Troppo precoce la sua scomparsa. Chissà cosa avremmo ascoltato di Lucio Battisti oggi. La straordinaria collaborazione con Giulio Rapetti, Mogol, durata ben 15 anni, si interruppe nel 1980 e la loro separazione artistica fu un trauma (letteralmente) per tutti i fan delle canzoni di Battisti.
L’enorme quantità musicale dei due geni, accompagnò dal 1965 masse di giovani di una generazione che prendeva consapevolezza dei sentimenti post ’68 e che nonostante le proteste e i dissensi sulla borghesia ipocrita dominante le classi medie, non tralasciava quelle semplici relazioni che erano messe in disparte da genitori figli del boom economico del dopoguerra e che pensavano a formare famiglie, vacanze, il salotto buono, tv color e frigoriferi.
Certo dalla miseria al benessere, tutto era meritato. Ma il benessere acceca i sentimenti e le relazioni sono finalizzate agli interessi individuali.
Si fà spazio un anonimo cantante dalla voce roca e per niente melodica. Da “Una lacrima sul viso” a “Non ho l’età”, Lucio Battisti fà molta fatica a emergere dal melodico popolare.
Si ascoltano nuove soluzioni vocali, all’epoca, accordi di chitarre elettriche e violini. Testi che riflettono i pensieri e le emozioni di una gioventù un po’ dimenticata proprio da benessere che per molti non era ancora accessibile.
Le classi sociali restavano. Battisti è stato un precursore dell’anima intimista e ecologista. Tutto, nei suoi testi, fa riferimento al Creato. Odi e omaggi alla natura e al contesto degli uomini in essa cresciuta. I dubbi dell’esistenza. Le promesse mancate. Le mete mai raggiunte. Gli amori cercati.
Il confronto con i vocalist degli anni ’70 è spietato. Lui si differenzia. Canta il disagio di una generazione stanza ma fiduciosa. Esprime la memoria di ragazzi cresciuti nelle rinunce. Urla la libertà di essere ciò che si è, e: “…tu chiamale se vuoi, emozioni” (1970 dall’album “Emozioni”)
La critica lo accoglie. Finalmente anche loro (i critici) lo ascoltano spendendo numerosi articoli che approfondiscono e presentano questo innovativo ragazzo dai sound ricercati.
Uno tra i tanti musicisti che hanno “accompagnato” Lucio Battisti nella sua carriera, è stato il chitarrista Philip John Palmer, che in “Con il nastro rosa” (1980 dall’album “Una giornata uggiosa”), fa un assolo magistrale.
E’ un realista. La sua è la realtà umana. Metafore della vita quotidiana di chi comunque ha dei sogni.
“Prendila così. Non possiamo farne un dramma” (1978 dall’album “Una donna per amico), sprona al vissuto senza drammi. Una filosofia di vita che nonostante le preoccupazioni, si vive.
Dichiarò in un’intervista a chi criticava la sua tecnica vocale: “Io non ho una gran voce, ho una voce grande”. Questa sua, forse, permalosa dichiarazione, metteva a tacere chi considerava i cantanti, uccellini cinguettanti su trespoli.
Era criticato dai conservatori della canzone italiana. Infatti ad un Sanremo del 1969, in coppia con Wilson Pickett con “Un’avventura”, non convinse la giuria e si classificò nono. Troppo eversivo per competere con la tradizione canora del melodico italiano.
E’ troppo ancora presente Lucio Battisti, per potere dimenticare moltissime sue canzoni. Commemorarlo è un dovere storico per la canzone d’autore italiana.
Avuto l’enorme successo con Mogol e chiusa definitivamente la carriera con l’autore dei testi, battisti cambia radicalmente la sua vocazione di artista.
Insofferente al successo dichiarò: “Non parlerò mai più perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte”.
Forse la sua compagna di vita, Grazia Letiza Veronese, co’autrice di alcuni suoi testi, forse la sua indole timida e schiva, forse la sua reale maturità artistica, Battisti rivide il suo pensiero di artista e iniziò una complessa ma significativa collaborazione con il poeta Pasquale Panella, discussa figura nel mondo letterario ma sicuramente d’avanguardia.
Da “Potrebbe essere sera” (1990 dall’album “La sposa occidentale”):
Potrebbe essere una sera alabastrina
Con le sue venature ed una serpentina
Fessura per passare dalla sera alla notte
Con la nostra piccina.
Musica e testi sono ormai complessi. Battisti sperimenta e azzarda composizioni sintattiche enormemente intuitive. E’ la caratteristica della letteratura simbolista di cui Panella è un degno erede.
I fan accolgono questa sua maturità artistica con non facile consenso. Ricordando ancora la magnificenza del passato Mogol-Battisti, il connubio Panella-Battisti, è interpretato come un distacco da parte dell’artista dal consumismo musicale che tanto lo aveva visto protagonista.
Cosa che non ha mai cercato. Il carattere introverso di Battisti, era esente dalle luci del palcoscenico e suo malgrado divenne una star.
Difficile parlare e scrivere di un artista scomparso e lo è ancora di più quando la morte se lo prende precocemente. Quanto avremmo ancora ascoltato di lui…in un mondo che chissà, avrebbe riconosciuto come non più suo.