di Anna Landolfi.
Tempo fa di Juri Deidda, mi colpì il suo essere intimamente artista. La prima intervista che mi concesse, scavava la sua interiorità che in seguito avrebbe accompagnato la sua carriera di artist of sensations che con il suo amico sax, ci accompagna in concerti e soirèe sotto le stelle.
Un percorso segnato, il suo. Forse dalle stelle, forse dalla passione o forse dal riconoscimento di grandi autori che lo emozionano prim’ancora del suo pubblico.
Da thoughtful man qual’è, questo ultimo suo lavoro, II (secondo) ME, è un’ ode di artistico amore per uno dei più discussi e noti cantautori italiani: Fabrizio De Andrè.
Una lunga intervista rincorsa nel tempo, mi ha premiata. Appaga ascoltarlo e non solo con le note: le sue, sono parole di un uomo che traduce in note il suo amore per la musica.
Una scelta artistica per uno dei cantautori più “eversivi” della musica italiana. Un bisogno di continuare a dare valore ai suoi testi tutti con tematiche di vite vissute disperatamente, a modo loro, alla ricerca dell’amore. Testi ancora attuali?
Una scelta umana, sentita, dovuta. Umana perché in questa scelta è la mia vita trascorsa ad essere primariamente coinvolta.
Ciò che ho pensato e che ora penso, ciò che sono e ciò che sono stato. E’ proprio ascoltando alcuni dei suoi brani, quando non avevo ancora 18 anni, che è nata in me l’esigenza di iniziare a suonare la chitarra per poter meglio interiorizzare i sentimenti derivanti dall’ascolto di quei testi.
Juri Deidda
Questa esigenza di poter esprimere i sentimenti attraverso la musica è cresciuta ed è maturata nel tempo con la scelta dello studio del Sassofono: lo strumento che mi ha permesso di potermi esprimere al meglio.
Poi il teatro, i reading, gli studi Jazz: una passione che è diventata professione. Così, quasi per caso, mi sono ritrovato nell’ agosto del 2022 a visitare l’Agnata, la località in Sardegna che Fabrizio De André e Dori Ghezzi hanno costruito per risiedervi:
ricordo chiaramente di aver pensato di fronte alla finestra del Suo studio, di fronte al panorama che Lui stesso ha visto chissà quante volte, che non avevo più suonato quelle musiche né cantato quei testi da 25 anni.
Non un mese. 25 anni. In quel momento ho provato una profonda nostalgia. È da questa mancanza che ho sentito l’esigenza di creare un lavoro musicale che mi riavvicinasse a quelle storie, a quei personaggi e a quelle tematiche.
Non un tributo, ma il dovere di un viaggio attraverso il vastissimo repertorio del Cantautore riassunto in delle musiche evocative; la loro analisi mi ha predisposto ad accogliere realtà differenti dalla mia: un cambiamento di prospettiva per riuscire a vedere il mondo da altri punti di osservazione.
Sono quei testi che narrano di passioni, di tristezze e malinconie, di gioie, speranze e di amori, di viltà ed eroismi: sono i sentimenti che da sempre scuotono l’animo umano. Ed è per questo che rimangono sempre attuali e senza tempo.
Quindi il pensiero di De André, è stato lungimirante: mai come oggi le nostre vite vivono la disperazione della solitudine e dell’amore cercato.
Ma allora, la rivoluzione culturale di “Bocca di rosa”, “Il pescatore”, “La guerra di Piero”, non c’è stata?
Sinceramente non lo so. Oggi a parlare di Cultura, a “fare” Cultura, si fatica. Molto. Mi sembra cioè che se ci sia stata una rivoluzione questa abbia comportato un indebolimento della percezione della cultura, dell’importanza che si dà alla cultura.
A mio parere qualsiasi processo culturale che sia un pensiero, una riflessione, la stesura di un’idea come una composizione musicale o una poesia, implica investire una quantità di tempo che sembra essere diventata anacronistica rispetto a quella “usuale” dei tempi in cui viviamo.
In qualche modo viene recepito, considerato più efficace, il messaggio più veloce e semplice non quello che ha più contenuti.
Fermarsi, riflettere e confrontarsi in un clima costruttivo sembra in qualche modo passato di moda. Ciò di cui maggiormente mi accorgo è una maggiore solitudine non solo nel rapporto con gli altri, ma anche in quello con noi stessi.
Viviamo inoltre in un periodo di guerre terribili a cui sempre di più si fatica a dare un senso sopraffatti dall’orrore delle notizie quotidiane che ci trapassano.
Le “bocca di rosa” hanno imparato a “farlo” non più per passione, ma mossi o mosse solamente da un proprio tornaconto personale.
A volte mi piacerebbe essere proprio come quel pescatore che godendosi l’ombra dell’ultimo sole si assopisce riprendendosi il suo giusto tempo.
Il pregiudizio. De André scardinava l’ipocrisia borghese. Tra i cantautori della scuola genovese, Lauzi, Tenco, Paoli, Endrigo, Fossati, lo stesso De André, emersero le differenze sociali che il “bel canto” tanto bistrattava.
Una svolta nella musica melodica italiana?
Penso che tutta la Sua Opera riesca ancora a scardinare il pregiudizio. In tutta la Sua produzione è tangibile una grandissima apertura mentale necessaria per comprendere un’altra persona e vincere così il pregiudizio.
È stato tra i primi cantanti e compositori con un certo nome a incidere una canzone scritta in Sardo, in gallurese, nel 1978, ed il suo pensiero lucido ed attento ha precorso i tempi: un altro esempio credo sia il brano “Don Raffaè” che uscendo nel 1990 anticipava quel terremoto politico che fu poi chiamato tangentopoli.
Ci sono artisti che riescono sia ad anticipare delle tendenze che a capire perfettamente il tempo in cui vivono: Fabrizio De André è stato senza ombra di dubbio uno di questi.
Alla scuola genovese mi sono accostato però solo superficialmente e a più riprese. Qualcuno, Gino Paoli, quello che più conosco, afferma che più che scuola era un gruppo di amici, ma ammetto la mia ignoranza su tale argomento.
Mi piacerebbe molto approfondire l’opera di Tenco. Io non ho vissuto, per questioni anagrafiche, in prima persona questa svolta.
Mi interessai a Paoli prima che per le sue canzoni per il suo gesto eclatante di voler cantare dal vivo a Sanremo nel 1989 opponendosi alla imperante pratica del playback.
Fu un gesto nobile e fuori dagli schemi che mi fece riflettere sul significato della musica. Ecco io iniziai ad ascoltare Paoli da allora e non ho ancora smesso. Mi piace ascoltarlo e suonarlo tutt’oggi.
Lei propone un lavoro colto. Una profonda analisi del pensiero di De André, con un concerto in sei quadri o meglio sei suite chiamate da lei stesso: Suite della Libertà, People – La suite della gente, La suite dell’acqua, La suite del Cielo, Women – La suite delle donne e la suite del mistero – Amore e guerra.
E’ il vissuto interiore di Fabrizio De André e lei lo “ricompone” storicizzando la sua carriera artistica.
Mi scusi: ma questa è pura letteratura! Mica facile. Che lavoro ha fatto, con il suo staff artistico, per farne una transizione musicale?
La ringrazio. In “Secondo me” ho scelto di “cantare” De André con la voce del Sassofono tenore, con ciò che nel tempo è diventata la mia voce.
Ho pensato alle canzoni a cui ero in qualche modo più legato, quelle di cui avevo più nostalgia per ciò che narravano o per i sentimenti in esse contenuti, ho individuato le tematiche a cui ero affezionato ed alla fine ho trovato delle corrispondenze tra tematiche e brani collegandoli tra loro in questi quadri.
Quei brani che ho cantato e suonato in un periodo spensierato della mia vita ho cercato di interpretarli attraverso differenti soluzioni musicali che avessero un significato preciso.
E’ il mio modo, non avendoLo mai conosciuto di persona, di ringraziarlo attraverso un lavoro di riflessione che ha portato a riversare i suoi splendidi testi e la sua splendida voce in suggestioni musicali. Ho cercato di seguire una strada differente.
Ho pensato a suoni, timbri, tempi ed armonie alternative. Musica. In questa trasposizione di voce e testo in musica ho individuato delle personalità musicali che potessero essere dei buoni compagni di viaggio e che potessero aiutarmi ad esprimere questa idea di fondo.
Per questo ho coinvolto dei musicisti con i quali ho condiviso nel tempo esperienze musicali significative ed importanti.
Paolo Assiero Brà contrabbassista Jazz e bassista elettrico a cui ho affidato il controllo delle tempistiche musicali, dei cambi più delicati all’interno di ogni singola suite, una roccia che mi sorregge sempre;
Paolo De Liso batterista, percussionista, con l’amore per l’improvvisazione radicale, che con grande sensibilità ed attenzione forgia ogni singolo timbro e a cui ho affidato i paesaggi sonori, le scenografie di ogni suite; lui è capace di stupirmi ed emozionarmi ogni volta che suoniamo.
In un lavoro dove ho rinunciato sia ai testi che alla voce ho pensato di affidare la chitarra alla spiccata sensibilità del bravissimo Gianluca Tozzi che con la sua giovinezza ha dato una maggiore propulsione al tutto, un grande piacere sapere che si è immerso in questo lavoro con grande entusiasmo e competenza.
A tutti loro ho chiesto delle cose precise, suoni e timbri, armonie, ritmi, ma ho fatto anche in modo che potessero mettere dentro la musica la loro creatività, il loro trascorso, che potessero esprimersi mettendo tutta la loro passione.
Gianluca Tozzi
Perché questo lavoro ho voluto fosse innanzitutto un lavoro di passione e la prima cosa che deve trapelare dalla musica di questo lavoro è la passione.
E ogni volta che suoniamo io sento questa loro passione, questo tempo che hanno dedicato al progetto, questo loro sostegno nei miei confronti: per tutto ciò io li ringrazio.
”Se sono un uomo migliore lo devo a loro. Alle donne che mi hanno aiutato a crescere e di cui conservo gli insegnamenti migliori”.
Ma sa che con questa affermazione, lei si mette in pericolo? E’ una dichiarazione che conferma quanto le donne siano importanti per il vissuto degli uomini.
Lo è stata anche Dori Ghezzi per De André. Ma allora, com’è che le donne diventano importanti per gli artisti o per l’ Arte e poi sono malmesse dall’uomo “di tutti i giorni”?
Devo molto alle donne e agli esempi che mi hanno fornito anche solo con i loro comportamenti: sono riconoscente per questo.
Molte hanno creduto in me e mi hanno incoraggiato nel cammino, a volte indicandomelo, a volte sorreggendomi e alcune altre sospingendomi.
Ho dedicato la mia tesi di specializzazione alle donne: “Questa è una tesi dedicata alle donne: è grazie a loro e alle loro qualità esemplari che sono arrivato sin qui!”.
Questa convinzione non matura quindi con questo lavoro, ma vuole essere un memento, un ricordare quanto stimo il genere femminile.
Le canzoni di De André: non dovrebbero ascoltarle gli uomini?
Non è un riferimento solo al valore delle donne, ma a tutto il comportamento maschile che spesso lascia perplessi: la viltà, l’egoismo, il potere…la virilità…il Padrone.
Contro uomini che ancora pensano alle donne in termini di oggetto, di possesso, che non tollerano l’abbandono, che non hanno la minima idea della libertà femminile, che intimoriscono usando violenza, che uccidono, purtroppo non basta far ascoltare canzoni.
Da queste canzoni possono scaturire riflessioni profonde; in generale la musica e l’arte possono ispirare, ma secondo il mio parere sono le azioni educative unite agli esempi, in gran parte dati dalla famiglia ed in parte suggeriti dalla scuola, che possono svolgere un ruolo fondamentale nell’intendere una visione globale paritaria.
“II (secondo) ME – Fabrizio De André in musica”. Quali difficoltà tecniche ha incontrato, se ne ha incontrate, per mettere in concerto la “poesia” di De André?
E’ stato un lavoro colmo di difficoltà, di sfide, una vera e propria avventura. Ho avuto molti timori ad iniziarlo. Insomma – mi dicevo – come fai ad accostarti ad un Grande come Il Signor Fabrizio De André con la tua piccola musica?
Ho dovuto fare i conti con difficoltà di interpretazione del testo, della voce. Quando suono il sassofono penso di solito al suono delle note, facendomi guidare dalla melodia pura, priva di parole.
Qui invece ho sentito l’esigenza di abbandonarmi al canto di De André e quindi, oltre alla melodia, mi sono affidato alla parola ed al suo suono per come viene pronunciata nel canto.
Mancando i testi ho voluto comunque considerarli. Mica semplice con il sax. Ho dovuto imparare ad utilizzare degli effetti che si utilizzano per la chitarra per ottenere altri suoni e timbri.
A volte invece ho voluto cambiare diversi parametri. Nella suite “Women” ho creato nuovi accordi, assieme a Gianluca Tozzi, per “La canzone di Marinella” costringendola in una forma di ballad jazz in 32 battute perché si creasse una tristezza dolce e struggente.
Ho modificato il tempo di Rimini, da un tre ad un quattro quarti in un tempo di milonga perché trapelasse il senso di malinconia di Teresa che ha dovuto rinunciare ad un figlio: sono stato settimane a suonarla perché mi convincesse questo cambio di tempo.
Nella suite dell’acqua con Paolo abbiamo creato una nuova struttura ed una nuova voce al basso elettrico facendolo diventare il canto introduttivo di “Sinán Capudán Pasciá”.
Le confido che inizialmente sarebbe piaciuto cantarlo a me, ma Paolo ci teneva a suonarlo e lo suona che è un incanto. Sono contento che inizi lui.
Nella suite della libertà in “Se ti tagliassero a pezzetti” ho chiesto a Paolo De Liso di “rappresentare” con le sue percussioni ed i tamburi questi pezzetti di libertà che vagano in uno spazio indefinito sospinti dalla forza dirompente di un’esplosione: è la rappresentazione della nascita di un’idea;
è riuscito a creare i suoni con dei pezzi di motore, un archetto per violino e delle corde di contrabbasso di ciò che io avevo in mente.
Tutti questi quadri partono da un’idea di fondo che attraverso dei miei pensieri recitati, delle suggestioni, vengo a spiegare al pubblico prima che vengano suonate.
In “Women” mi rifaccio allo schema della commedia per compiere un viaggio che ha la sua partenza in un dramma e che gradatamente evolve verso una lieta fine: dalla morte per omicidio di Marinella fino all’allegria di Angiolina che sposa il suo amato pilota camicia di seta.
Nella suite “People” non potevo suonare “Via del campo” e basta. Dovevo esprimere che cosa ho provato e che cosa ancora provo quando suono quella canzone.
Quando mi affannavo sulla chitarra a rincorrere gli accordi per poterla cantare. Lo sa che “Via del campo” nel 1967 usciva registrata in 3/4 in tonalità minore di Sol e con una parte strumentale di la minore?
Poi un cambiamento alla fine degli anni settanta la spostava di un tono sopra in la minore con alcune strofe in si minore.
Nell’ultimo tour del 1998 c’era un arrangiamento in 6/8…Ecco… in questa Suite “People” in “Via del campo” ho messo sia il 3/4 che il 6/8, ma anche le tre diverse tonalità in cui in trent’anni di incisioni è stata cantata.
È in quella via che le storie si incrociano in un destino comune per gente speciale: da una Graziosa ad una Bambina fino a Nancy e a Pasolini.
Esistenzialismo, contestazione. Le generazioni contemporanee non si pongono la domanda sulla loro vita, né hanno da contestare nulla. Hanno tutto, forse troppo. O forse niente?
Questa è una domanda difficile lo sa? Come scriveva Calvino in “Palomar” penso che le nuove generazioni si pongano le stesse domande che ci siamo posti noi alla loro stessa età: i modi sono diversi, come i tempi, ma le domande penso siano le stesse.
Così come i disagi i timori, i dubbi, e lo sconcerto di fronte alle ingiustizie del mondo. Io non sono un figlio della guerra, ma i miei genitori si ed ho avuto, rispetto a loro, molto ma molto di più.
Ricordo che quando ero un adolescente mi è stato detto più volte quanto lei mi ha domandato. Nei salti generazionali accade una frattura.
Penso solo che in tali fratture la famiglia svolga un compito importante che io definisco educazione. Ecco ritorno al pensiero di Calvino che riguarda l’esperienza.
Glielo leggo: ”La soluzione di continuità tra le generazioni dipende dall’impossibilità di trasmettere l’esperienza, di far evitare agli altri gli errori già commessi da noi.
La vera distanza tra due generazioni è data dagli elementi che esse hanno in comune e che obbligano alla ripetizione ciclica delle stesse esperienze, come nei comportamenti delle specie animali trasmessi come eredità biologica;
mentre invece gli elementi di vera diversità tra noi e loro sono il risultato dei cambiamenti irreversibili che ogni epoca porta con sé, cioè dipendono dalla eredità storica che noi abbiamo trasmesso a loro, la vera eredità di cui siamo responsabili, anche se talora inconsapevoli.
Per questo non abbiamo niente da insegnare: su ciò che più somiglia alla nostra esperienza non possiamo influire; in ciò che porta la nostra impronta non sappiamo riconoscerci”.
Un modo di insegnare c’è a mio parere. Io lo chiamo esempio. Dare l’esempio.
Lei con il suo sax, cosa “urla” al pubblico?
Nei brani che suono ed interpreto cerco di raccontare qualcosa.
A volte è gioia, a volte dolore o malinconia o dolcezza; piccoli pezzi della mia vita e del mio trascorso che intravedo in ciò che suono.
Sento il bisogno di questo. Perché so che ho qualcosa da dire. Non è semplice, sa? Emozionarsi ed arrivare al limite del pianto o della gioia.
Urlo a mio modo. Cerco di comunicare ciò in cui credo e la passione che mi muove.
Ed è compreso?
Spero di si. All’inizio e durante il lavoro di creazione delle suite, con l’utilizzo di diversi linguaggi musicali come l’improvvisazione radicale, il Jazz, il Progressive, il più grande timore che ho avuto è stato quello di non riuscire a comunicare nel modo più giusto il messaggio che avevo in mente:
una grande passione per l’Opera di Fabrizio de André interpretata attraverso il mio gusto musicale, a mio modo, secondo me appunto che è poi il nome che ho scelto per lo spettacolo.
Guardi sinceramente non lo so ancora se sono riuscito in questo, ma intanto ho tacitato quella voce interiore che mi ha spinto a farlo e l’ho fatto. Non spetta a me dirlo, ma in fondo a chi non piace essere capito, compreso?
Il Circolo Ricreativo dell’Università degli Studi di Cagliari, la Regione Autonoma della Sardegna, l’Assessorato Pubblica Istruzione, i Beni Culturali Informazione Spettacolo e Sport, il Ministero della Cultura, la Fondazione di Sardegna, la Facoltà di Scienze Economiche, Giuridiche e Politiche di Cagliari, cioè: una struttura istituzionale che l’ha supportata.
Un gran risultato, le pare? E’ un piacere riconoscere che la “rivoluzione culturale” ha il consenso degli “alti scranni” della politica.
È la musica l’immediato messaggio perché possano gli uomini, migliorare?
La musica è una delle espressioni dell’animo dell’intera umanità. Il suo continuo evolvere testimonia la comune volontà di uomini e donne di migliorare.
Perché questa volontà possa trovare espressione ci vogliono oltre al pubblico ed agli artisti tante persone appassionate che, facendosi portavoce presso le istituzioni, riescano a trovare spazi, fondi e sovvenzioni.
Tutta questa “istituzionalità” non sarebbe stata possibile senza l’appoggio dell’associazione Palazzo d’ Inverno che guidata da Betty Oro, un’altra donna guarda il caso, è stata la prima a credere in questo lavoro dandomi la possibilità di farmi esordire, per il primo concerto, fornendo risorse, uno spazio istituzionale, attrezzature e tecnici bravissimi.
Sono molto grato a Betty e a tutti i soci del Palazzo d’Inverno per avermi dato questa possibilità. Sono loro che produrranno lo spettacolo per il 2024.
Proprio per questo coraggio mi conceda di parlare del Palazzo d’ Inverno perché rappresenta una di quelle ormai rare realtà che producono e fanno cultura e lo fanno da quasi quarant’anni con continuo sacrificio.
Il Palazzo d’Inverno ha gestito il Teatro Palazzo d’inverno a Cagliari producendo spettacoli e organizzando rassegne e laboratori per oltre vent’anni.
Chiuso lo spazio teatrale, l’Associazione ha approfondito l’interesse verso la musica e verso le culture del mondo, organizzando importanti eventi in Sardegna, a Madrid, a Cuba, a Tenerife, Fuerteventura, Montgenevre, Nantes, Rennes, Siviglia, in Albania e Macedonia, collaborando con l’Università di Quito in Ecuador.
Questa è la gente che lavora con la cultura ed è quella che compie delle grandi rivoluzioni ogni giorno per permettere a me di poter suonare sul palco.
Io sono onorato di poter essere prodotto da loro. E’ anche grazie alla loro passione che la musica in questo mondo sempre più veloce riesce a trovare il giusto tempo per veicolare i giusti messaggi.
E Juri Deidda, è lui il messaggero?
Non lo so. Quello che so è che io ci provo.
Suppongo vi siate resi conto, che parlare con Juri Deidda, ha lo stesso piacere che ascoltarlo. Nella mia professione, non è semplice che un artista parli. La sua voce, è il suo strumento. Se attore, la sua voce è il palcoscenico o se è un danzatore, è il suo corpo a parlare.
Ma se ti siedi di fronte all’artista e sei sinceramente innamorata della sua arte, lui non muoverà solo la bocca rispondendo alle domande.
Con attenzione, sarà la sua gestualità a spiegare il suo lavoro. Gli occhi, le labbra, il corpo seduto che balla sulla sedia perchè impetuoso del racconto.
Non fai nulla: ascolti e basta. Perchè poi, quando sei in platea, dell’artista comprendi meglio il suo lavoro e non ti sorprendi se ti lasci prendere dalle emozioni: lo ha già fatto prima con le parole.
Anna Landolfi.