martedì, 3 Dicembre, 2024 6:50:28 PM

Turi (Ba) – Ferdinando Redavid, direttore di un’orchestra di sogni

Dimentichiamo spesso che un professionista abbia caratteristiche umane simili a noi. Soprattutto nel campo dell’arte. Abbiamo una visione di uomini e donne concentrati nel loro lavoro dimenticando che fuori dal loro lavoro, sono uomini.

Bisogna conoscerli fuori dal loro contesto professionale e per farlo una soluzione sarebbe quella di frequentarli per una chiacchierata che miri alla loro scoperta sentimentale.

Ferdinando Redavid

Proprio come facciamo quando siamo con un nostro amico. Si parla, ci si confida e poi si costruisce, nel tempo, quella, ormai, rara qualità che si sta perdendo: il dialogo.

Ovvio che uscire con un artista è un privilegio. Però se si dessero in pasto ai loro fan, si perderebbero. Di loro, chiederemmo solo del loro  successo, dei loro album discografici, dei film e morbose curiosità.

Invece, proviamo a capire il loro stato d’animo. Le loro paure, i loro sentimenti, le notti insonni a comporre. Solo così apprezzeremmo il loro lavoro, di conseguenza comprenderemmo quali sono le ragioni del perchè quando siamo in platea, riescono a emozionarci con il canto, la danza, le note.

Ferdinando Redavid è un direttore d’orchestra. Un musicista evolutosi nel tempo. Non per la carriera (termine blasfemo che indica ormai competizione e arrivismo), ma per un amore che lo colpì quando di fronte ad uno strumento, il clarinetto, scelse lo studio di un’arte divina: la musica.

Facciamo un percorso indietro nel tempo e quindi da una sua direzione, la “Messa di Requiem” di Mozart che ha magistralmente diretto a marzo di quest’anno.

Ph. Mariagrazia Proietto

Un lavoro coraggioso, maestro. L’acclamazione del pubblico è stata la prova della sua direzione. Per dirigere un’opera così imponente, indispensabile è una preparazione artistica, ma soprattutto culturale. Lei, maestro, quanto crede siano importanti lo studio legato alla cultura e alla formazione artistica?

Intanto la ringrazio per i complimenti. Abbiamo inaugurato la XIV edizione del Festival del Belcanto con un’opera monumentale del repertorio della musica sacra, non era mai accaduto, perché era importante arricchire l’offerta musicale che il Festival propone ogni anno.

La risposta del pubblico è stata eccezionale e la gratificazione ricevuta a fine concerto è l’appagamento più totale per un direttore d’orchestra.

Sicuramente per me è stata una sfida importante musicalmente perché per quanto la struttura può sembrare semplice, nasconde in se delle difficoltà interpretative intense, gli equilibri tra il coro e i soli sono di grande difficoltà, perché bisogna rispettare l’eleganza mozartiana ed allo stesso momento interpretare l’oblio che la composizione richiede.

Spero di esserci riuscito. Sicuramente l’esperienza prima da orchestrale , dove ho suonato tantissime volte questa composizione con tanti direttori diversi, mi ha permesso di costruire al meglio lo studio di questa grande opera.

Intende, quindi, che la formazione di un artista si lega al territorio, al legame sociale e contestuale al suo personale vissuto?

La formazione di un artista è un simposio si tante situazioni. Territorio, contesti, esperienze, sono il deterrente per potersi formare.

Lo studio costante, l’essere curiosi e scrupolosi sempre difronte ad un nuova sfida musicale fa la differenza. Anche se un brano si è diretto più volte, ogni volta è sempre una novità perche cambiano gli interpreti ed è sempre una nuova avventura!

Vincenzo Grisostomi Travaglini

Restando nella formazione artistica e quindi studio e didattica, lei questa estate ha dedicato nel centenario della scomparsa di Giacomo Puccini, Madama Butterfly.

Straordinario dramma di un amore assoluto che il grande Puccini compose documentandosi sulle tradizioni orientali e per molte ragioni, non comprensibili a noi occidentali.

Una scelta artistica coraggiosa la sua e quella del regista Vincenzo Grisostomi Travaglini soprattutto per la protagonista femminile, affidata a Giuliana De Sio, mai così legata al ruolo contemporaneo della donna.

Giuliana De Sio

L’opera, notissima, ha una chiave di lettura che farebbe pensare al ruolo subalterno delle donne di fronte ad un amore impossibile.

Posso permettermi di capovolgere questa considerazione e pensare che l’atto di morte della protagonista è l’atto supremo di un amore unico e assoluto per un uomo che non la meritava? In fondo il togliersi la vita di Cio Cio San è la punizione eterna a Pinkerton…

La scela di Madame Butterfly ha un duplice interesse. La prima rappresentazione di Madame Butterfly fu nel 1904 e quindi l’occasione non è stato solo il centenario della morte di Puccini, avvenuta nel  1924, ma anche in memoria che venti anni prima, ci fu la prima rappresentaizone.

Joan Laìnez

Mi piaceva l’idea di unire le due ricorrenze: la morte dell’autore e la nascita della Madame butterfly. Un duplice interesse legato soprattutto alla sua drammaturgia.

Avere coinvolto la De Sio, è perché si voleva caratterizzare un attimino l’aspetto della sposa americana (n.d.r. Kate, la moglie di Pinkerton nell’opera lirica).

Infatti il sottotiolo era “Madama Butterfly, la vera sposasa americana”. Moglie che naturalmente non era a conoscenza che suo marito, qualche anno prima del loro matrimonio, fosse stato in Giappone e avesse avuto una relazione con una geisha dalla quale nacque un bambino.

Il personaggio principale dell’opera è Madama Butterfly ma Kate è il personaggio forse un po’ in ombra e incosapevole del fatto accaduto al marito.

Valentina De Pasquale

La scelta di dare alla Giuliana De Sio la descrizione di questo presonaggio, è nato dall’amicizia che ho con Vincenzo Grisostomi Travaglini, regista e importante professionsita molto vicino ai più grandi del teatro della lirica come Zeffirelli, Ronconi, De Simone

Prisco Blasi

Registi molto noti che hanno reso la lirica un’arte importante nel panorama del teatro. Mi concentrai, sulla protagonista Cho Cho San (n.d.r. Valentina De Pasquale) e dopo avere studiato attentamente sia la drammaturgia del libretto, che la stessa drammaturgia musicale, alla quale Puccini dedica molta attenzione, ho fato questa analisi cercando di essere la più corretta come osservazione tra drammaturgia musicale e interpretativa.

Carlo Provenzano

Cho Cho San ha in sé tre personaggi: è una bambina di 15 anni: infatti quando viene presentata da Sharpless (n.d.r. Carlo Provenzano), lei dice “io ho 15 anni” ma è già una donna, cresciuta senza un padre, vive sola con la madre e vive di tradizioni orientali che sono molto attente per la attente alla maturità di una donna.

Ravivaddhana Monipong Sisowath

Dopo di che si concede all’amore che incontra, dal quale nasce un figlio all’insaputa di Piketron (n.d.r. Joan Laìnez). Qui l’altra figura femminile: la mamma.

Una madre che non saprà più nulla del padre che ritornerà dopo circa tre anni perché aveva saputo da Sharpless che dal loro matrimonio a Nagasaky, che non aveva nessun valore legislativo, era nato un bambino.

Angela Alessandra Notarnicola

Pinkerton, mosso dalla coscienza, ritornerà da Cho Cho San ma per suo figlio, decidendo con la moglie americana, Kate, di tornare in Giappone per prenderlo.

E qui c’è la terza figura femminile: la donna che spera ritorni un giorno il suo uomo, un uomo che sì, tornerà, ma per toglierle il bambino.

Una chiave di lettura di un conflitto tra oriente e occidente, l’egemonia americana su nazioni considerate avverse.

Puccini descrive in maniera meravigliosa questi tre stadi della vita di Cho Cho San e in quest’ultima fase della vita della protagonista, lei intona una bellisima aria “Un bel dì vedremo”, con la speranza che il padre del suo bambino ritorni.

E’ nel terzo atto, nel quale la protagonista non vedrà mai Pinkerton, che entrano in scena Kate e Sharpless per portarle via il bambino.

Cho Cho San capisce questo e da donna di sani principi di una secolare educazione orientale, prova disonore per quanto le stia accadendo e pensa al suicidio come una liberazione.

Ho visto in Cho Cho San tre donne diverse raccontate da Giuliana De Sio, che è stata il valore aggiunto di quest’opera celebrando i 120 anni dalla prima esecuzione.  

Ph. Mariagrazia Proietto

Essere musicisti non è “umano”. Mi spiego: discipline artistiche come la musica, più che la recitazione o il canto, senza sottovalutarne la loro importanza teatrale, hanno bisogno di “nascere” con il musicista. Il talento non basta. E’ d’accordo?

Sono d’accordo in parte. La formazione per tutti gli artisti è importantissima. Ma io credo che il talento è innato in alcune persone e senza di esso, soprattutto nela musica, perde quel fascino e magia che è intrinseca.

Provi a pensare: senza il talento di Mozart non avremmo avuto quello che ci ha lasciato. Il talento da solo non basta.

Sono necessari studio, lavoro, metodologia, non arrendersi mai e soprattutto essere curiosi. Io stesso non mi sento musicista “arrivato”.

Ho tanto da scoprire e da studiare. Il talento passa proprio attraverso queste deduzioni che un musicista deve fare su se stesso.

Sentirsi arrivati è un errore. Soprattutto nella musica. La musica ha una componente che le altre arti teatrali non hanno: nel momento in cui decido di suonare con altri musicisti o di dirigere un’orchestra, la volta dopo non avrò mai le stesse persone e come nella domanda, dietro ogni professionsita, c’è un essere umano.

Questa componente è di importante impatto sull’esecuzone di un brano. E’ questa profonda “spiritualità” umana che poi rende l’anima stessa di una esecuzione.

“Leggere” la musica, s’impara, ma renderla “visibile” è dote che si avvicina al “divino”. Lei ha studi di Conservatorio. Mi perdoni: il suo status di artista è frutto di maestri “mèntori” della musica. A chi deve, tra i suoi maestri, questa virtù?

La musica s’impara. La musica si “legge” ma soprattutto si “ascolta”. Speso si dimentica “l’ascolto”. Ascoltare diverse esecuzioni è importante per capire quali possono essere le diverse interpretazioni e anche la tecnica di esecuzione.

Da queste attenzioni, nasce l’esperienza. Nasco come clarinettista e ho avuto la fortuna di incontrare degli insegnanti che mi hanno dato una formazione concertistica importante.

Cominciai col clarinetto perché a Turi c’è una realta musicale che è la banda, all’epoca era il 1987. Le nostre frequentazioni erano le parrocchie e gli oratori dove si faceva musica.

In questi posti nacque la mia passione che nel tempo ho coltivato. Uno dei miei insegnati che ha tirato fuori il meglio di me è stato per anni il mio docente, il m° Antonio Di Maso.

Ho fatto degli studi seguendo masterclass e corsi di perfezionamento fino in Germania, incontrando grandi artisti e tra i miei insegnanti vorrei ricordare Antonio Tinelli che mi ha dato una grande formazione musicale. importante per la mia crescita.

Ma devo molto all’esperienza di avere suonato per lungo tempo nell’orchestra. L’orchestra è il luogo più bello dove poter crescere.

Un luogo difficilissimo dove bisogna rendere al massimo e dove lo stato d’animo è molto diverso di quando sei un solista.

Da qui poi, il mio interesse a voler capire cosa si prova a stare dall’altra parte dell’orchestra e cioè dirigerla.

Così ho cominciato a studiare da capo. Il direttore d’orchestra è un compito molto complicato. Bisogna conoscere a fondo la struttura dell’armonia, quella orchestrale, poi sulla struttura della sinfonia.

Tutti elementi differenti tra loro e nello stesso tempo legati. Ebbi la fortuna, diversi anni fa, di conoscere un direttore d’orchestra con cui tutt’oggi è sono grande amico: Daniele  Agiman, oggi al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, e seguendolo in corsi in accademie anche private, ho affinato la mia professione di direttore d’orchestra.

Concerto “Messa di Requiem in Re minore K 626”. 2024

Questa stessa professione, che mi gratifica in qualità di interprete musicale, soprattutto nella partitura, cerco di renderla la più fedele possibile.

Direttore d’orchestra, musicista, docente. Didattica e arte. Dalle sue esecuzioni, traspare ben altro: la sensibilità e l’emozione di una traccia musicale che è interpretata con gli strumenti. Commuove. E’ lei o è la musica che trasmette queste sensazioni? Le note se non “dirette” si perdono nell’aria…

Se si prova ad ascoltare un brano a me molto caro, l’intermezzo, chiamato altre volte preludio, di Manon Lescaut, che reputo uno dei momenti musicali di un’orchestra più belli in assoluto, c’è un momento in cui il compositore Giacomo Puccini, dedica all’orchestra un’esecuzione di intensa emozione.

Cosa accade allora: sicuramente l’80% dell’esecuzione è di forte impatto emotivo che il compositore ha voluto trasmettere.

Un altro esempio è il “Secondo movimento del III concerto di Rachmaninoff” dove si ascolta un adagio straordinario.

Concerto “Messa di Requiem in Re minore K 626. 2024

Bene in tutto questo, per il direttore d’orchestra ha una sua specifica componente che è data dalla sua verve musicale ma soprattutto credo che per essere un direttore d’orchestra, siano necessari la propria sensibilità e emozione.

Ho diretto delle opere in cui mi sono letteralmente commosso e questo permette di capire quanto si “è” dentro la musica che inevitabilmente traspare all’esterno.

Trasmettere questa propria sensibilità all’orchestra non è sempre facile. Mi sono trovato di fronte a orchestre con le quali era necessario riuscire a costruire la stessa emozione provata, così che essa venisse fuori dai loro strumenti.

Nelle prove, poi, nei momenti più belli, si possono costruire questi feelings tra il direttore d’orchestra e gli orchestrali.

Dopotutto il direttore è un collega degli orchestrali, solo che lui li prende per mano tutti e li accompagna nel suo pensiero. 

“Chi è di scena!?”: mi lasci riflettere… E’ un’esclamazione ma è anche una interrogazione. Quella struttura nella quale lei opera, produce arte. La domanda allora diventa infinita: data la risposta, ne formula un’altra. Sembra un obiettivo lungimirante: formare e preparare futuri operatori dell’arte nel tempo. Nasce così “Chi è di scena!?” ?

Esattamente, come diceva, il punto esclamativo prima e interrogativo dopo, richiamano quello che dicevo prima: non sentirsi mai arrivati.

Il senso è: chi è di scena! Ci siamo noi, ma poi? Possono esserci gli altri! Questo lo penso da sempre, da ben quindici anni, da quando ho messo su questo “contenitore” con un unico obiettivo: quello di formare i giovani che attraverso la musica, la danza, il teatro, la poesia, possono avvicinarsi a queste che sono le diverse forme della disciplina quale è l’Arte.

Fiorella Sassanelli, giornalista e il m° Ferdinando Redavid

Il punto interrogativo perché io di scena, noi ci siamo quasi tutti i giorni. La vita è una scena, sempre. Vivendo facciamo teatro senza rendercene conto.

La nostra vita è un teatro perché svolgiamo delle azioni quotidiane, intessiamo relazioni con altri, gli amici, gli amori.

Ed ecco il “Chi è di scena!?”, siamo tutti, siamo noi. Naturalmente bisogna saperci stare. Così chi è di scena può esserlo in maniera affermativa o in maniera interrogativa, pensando comunque a non cullarci mai.

Concerto “Messa di Requiem in Re minore K 626”. 2024

I sogni. Si sa, a furia di sognarli, si realizzano. Ci può rivelare un suo sogno così da sperare cosa ascolteremo… domani?

Il mio sogno… I sogni. Ho sempre cercato di tenere i piedi per terra ma allo stesso tempo un artista non deve mai smettere di sognare.

Semplicemente perché il sogno è lo stimolo che ogni artista deve avere per poter ambire a fare qualcosa che resti nella memoria.

Poi magari il sogno si avvererà tra dieci anni. Mettere su un’opera, ricordo era il 2021, “Cavalleria Rusticana” (di Pietro Mascagni n.d.r.), non fu cosa facile.

Ma già da diversi anni, con la nostra associazione, avevamo cominciato a sognare un festival dedicato alla lirica.

 

Quindi i sogni che ho, sono tanti, ma quello più al quale miro perché diventi una grande realtà è quello del Festival del Bel Canto e che abbia una sua riconoscenza artistica e culturale.

Un sogno che possa realizzare non il mio personale desiderio, ma quello che offre e cioè il valore della riscoperta del canto lirico a livello nazionale.

Forse questo sogno si avvererà tra vent’anni, ma non ho fretta. Spesso dopo un sogno ci si sveglia ricordando di un sogno bellissimo.

Invece dobbiamo fare diventare quel sogno qualcosa di più bello e se lo stiamo più sognando, ci stiamo credendo.

Il sogno di per sé non è un’astrazione. Tu sai già che quel sogno si trasformerà in realtà, perché il desiderio che si avveri, dipende solo dalla tua capacità di trasformarlo in realtà.

Il maestro non si risparmia scoprendo la sua identità onirica. Dimostra un gran valore quando apre il suo animo spiegando quanto importanti siano gli obiettivi di un artista il cui ruolo è quello di trasmettere emozioni.

Lontano dallo star-system, Ferdinando Redavid lo rifuggerebbe se ne fosse catturato. E’ difficile non lasciarsi esaltare dall’allure del successo, ma lui ne è immune.

Probabile la sua giovinezza negli oratori, l’educazione ricevuta. L’umiltà di essere parte di quelle comunità fatte di semplici gioie, la felicità di vedere per le stradine della propria cittadina, le bande dove tutti, al loro passare, era una festa e questo bastava.

Frutto generazionale? Non credo. Semmai una pura e naturale fede per un’arte che lo avrebbe portato ad essere protagonista sulla scena della vita per amore della musica.

Gianni Pantaleo.

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