sabato, 23 Novembre, 2024 10:37:30 AM

Vito Alfarano. Hikikomori, rifugio dalla realtà

di Gianni Pantaleo.

Prestare attenzione alla realtà. Farne analisi sociale. Elaborarla e metterla in scena con la danza. Vito Alfarano ha da sempre, l’audacia dell’artista che con i propri strumenti, attiva un problema rendendolo causa di riflessione, denunciandone la gravità.

E’ considerata operazione sociale e il lavoro di coreografo, lo premia quando sono proprio le isitituzioni a riconoscerne l’alto valore artistico ma soprattutto morale.

Ringraziandolo per il tempo concessoci e ritagliato dai numerosissimi impegni con la Compagnia AlphaZTL, da lui fondata e diretta, l’intervista che riportiamo fedelmente, è lo specchio del suo pensiero di artista. Un artista al servizio della comunità e lo strumento al quale accennavo, è la danza, “arma” della quale è maestro.

Vito Alfarano. Ph. Dario Discanno

In ogni suo lavoro, c’è un riferimento all’animo umano. Soprattutto allo stato d’animo. Un lavoro di introspezione sociale che dimostra la grande sensibilità alle relazioni umane e alla enorme difficoltà di relazioni. Ha uno strumento con il quale trasmette questi messaggi: la danza. E’ una consapevolezza acquisita nell’arco della sua professione o innata?

La sensibilità e l’attenzione verso l’altro sono talenti che ho ereditato dalla mia famiglia. Siamo stati educati, io e i miei fratelli, al rispetto degli altri e a tendere sempre una mano verso il vicino di banco, di casa.

E sono consapevole di questa mia caratteristica. Il mondo esterno l’ho esplorato e l’ho conosciuto dopo averlo tanto ammirato dalle finestre di casa.

Ho proprio desiderato conoscere tante persone e ho tratto da esse una ispirazione e una motivazione davvero sorprendente, a pensarci.

Con le produzioni che realizzo non faccio altro che mostrare a tutti quello che potrebbero scorgere se solo si vivesse prendendosi cura dell’altro e ci si avvicinasse davvero agli altri esseri umani con l’umiltà di volersi davvero confrontare e non scontrarsi.

L’interesse che ottiene è di vastissima portata mediatica. Le conferiscono riconoscimenti, è accolto dalle Istituzioni con rispetto, è premiato per le sue doti artistiche. Forse lei è tra i pochi coreografi che danza la realtà sociale e racconta tutto con profondo pathos. Crede che l’arte sia un mezzo per sensibilizzare il grande pubblico ai temi di disagio sociale che stiamo vivendo?

L’arte è proprio questo. È uno strumento di conoscenza di sé e del mondo che ci circonda. Non è solo un saper intrecciare le proprie abilità con maestri e talento.

L’arte, secondo la mia concezione, deve diffondere messaggi sociali e deve sensibilizzare gli individui che, così, diventano esseri umani, appunto.

Ecco perché io creo spettacoli con professionisti e produzioni con non professionisti ossia detenuti, immigrati, ragazzi autistici o con sindrome di Down magari con le stesse tematiche e la medesima impostazione. Ciò che cambia è ovviamente la tecnica.

Con i non professionisti tendo a voler sempre creare un collante che è ad alto tasso emotivo e poi a creare, insieme, la produzione.

Con i professionisti, benché l’approccio  sia simile, privilegio, appunto, il mestiere, come è giusto che sia senza abbandonare la verità e la poesia.

Entrambi i tipo di produzioni però viaggiano verso il medesimo obiettivo: diffondere messaggi nel sociale. E con i laboratori ossia con la “formazione di base” dei non professionisti ci educhiamo tutti all’ascolto e al confronto.

Il suo percorso artistico è stato importante. Vissute le partecipazioni ad eventi internazionali, si ferma in patria e fonda la sua compagnia l’AlphaZTL Compagnia d’Arte Dinamica. La magia della sua compagnia è tutta nel termine “Dinamica”. Intendo che al di là di principi, cigni e bayadère, la danza è anche uomini, guerre, carestie, apartheid, diseguaglianze…

Per portare in scena tematiche così complesse, è necessario provare il disagio. Empatia o momenti realmente vissuti? Non mi fraintenda, non è una domanda privata, ma intrinseca al suo lavoro di coreografo.

Io non fraintendo mai, lo sa? Se ho dei dubbi porgo domande all’interlocutore specie se non lo conosco. Quanto a noi, la magia del nome della Compagnia, intanto è quell’AlphaZTL, secondo me.

La Zona a traffico limitato con quell’alfa privativa davanti (che non solo gioca per assonanza con il mio cognome) diventa una zona libera per tutti.

Il senso è di scavalcare muri di confine ed entrare in quei mondi chiusi, quelle realtà inaccessibili: pensi alle carceri o alle Rems.

C’è tanta umanità dentro che deve essere conosciuta e a cui bisogna dare sicuramente un’altra opportunità.

Ed è proprio quello che faccio: entrare in realtà parallele alla nostra e farla diventare protagonista. Non sono io il protagonista delle mie produzioni con i non professionisti ma sono questi ultimi a diventarlo.

Voglio che i detenuti, per esempio, si sentano artisti e siano , sul palco, protagonisti delle storie che danziamo o raccontiamo.

Gli altri siedono e formano il pubblico che entra in empatia e che, alla fine, si emoziona e applaude. Applaude loro, quelli che abitano in mondi inesplorati, per ovvie ragioni, e magari si commuove per loro e con loro.

Le produzioni intrecciano la mia esperienza personale, vissuta con i non professionisti, nel lungo arco di formazione e conoscenza, e il loro vissuto ed insieme cerchiamo di abbattere ogni pregiudizio.

da HIKIKOMORI. Ph. Dario Discanno

Lo ha presentato in occasione della rassegna di danza contemporanea ESPLORARE2022 diretta da Domenico Iannone, a “La Cittadella degli Artisti” a Molfetta. Nessuno era preparto alla deleteria risposta che la tecnologia dà all’uso improprio di essa. Erano prevedibili le conseguenze psicologiche sui giovani? Tutti noi adoperiamo la scienza tecnologica per lavoro e divertimento. L’analisi che ne ha tratto con HIKIKOMORI, arriva tardi o è un monito?

Io ritengo che la tecnologia sia il mezzo per restare in contatto con il mondo e sia strumento di conoscenza.

Poi ognuno lo usa come ritiene, abusandone o usandolo in maniera distorta o negativa. Per chi decide di mettersi da parte, invece, la tecnologia non è la causa della loro alienazione.

Anzi, non deve sorprendere che gli hikikomori, chiusi nelle loro camerette, mettendosi in disparte dal mondo, cerchino con la tecnologia di non perdere il contatto con la realtà.

Beh si tratta di realtà certamente virtuale, ovviamente, perché essi hanno un motivo vero per starsene rinchiusi, rintanati in cameretta: motivi di disagio, sicuramente.

Il bullismo, per esempio. Quindi sono in disparte non propriamente per scelta propria, quanto per esservi indotti, costretti.

E quindi la tecnologia non è causa del loro essere in disparte ma il mezzo per navigare nel virtuale, piuttosto. Cercare musica o film, giocare o, in qualche modo, esplorare.

Con HIKIKOMORI, ci invita a prendere atto e consapevolezza di un’alienazione tecnologica in corso. Con la danza, arte di assoluta fisicità, HIKIKOMORI diventa un messaggio nel quale lei indica che l’essere umano può sopravvivere alla scienza carpendone il lato utile per l’esistenza stessa e non a sopraffarla. Sono elementi che tutti possono applicare nel proprio quotidiano?

Credo che la danza, la pittura, la musica, il teatro ma soprattutto la condivisione delle emozioni suscitate da queste rappresentazioni, sono chiavi della nostra esistenza.

Non certamente la visione di film da soli o ascoltare la musica in cuffia. Condividere le emozioni di un balletto o di un concerto dal vivo, respirare l’energia di tutti, vivifica, ti fa sentire parte integrante.

Questo bisogna applicare al quotidiano: certamente assecondare la propria unicità ma rapportandosi anche con gli altri esseri unici.

Da questo incontro sai quanta energia si sprigiona? Tantissima. E per fortuna possiamo ancora farlo, anche tra qualche minuto dopo questa intervista e si può ripeterlo all’infinito…

Ph. Dario Discanno.

Ci incantiamo di fronte a fate e guerrieri di latta. Un inesorabile vuoto mediatico indotto dai mass media che accecano la realtà che “vive” il nostro quotidiano.

Un paradosso che ci ingloba, ci fonde, nutrendo il nulla. Sono le vite spente, organismi dotati di intelligenza addormentata.

Vito Alfarano sovverte lo status quo e sobilla con l’arte, dubbi e domande. Senza falsi miti nè sortilegi da negromante, l’artista sfida i luoghi comuni e ne trae un etico dramma il cui scopo è denunciare quanto la vita vive alimentata dai propri sentimenti insieme con gli altri e anzitutto per gli altri.

Gianni Pantaleo.

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