suoi studi, comprendo che non sarebbe stato possibile, nel libro, non descrivere luoghi e spazi nei quali i fatti, accadono. Deduco così che il fascino del libro è un cofanetto d’arte.

Ha uno spessore culturale importante. Leggendo dei suoi interessi e del Suo lavoro, resto piacevolmente sorpresa: parlare con lei sarebbero continui seminari. Eredità familiare?

E parlare con lei sarebbe una continua elegante conversazione. Il mio percorso formativo ha trovato buon humus ma non parlerei propriamente di eredità, piuttosto di un lungo cammino in cui, cimentandomi con svariate discipline artistiche, letterarie, ho individuato quella a me più confacente: la narrativa d’arte a sfondo gotico/psicologico. Se penso oggi al mio percorso di studi, non posso fare a meno di constatare quanto abbia contribuito a preparare tutto questo.

Gli studi tra Piacenza, Parma, Bologna, Parigi. Importantissimi luoghi di storia e cultura. Il suo percorso formativo sembra ben pensato. Sono state scelte formative convinte. Avrebbe potuto scegliere altri percorsi?

La musica e la letteratura sono al centro del mio interesse da sempre quindi è stato naturale cercare condizioni che consentissero di applicarsi a queste discipline con granitica serietà. Terminati gli studi al conservatorio di Piacenza, ho proseguito il perfezionamento a Parigi. Mi sono laureata in lettere e lo stesso anno ho vinto il dottorato all’Università di Bologna dove ho lavorato per molti anni come assistente, svolgendo ricerca nell’àmbito della drammaturgia musicale, della storia della musica e della filologia italiana; una fase del mio percorso imprescindibile in cui ho assorbito scienza, tecnica e arte. A quel punto si apre la possibilità di pubblicare con i maggiori editori del globo, per citarne alcuni: Cambridge University Press, Classiques Garnier, Brepols, École française de Rome, Il Mulino, Leo Olschki e altri. Sono chiamata a collaborare all’opera omnia dei drammi per musica di Francesco Cavalli (Cavalli Gesamtausgabe) promossa dall’editore tedesco Bärenreiter e sostenuta dalla Yale University, un progetto decennale per cui ho attualmente la responsabilità editoriale di mezza dozzina di drammi per musica. Dopo la vincita del prestigioso premio della Fondazione Alexander von Humboldt, sono al momento ricercatore nell’Università di Jena. Come si dice che “la storia non si fa coi “se””, non sono in grado di rispondere alla Sua domanda. Credo di avere semplicemente fatto del mio meglio per seguire la mia vocazione, che certo non mi ha risparmiato sentieri intricati di rovi e rovine.

Lei è giovane, mi ha incuriosita questa sua formazione culturale dettata certamente anche dalla passione. Prima di presentarla come scrittrice, non posso non chiederle, da donna, la sua professione: quanto conta essere donna nel suo lavoro? Le sembrerò di parte, ma credo che la cultura, le “lettere” abbiano bisogno di una sensibilità un po’ meno “ragionata” dei colleghi uomini. Commetto un errore? Mi preme però dichiarare che non c’è, nelle mie parole, alcuna intenzione polemica nei confronti dei colleghi.

Credo dipenda dalle persone piuttosto che dal sesso. Virginia Woolf affermò più volte nei suoi scritti che la creatività necessita di una mente androgina, capace di assorbire e rilasciare stati d’essere propri di entrambi i sessi. Ancora oggi credo che, almeno da una prospettiva di tipo estetico-poetico, nessuno meglio di lei abbia descritto questa peculiarità dello stato creativo. Quanto alla cruda, quotidiana realtà, mi creda, non saprei proprio dirle. Probabilmente anche in questo caso si tratta di esperienze soggettive. E certamente devo i miei successi a circostanze in cui le mie qualità sono state apprezzate indipendentemente dal mio sesso. Non so se considerarlo un punto d’onore.

“Sine nomine”, Diastema editrice, 2020

“Simbologia ed ermetismo”, discipline legatissime all’uomo. È un inconscio avvicinarsi all’ Immenso? Al Supremo? È un Dio che cerchiamo?

Sempre, e non direi a livello inconscio. Siamo colmi di interrogativi sul mistero che lega vita e morte. Il senso del mio romanzo nasce un po’ anche da questo: è la storia di una redenzione, la vicenda di un uomo che, sull’orlo della dannazione, cerca disperatamente un modo per ritrovare la Fede e tornare a darle un nome, che osa sperare in una seconda possibilità nonostante il terribile crimine che da secoli grava sulla sua coscienza e travolge la vita di chi gli sta accanto.

Con queste premesse, dopo pubblicazioni di monografie, saggi e approfondimenti tematici, scrive un romanzo. Questo mi affascina: il romanzo è una storia, un vissuto, lo leggiamo “entrandoci” nella storia. Quando ha sentito il bisogno di scrivere un romanzo?

L’impulso a scrivere non è mai stato altro da me o cosa acquisita negli anni. Il tempo offre l’esperienza, lo studio la capacità di gestire la tecnica; per scrivere non basta essere “ispirati”. Poi il vissuto, intendo con ciò il costante lavorìo interiore che consente infine di porgere non soltanto un percorso letterario di solida costruzione ma anche la capacità di evocare quelle sfumature che dànno allo stile un profilo riconoscibile, un gusto ben determinato. Un’identità, diremmo.

E arrivo a “Sine nomine” (Diastema editrice, 2020) il titolo intriga. Anticipa qualcosa che accadrà. Una trasformazione per una identità perduta? I riferimenti sono frutto della sua creatività o è stata “vicina” ad un fatto che l’ha portata a scrivere?

Sine nomine è sostanzialmente una parabola che trae materia dal mondo delle arti in senso lato. È la storia della riconquista del sé, della presa di coscienza del costo e del dolore che porta il rinnegare la propria responsabilità, e perciò è anche la storia della conquista di un superiore livello di coscienza. Vita e creatività non sono davvero scindibili, non pensa? Naturalmente alcuni elementi fanno parte del mio trascorso, ma il lettore attento capirà che scrivo di “universali” nei quali ciascuno può scorgere riflessi di sé.

La musica: è parte della stesura del libro? Intendo che leggendo, non posso fare a meno di essere seguita dalla musica. Ancora di più le sensazioni si amplificano. A quali compositori ha pensato scrivendo il romanzo?

La musica ha un enorme potere evocativo e non soltanto: nel romanzo sarà proprio grazie alla memoria battente di un brano musicale che il protagonista scioglierà il proprio dilemma esistenziale. Si tratta della Vltava (La Moldava) di Bedřich Smetana, il celebre compositore ceco. In questo poema sinfonico v’è un momento in cui Smetana descrive lo scorrere delle acque del fiume mentre lambiscono Vyšehrad, la roccia-fortezza che domina Praga, per scivolare poi verso la città e oltre, fino all’Elba. La musica di Smetana ha dato consistenza alle pagine più significative del romanzo, al suo cuore, ma penso anche a un altro grande compositore ceco, Antonín Dvořák e alla sua opera Rusalka, le cui atmosfere sono molto affini ad alcune suggestioni che emergono dalle mie pagine e, per un certo verso, contribuiscono addirittura a dipanare l’intreccio.

I luoghi: senza dubbio d’incanto. La protagonista ha sangue mediterraneo: italo-cipriota. Praga, poi Venezia. C’è molto di arte. Di formazione d’arte. Bando alle megalopoli, lontana dalla confusione urbana. Già questo spazio in cui si avvicenda la storia, è magia. “Cercare ora la strada maestra, non mi porterebbe a nulla…”. Mondi sospesi, realtà consensuali…non nascondo la tensione che crea il romanzo. Interpreto dubbi, timori e anche mistero… ne sono avvinta. Ha provato anche lei queste stesse emozioni quando l’ha scritto?

Scrivere un’opera di narrativa che non si risolva soltanto in un mero racconto/cronaca ma che si ponga come un possibile Baedeker per un percorso esistenziale beh, è affare che coinvolge fino all’ultima delle fibre. La psiche umana è una matassa bene intricata. Le fasi della stesura sono state molteplici e ciascuna accompagnata da diversi stati d’essere ma il grado di partecipazione emotiva è sempre alto; deve esserlo, se si vuole mantenere ritmo e tensione. Però il decentramento in questo caso è fondamentale: occorre poter osservare il proprio stato emotivo, dominarlo dall’alto se non altro per non finire da questo vincolati. Non soltanto: bisogna farne oggetto stesso di riflessione. Non si tratta di scrivere un diario dove vergare falò o cuccagne di emozioni personali, piuttosto di poterne offrire al lettore, e per far questo non si può rimanerne travolti ma procedere con tecnica e lucidità. Sembra un paradosso, ma chiediamo a uno strumentista quante ore al giorno si applica allo studio della tecnica e poi sentiamone il risultato nelle esecuzioni pubbliche. Bene: con la letteratura è un po’ la stessa cosa.

Un’ultima domanda. È un noir di eleganza stilistica letteraria. Un suo prossimo romanzo, tenderà a sorprenderci ancora con lo stesso pathos?

Il “gotico” è per me quasi un elemento “ematico”: ce l’ho nel sangue. Ho ultimato la stesura di un romanzo in cui ho lavorato in direzione di un ulteriore raffinamento stilistico. Ma c’è di più: la stoffa della vicenda è tratta da una storia vera. Per ora “il resto è…silenzio…”.

“…il lettore attento capirà che scrivo di “universali” nei quali ciascuno può scorgere riflessi di sé.”…e ha ragione! Al di là del piacere della lettura, al di là del “sapore” dei libri, al di là delle pagine scorse, della mente che legge, sei sola con te stessa e il romanzo, al di là di quanto ti fondi col racconto, se sei luce, ritrovi riflessa te stessa.

Anna Landolfi.

 

 

 

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