di Anna Landolfi.
Più che un’intervista, è stato un seminario. Il che mi ha messa in condizione di allieva presente ad una lezione di ricerca del suono dalle sue origini.
Cesare Pastanella, percussionista, musicista e ricercatore, ha reso la mia attenzione, oltre il mio ruolo di redattrice, il che sorprende, perchè quando ci proponiamo di presentare un artista, il fine è la sua produzione musicale e il suo percorso professionale.
L’intervista che gentilmente Cesare Pastanella, mi ha concessa, è un esercizio universitario di antropologia del suono. E gli sono grata.
Cesare Pastanella. Ph. Flavio Diaferia
La più preistorica sonorità umana: la percussione. E’ istintiva, è spontanea, credo sia la migliore forma di comunicazione sonora legata alle comunità umane. Lei non è solo un musicista ma soprattutto un ricercatore. Quanto indietro nel tempo l’ha portata la ricerca?
Un saluto ai lettori di Arti Libere. Bene, iniziamo con una domanda davvero interessante, e questo mi fa piacere.
L’uso delle percussioni nei modelli sociali umani si perde nella notte dei tempi, e mi piace immaginare un punto, un momento nella storia dell’umanità in cui il loro utilizzo, prevalentemente per finalità rituali e sciamaniche, diventa sfocato, una sorta di nebulosa poco definita.
D’altronde, troviamo lo stesso carattere indistinto anche quando ci spingiamo molto indietro nella stessa storia dell’essere umano.
Personalmente, nelle ricerche che ho fatto durante lo studio della cultura afrocubana, mi sono inoltrato fino all’affascinante civiltà egizia e alle antiche culture dell’India.
Sia chiaro, non che abbia approfondito l’uso dei tamburi in queste civiltà, ma indagando in libri cubani di etnomusicologia, ho scoperto dei legami tra alcuni tamburi caraibici in uso oggi, ed i loro antichi progenitori provenienti dalla culla delle civiltà antiche, situati da tutt’altra parte del mondo.
Concerto Cesare Pastanella Ph.Vincenzo Cantatore
Cerco di spiegarmi meglio, cercando anche di essere sintetico. La cultura di origine africana che prevale a Cuba è quella yoruba, eredità degli schiavi deportati nei secoli passati come forza lavoro verso le colonie dell’America.
Questa cultura di origine africana, nei suoi rituali animisti, per rivolgersi alle divinità del pantheon utilizza i batà, una famiglia di tre tamburi a doppia pelle a forma di clessidra allungata.
L’etnia yoruba proviene da una regione della Nigeria, in Africa Occidentale, dove ancora oggi vengomo utilizzati gli stessi tamburi che ho trovato a Cuba.
I tamburi batà nigeriani, prima di essere uniti e suonati orizzontalmente sulle gambe, pare che anticamente fossero separati e provenissero dalle tabla dell’Antico Egitto, non così distante geograficamente.
E le tabla egiziane, a loro volta, risultano essere acquisite dalle antiche civiltà indiane della Valle dell’Indo, che probabilmente vennero in contatto con la civiltà Egizia in Medioriente, un’area che fu raggiunta da entrambi i popoli.
Ecco come, in poche righe, si riesce a viaggiare nel tempo e nello spazio con il pretesto di raccontare l’origine di alcuni tamburi.
Concerto Cesare Pastanella
Afrodiaspora Ph. Arcangela Cicolecchia
Nando Di Modugno, Francesco Cinquepalmi,
Rosanna D’Ecclesiis, Cesare Pastanella
I giovanissimi sono attratti dalle percussioni ed è la batteria tra gli strumenti che più li avvicina alla musica. E’ successo anche a lei. Ha, però, un valore aggiunto la sua carriera: l’approfondimento antropologico. Gli studi etnici che caratterizzano le popolazioni di quello straordinario continente che è l’Africa e amplifica i suoi studi fino al medio oriente. Sembrano percorsi che seguono le influenze delle migrazioni umane. Tutto ciò è affascinante. Non è solo musica quindi?
Certamente, non è solo musica. Sin dall’infanzia sono stato affascinato dalle innumerevoli popolazioni del mondo, con tutte le loro peculiarità e differenze.
Ricordo che negli anni Settanta e Ottanta, prima che si affermasse la globalizzazione, ero già attratto dalla diversità dei popoli europei e dalle loro lingue.
Per me erano suoni e musica, l’incontro con altre culture che percepivo lontane e diverse da quella pugliese e del sud Italia, dove vivevo.
Concerto Gabin Dabirè Ph. Michele Carnimeo
Gabin Dabiré, Cesare Pastanella, Ana Estrela
Infatti, mi capita spesso di paragonare il ritmo al linguaggio, per me sono due espressioni umane parallele. E non avevo ancora scoperto tutto il mondo che esisteva oltre la Sicilia, la penisola greca e lo Stretto di Gibilterra!
Non so, credo sia un interesse profondo e passionale che va di pari passo con il fascino del viaggio. Incontrare e conoscere territori, popoli, culture.
Intendo che tutta la sua formazione artistica è frutto della ricerca. La storia degli uomini è legata alla comunicazione. Essa è frutto non solo della comunicazione verbale ma anche sonora. L’evoluzione permette di accrescere il sapere umano. Quello stesso suono diventa linguaggio universale. Non crede che il suono percosso, sia anche migliore della parola?
Assolutamente si. Alcuni anni fa, proprio su questo argomento ho scritto un brano con un testo in italiano.
È ancora nel cassetto, ma prima o poi lo pubblicherò in uno dei miei prossimi album. Riporto alcuni esempi di come le percussioni siano un importante mezzo di comunicazione.
Fino ad alcuni decenni fa, in Africa il ritmo era ampiamente utilizzato anche per la comunicazione a distanza, per l’invio di messaggi tra i villaggi e, nelle capitali dei grandi imperi, per annunciare con solennità le apparizioni in pubblico del re.
Oggi, in tutto il mondo, il suono delle percussioni è di grande aiuto nella comuncazione con persone affette da disabilità mentali e da deficit motori, grazie alla sua prerogativa di linguaggio non verbale, in grado di stimolare ed esprimere emozioni.
Per non parlare dell’effetto incantevole che esercita sui bambini, specialmente fino ai 3 anni di età, quando non si è ancora sviluppato un vero e proprio linguaggio.
Per esempio, qualche giorno fa attraverso i tamburi e tanti altri effetti percussivi curiosi, ho dialogato in modo divertente con Marco, il mio cuginetto di due anni e mezzo.
Era bello vedere sul suo volto le espressioni di sorpresa e meraviglia quando gli facevo ascoltare un nuovo suono, seguito immediatamente dall’irrefrenabile voglia di emulazione.
Quindi si, sono convinto che il suono, il ritmo e la musica, diano la possibilità di superare il linguaggio verbale, comunicando ad un livello più profondo e non razionale.
L’ho sperimentato in prima persona in tantissimi momenti della mia esplorazione musicale.
Prove Bobby McFerrin Ph. Cristina Palmiotta
Cesare Pastanella, Bobby McFerrin
Nel caos di comunicazioni distorte di questa età contemporanea, penso che un approfondimento della bellezza dell’arte, migliori lo status, ormai devastato, degli umani. Lei ha tenuto una lezione e non a caso alla Facoltà di Pedagogia Interculturale dell’Università Aldo Moro di Bari. Maestro, mi scusi, ma qui siamo nella più pura didattica artistica. Dalla sua visione, e cioè dalla cattedra, che attenzione hanno gli studenti?
Credo che se affrontato nella sede giusta, dove il livello di attenzione e predisposizione alla conoscenza è elevato, la materia di cui mi occupo, riconducibile in sintesi al rapporto tra il ritmo e l’uomo, anche se fatta di concetti e sonorità estranei alla maggior parte delle persone, soprattutto ai giovani, sia in grado di affascinare chiunque.
Quella lezione all’Università di Bari, dal titolo “In Movimento. Suoni e ritmi tra Africa e America”, fortemente voluta dalla Prof.ssa Gabriella Falcicchio che mi invitò a svolgerla, dal mio punto di vista fu un’esperienza estremamente gratificante.
Ritmo, musica, immagini e racconti si fondevano per dare origine ad un viaggio multimediale nel tempo e nello spazio, un pò come è avvenuto durante il mio percorso di ricerca e studio.
Lo stesso interesse lo avvertivo anche anni fa, quando a Bari e provincia conducevo dei laboratori di percussioni settimanali, rivolti a persone che non avevano mai suonato prima e che erano semplicemente attratti dal mondo del ritmo. Anche nella didattica, non ho mai omesso di unire l’informazione musicale a quella antropologica.
Concerto Antonella Ruggiero Ph. Rodrigo Lorubbio
Leo Binetti, Antonella Ruggiero,
Giovanni Astorino, Cesare Pastanella
L’importante però è farlo nei contesti appropriati, perché la superficialità ed i pregiudizi, oggi largamente diffusi, non si conciliano con l’attenzione e la curiosità necessarie per la conoscenza e l’apertura verso l’altro. In contesti sbagliati, il rischio di tediare può essere molto alto.
Figli di Tik Tok e dei social, i giovani hanno difficoltà ad interessarsi allo studio della musica?
No, al contrario, credo che mai come oggi lo studio della musica da parte dei giovani, e non solo, sia arrivato all’apice della sua diffusione.
Certo, penso anche che spesso il livello dell’insegnamento non sia così elevato, ma di sicuro i social favoriscono la diffusione dell’interesse verso l’apprendimento della musica.
L’importante, secondo me, è non fare l’errore di pensare che i tutorial reperibili in rete possano insegnare uno strumento.
Prove Music for Tales
Vito Ottolino, Serena Fortebraccio,
Leo Gadaleta, Francesco Cinquepalmi,
Cesare Pastanella
Al limite, forniscono allo studente un supporto aggiuntivo, ma specialmente quando si è alle prime armi, è fondamentale trovarsi fisicamente di fronte ad un maestro, per sentire direttamente e assorbire le vibrazioni che lo strumento musicale emette quando viene suonato dalle mani di chi ha esperienza.
Appartengo ad una categoria di musicisti che crede fortemente nel trasferimento del sapere tra il maestro e l’allievo, tramite lo scambio di informazioni ed emozioni, la frequentazione di persona e la comprensione dei problemi individuali di apprendimento.
La mia didattica, sin dal principio, si è svolta esattamente con queste modalità. Per questo ho fatto la scelta di non svolgere attività di insegnamento online, nemmeno durante il periodo della pandemia.
Ritmi arabi. Sonorità afrocubane. La tradizione e la storia. Faccio fatica a inseguire l’artista quale lei è. Non mi fraintenda: ma è così vasto il suo bagaglio che mi dispiaccio perdermi nelle sue note. Vorrei essere attenta e non perdermele. Percuotere uno strumento è energia. Cercare le sue origini, anche. Non è che lei è speciale?
Questa domanda mi fa sorridere. No, non ritengo di essere speciale. Semmai, questa potrebbe essere la visione che gli altri hanno dall’esterno per via del mio particolare operato nella musica.
Prove Tavernanova
Cesare Pastanella, Aldo De Palma,
Luigi Di Zanni, Rino Mazzilli,
Francesco Quatela, Pierluigi Balducci
Io mi sento nel flusso giusto che mi accompagna dall’infanzia, quell’impulso interiore, irrazionale, che mi ha portato a scoprire tanti mondi variopinti ed estremamente interessanti e affascinanti, senza mai fare compromessi, avere esitazioni o ripensamenti.
Sono, sento e incarno tutto ciò che ho fatto e continuo a fare nella musica.
Ha avuto fior di maestri: Paolo Lorusso, Maurizio Dei Lazzaretti, Giovanni Imparato, José Luis Quintana, Irian Lopez, Antonio Urdaneta, Moussa Belkacemi e poi Gilson Silveira, Kal dos Santos…Baba Kouyaté. Siamo su latitudini del nostro pianeta confinati tra il Tropico del Cancro e quello del Capricorno: siamo in piena fascia mediterranea e latina. Siamo alle origini dell’uomo. La sua musica è colta. Non la commuove tutto questo?
Posso dirlo, a volte mi è venuto da piangere quando a Cuba o in Burkina Faso, mi sono trovato a tu per tu con la manifestazione più pura dell’energia ancestrale del tamburo. Gli afrocubani lo chiamano Aña, l’entità spirituale che risiede nel tamburo rituale.
Una forza irruente che scuote dall’interno, nel profondo, e che si percepisce se si possiede la sensibilità giusta.
L’immagine istantanea di una festa irresistibile di balli, canti e ritmi, in cui “vedevo” manifestarsi quei milioni di schiavi africani trattati per secoli come bestie dai colonizzatori europei.
Tutti gli antenati che nel tempo avevano tramandato e modellato quelle pulsazioni ritmiche, portandole ai giorni nostri sotto forma di musica afroamericana, e tutta la tormentata storia umana a cavallo tra l’Africa e l’America, si stavano manifestando proprio lì, in quel momento, davanti a me e agli altri presenti.
Prove Toquinho Ph. Massimo Stano
Toquinho, Selma Hernandes, Luigi Rana,
Poldo Sebastiani, Fabrizio Scarafile,
Cesare Pastanella, Fabio Accardi
Sono infinitamente grato a tutti i miei maestri, sia a coloro che mi hanno insegnato la batteria jazz e moderna, e all’elenco che ha citato aggiungo Pietro Iodice e il M° Beniamino Forestiere, docente di percussioni del Conservatorio di Bari.
E in particolar modo, ai maestri che mi hanno tramandato le tradizioni antiche della loro cultura. Ci tengo a citarli tutti, aggiungendo i cubani Manley Lopez, Amado Dedeu, Michel Aldama, Reynaldo Hernandez, Gregorio Hernandez, lo statunitense John Amira, il brasiliano Raimundo Bispo dos Santos, meglio conosciuto come “Mestre King”, il burkinabé Adama Diabaté ed i senegalesi Ndongo Faye e Abdoullah Diack Sarr.
Incontri che mi hanno cambiato la vita. Dopo tanti anni mi connetto a loro ogni volta che suono uno dei ritmi che mi hanno insegnato, o mi tornano in mente i consigli che mi hanno dato.
Ed è una peculiarità del percussionista? Mica battere su una pelle in tensione è cosa semplice…sono suoni dell’uomo.
Mi piacerebbe rispondere a questa domanda citando una frase di Mestre King, precursore della danza afrobrasiliana, primo uomo nero a studiare in una università di danza del Sudamerica.
“Se você não entende que a percussão é um meio de comunicação e comunhão, você não é um percussionista, voce é ‘batuqueiro’!”
Traduco dal portoghese brasiliano: “Se non capisci che le percussioni sono un mezzo di comunicazione e comunione, non sei un percussionista, sei uno che ‘batte’!”. Credo che spieghi tutto, senza il bisogno di aggiungere altro.
Per fortuna questa frase non era rivolta a me, era un monito fondamentale che arrivava da uno dei più grandi custodi della cultura afrobrasiliana, una frase che non dimenticherò mai.
Giusto per completezza di informazione, anni fa, tramite la cara amica brasiliana Ana Estrela, danzatrice, coreografa, operatrice socio-culturale e imprenditrice con cui collaboro stabilmente, allieva di Mestre King quando era in Brasile, ho avuto la fortuna di incontrarlo e conoscerlo in più occasioni, studiando con lui i ritmi rituali del candomblé, e suonando con lui e per lui in uno spettacolo di danze, ritmi e canti afrobrasiliani che si tenne a Bari.
Fu una grande emozione e responsabilità trovarmi al servizio di una grande personalità artistica, testimone e tramandatore dell’eredità culturale africana in Brasile, che ci ha lasciato pochi anni fa.
Batimba. Lei definisce così l’evento: ritmi interattivi ed esperienziali a cui possono partecipare tutti, rivolti a contesti aziendali, sociali, educativi e culturali. Mi scusi maestro, ma questo è un messaggio messianico: và oltre la sua professione di musicista. Ma io applaudo e sa perché? Perché il suo lavoro non è solo finalizzato alle produzioni musicali, ma è anche un mèntore delle relazioni sociali. Non dovrebbero intervenire le istituzioni proponendo queste attività tra arti e società?
Mi permetta di precisare che Batimba è il marchio che ho creato di recente, con cui organizzo e facilito i Drum Circle (cerchi di tamburi e percussioni).
Si tratta di eventi ritmici divertenti e aggregativi che si svolgono in cerchio, realizzabili ovunque, sia all’aperto che al chiuso, a cui possono partecipare persone di tutte le età in quanto sono facilitati attraverso un metodo molto efficace, quello del VMC-Village Music Circles di Arthur Hull, un metodo che di recente è stato accreditato al MIUR, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per il suo alto valore educativo e pedagogico.
Il Drum Circle facilitato è uno strumento sociale molto potente, per via della sua grande forza di aggregazione, comunicazione, socializzazione e condivisione del proprio ritmo istintivo, innato in ognuno di noi, ma spesso dormiente per inibizioni o per mancanza dei giusti stimoli.
Lo ribadisco, sono eventi estremamente rilassanti, liberatori e divertenti, che durano poco più di un’ora, a cui possono partecipare tutti, anche senza avere conoscenze tecniche e musicali.
Per questo viene ampiamente utilizzato nelle aziende per svolgere attività di team building, e in ambito sociale ed educativo per favorire il community building.
Perché in estrema sintesi, favorisce il benessere collettivo e le sue applicazioni possono essere innumerevoli.
Dopo che per tanti anni ho insegnato attraverso la didattica tradizionale, ho scoperto e abbracciato questo valido mezzo, che permette a tutti di avvicinarsi al ritmo in modo libero ed istintivo, sperimentando in modo immediato la comunicazione e l’interazione musicale.
Insomma, così come nei villaggi africani i tamburi scandiscono ogni momento della vita sociale, favorendo la gioia e il divertimento collettivo, lo sviluppo e il rafforzamento del senso comunitario, e la produttività del lavoro, mi piacerebbe ricreare nella nostra società industrializzata e tecnologica, che va sempre di più verso la disgregazione e l’individualismo, un villaggio allargato che possa recuperare questi valori attraverso il ritmo e la musica.
È un sogno da visionario il mio? Altrove nel mondo lo sviluppo di una comunità del ritmo è un fenomeno in atto già da qualche decennio, non sarebbe il momento di sperimentarlo qui da noi?
Sono d’accordo con lei sul fatto che le istituzioni dovrebbero promuovere questa attività sociale basata sul ritmo collettivo, ma purtroppo qui in Puglia, e in generale nel Sud Italia, si fa fatica a comunicare l’importanza e la potenzialità della musica in cerchio facilitata.
In sostanza, tra una produzione musicale e l’altra, con il marchio Batimba sto cercando di portare a conoscenza il mondo imprenditoriale e delle pubbliche amministrazioni dell’importanza e dell’efficacia del Drum Circle, con la speranza che si arrivi ad utilizzarlo in modo molto più diffuso di quanto non avvenga oggi.
Un po’ come avviene nel resto del mondo e nel Nord Italia, dove il potenziale di questa attività è stato già intuito.
La ringrazio per questa domanda che mi ha dato l’opportunità di divulgare questa mia visione.
Teatro: “Gilgamesh”. “Il Viaggio di Arjun”. Badù Re, anzi Leone”. Teresa Ludovico. Lucia Zotti. Siamo con due grandi protagoniste del teatro classico e contemporaneo. Ha un senso di filiazione artistica: musica e prosa. Un percorso prevedibile nella sua professione?
Non del tutto prevedibile. Penso che l’interazione con la prosa, o con la poesia, per quanto queste possano essere espressioni artistiche legate da un rapporto di filiazione, non sia così scontato nella vita di un percussionista e di un musicista.
Di sicuro, capita meno frequentemente rispetto alla più probabile e diffusa attività concertistica, discografica e didattica.
Circa venti anni fa, ebbi la fortuna di conoscere ed entrare in sintonia con Teresa Ludovico, Lucia Zotti e Monica Contini, attrici, autrici e registe appartenenti al gruppo di fondatori del Teatro Kismet di Bari, che mi hanno introdotto nell’affascinante e stimolante mondo del teatro.
Le esperienze indimenticabili maturate in questo campo, i lunghi stage che precedevano la produzione degli spettacoli, le sonorizzazioni dal vivo, le tournée in Italia e all’estero, la scrittura di musiche originali, mi hanno reso ancora più sensibile all’imprescindibile e magico rapporto tra le immagini e il suono, tra l’azione teatrale e la musica.
Una relazione che mi affascina notevolmente e a cui mi dedico da numerosi anni. Inoltre, a distanza di tempo, questa esperienza di composizione per il teatro mi ha dato la possibilità di pubblicare i miei ultimi due album, “Music for Tales vol. 1 e vol. 2”, in cui ho raccolto le musiche originali che ho scritto per gli spettacoli “Il Viaggio di Arjun” e “Badù Re, anzi Leone” di Lucia Zotti, album che hanno visto la luce rispettivamente nel 2021 e 2022, per l’etichetta Angapp Music.
E non è detto che le pubblicazioni sotto il nome “Music for Tales”, in futuro non si arricchiscano di un terzo e quarto volume, magari includendo le musiche ancora inedite che ho scritto per letture di testi teatrali e poesie.
Non c’è limite alla creatività, questo è il bello dell’arte.
Domani per lei, maestro, sarà…?
Domani per me sarà fatto di cose semplici, belle e piacevoli.
Una rilassante passeggiata tra i paesaggi aperti e silenziosi dell’Alta Murgia, un territorio incantevole che amo tanto frequentare, capace di liberare la mente, e che ho la fortuna di avere a poca distanza da casa.
La prosecuzione di una esplorazione curiosa dei territori e dell’essere umano, anche nella nostra terra, così ricca di vicende storiche ed antropiche.
Domani ci sarà anche la pubblicazione del nuovo album del trio Kaleido Sea, un bel progetto musicale che condivido con il chitarrista Vito Ottolino e il bassista Viz Maurogiovanni.
Questo in uscita sarà il secondo capitolo del nostro viaggio caleidoscopico tra i suoni del mondo, filtrato attraverso la nostra sensibilità mediterranea ed europea.
E infine, sempre domani, mi isolerò piacevolmente nel mio studio di registrazione domestico, per dare inizio a una nuova produzione musicale, finalizzata ad una pubblicazione editoriale.
Cerco di darmi obiettivi raggiungibili, senza però smettere di sognare, ogni tanto.
Grazie.
Grazie a lei per questa piacevole e interessante chiacchierata, alla redazione di Arti Libere ed ai suoi lettori.
E’ figlio di questo pianeta. Non ha frontiere. La musica è l’ultimo obiettivo della sua curiosità colta. E’ il desiderio di conoscere, più che di sapere.
Una dote indispensabile per chi, come Cesare Pastanella, propone la musica. Le emozioni che ne derivano, sono il frutto della cultura degli uomini.
Comunità di uomini con i quali si identifica fino a percepire altre suggestioni, nuove impressioni e compilarle con il suo essere un musicista.
E’ un’operazione di empatia col mondo. Interagisce con esso. Che sia la parola o la nota, l’artista comunica ed un dovere professare con la musica, un linguaggio che miri a rendere migliori gli uomini e questa è Arte
Anna Landolfi.
In copertina, Cesare Pastanella. Ph. Flavio Diaferia