di Gianni Pantaleo.
Intraprendenza, un sostantivo che meglio caratterizza uno dei danzatori più caparbi del “pianeta” danza. Non “nasce” danzatore, lo diventa. Sono le imprevedibili strade che percorriamo durante le nostre vite. I talenti, ed è noto, sanno di esserlo. Questo certamente, li rende dei. Fabrizio Delle Grazie, invece, si fermò e capì che quelle doti, le avrebbe conquistate, è opportuno scriverlo, “passo” dopo “passo”.
Fabrizio Delle Grazie, danzatore.
Una carriera parallela: vita e danza. Dedizione da vero professionista. Una domanda formale: è stata una scelta casuale o programmata? A 16 anni molti giovani hanno ancora molti sogni e non tutti si avverano…
Una scelta puramente casuale, una scelta che non prefiggeva un sogno e neanche un obiettivo, mi piaceva vivere in sala. L’odore della pece, il parquet, la musica, era una sorta di premio di fine giornata. Ogni giorno…
A cosa ha rinunciato per proseguire il suo obiettivo: diventare un danzatore. Ad un giovane che si prefigge una meta, non si può che spronarlo a raggiungerla. E’ stato sostenuto?
Devo essere sincero, non ho fatto grandi rinunce e il sostegno della mia famiglia non è mai mancato. Mi vedevano felice e hanno creduto in me, tutti. Non ci sono rinunce se fai quello che ami, lo so sembra banale, ma questo lavoro pur essendo duro e certe volte frustrante, quando è fatto bene ti riempie l’anima.
La carriera di un danzatore non è noiosa: cominciati gli studi giovanissimo, è nella scuola di Liliana Cosi e poco dopo tempo è già in scena con uno “Schiaccianoci”, continua a studiare e vince una borsa di studio e poi i maestri Tuccio Rigano, Litvinov, Alexandre e poi Grazia Galante (straordinaria danzatrice del Balletto del XX secolo del m° Maurice Bejard). Un notevole percorso con insegnanti di forte spessore artistico e formativo. Con gli “occhi” di oggi, a chi dedicherebbe un suo lavoro coreografico? Un omaggio a chi?
I miei maestri, tutti, sono un pezzo di quello che sono oggi. Tutti quelli che ho incontrato nel mio percorso formativo e professionale sono un port de bras fatto con il cuore. Sono la fatica, sono il non arrendersi, l’autocritica e l’umiltà: elementi fondamentali di questo lavoro. Ognuno di loro è omaggiato ogni volta che creo anche un solo “otto“ coreografico.
E’ l’insegnante che più ha influito sulla sua formazione di danzatore? Perché?
Come dicevo prima, sono tutti un pezzo della mia formazione. Certo la prima maestra è un simbolo importante per tutti, infatti ringrazio Valentina Arrivo, direttrice della scuola di danza Attitude, che mi ha spinto sempre nel credere più in me stesso, ma tutti, anche i maestri incontrati per un solo stage ti lasciano qualcosa se tu sei in grado di integrare i loro insegnamenti.
Cristina Bozzolini: i suoi studi si completano con il Balletto di Toscana. Tecnica e formazione. Per i nostri lettori, le chiedo: la tecnica e la formazione in cosa preparano e presentano il danzatore al pubblico, gli studi comprendono anche l’interpretazione?
Il Balletto di Toscana è stata una formazione per me importante: tanti, tantissimi maestri, stili e tecniche che riempivano la giornata di sudore e felicità. Ammetto che all’epoca ero ancora acerbo come danzatore infatti mi sentivo allievo a tutti gli effetti. Avere tecnica ti rende sicuro e stabile sul palco, ma l’interpretazione, quella la si impara solo danzando molto, scontrandosi con vari tipi di pubblico e facendo entrare nella propria danza tutti i coreografi incontrati durante il proprio percorso. Io ho incontrato molti coreografi generosi che mi hanno dato molto.
Nel tempo, ognuno dei danzatori, sviluppa ed evolve il proprio pensiero sulla tecnica e la formazione. La danza classica ha anch’essa un percorso evolutivo? O perché “codificata”, resta legata alla sua storicità del repertorio classica?
Questa domanda mi piace molto. La danza classica, la madre di tutte. Io, ovviamente, non sono un danzatore classico, ma il processo evolutivo del nostro corpo di danzatori avviene, a mio modesto ma fermo parere, grazie alla lezione di danza classica. Non è un semplice riscaldamento del corpo, ma lo studio del movimento e della musica. Per me la danza classica è necessaria.
C’è più “libertà” coreografica nella danza contemporanea? Il corpo, possiamo dire che si “libera” dalle “regole” della danza classica?
Non sono così convinto che la danza classica abbia poca libertà di movimento, però ammetto che dal punto di vista del lavoro coreografico molte regole possano cambiare in base allo stile di danza. Le regole però ci sono sempre, sono solo diverse.
Quindi il danzatore “vive” lo spazio diventando egli stesso parte dello spazio. Intendo questo?
Quando il danzatore diventa egli stesso parte dello spazio, il suo corpo diviene palcoscenico, soprattutto quando si punta sull’espressività interiore.
Lei è un danzatore che ha partecipato con la Compagnia AltraDanza, storicamente diretta dal m° Domenico Iannone, a molte stagioni liriche. Una “macchina” artistica ben più complessa nel mondo delle arti e del teatro. Esperienze vissute tra cantanti, registi, macchinisti…insomma: il palcoscenico. Ci racconta l’emozione più profonda per un’opera lirica che più l’ha coinvolta?
Le produzioni liriche ti fanno vivere il teatro appieno, le tante ore di prova, la sartoria, l’orchestra, i maestri di scena, tanta gente che lavora con te e per te. Una macchina perfetta che ha bisogno di tutte le figure, dal protagonista alla maschera in platea. Forse è proprio questa l’emozione che mi accompagna quando ricordo le opere che sì ho danzato con la Compagnia AltraDanza ma anche quelle che mi sono state commissionate come coreografo. Ricordo con piacere un Don Giovanni andato in scena al Teatro della Fortuna di Fano con la regia di Francesco Esposito e le coreografie di Domenico Iannone: una bellissima produzione.
Protagonista nel “Molière imaginaire” con AltraDanza. Un interessante lavoro coreografico dedicato alla vita di Molière. Un balletto di natura letteraria che “racconta” la vita dello scrittore francese. Restano influenze emotive quando interpreta un personaggio?
Ecco, qui apriamo le pagine di un periodo che sarebbe dovuto essere bellissimo professionalmente parlando, ma che, purtroppo, per via di un infortunio si è trasformato per me e credo anche per i miei colleghi in un vero incubo. Ero Molière alla fine della sua vita, tutti i suoi ricordi gli passavano davanti agli occhi come in una reminiscenza finale. Io mi sono solo rotto un piede ma il mio amico e coreografo Domenico Iannone non ha fatto altro che adeguare tutta la scrittura coreografica a me. Non mi ha fatto fuori. Non penso neanche gli sia mai passato per la testa. Lo ringrazio ancora.
Orazio Caiti, Marigia Maggipinto, Domenico Iannone: danzatori loro stessi e maestri. Tutti con stili e carriere diverse. La seguo dal 2016 e ha sempre l’aspetto dell’eterno ragazzino “affamato” di conoscere, di capire…Questa crescita artistica le permette poi di presentare per l’edizione DAB (Danza a Bari n.d.r.) nel 2017, “Progetto fuga”. Le cito: “…nasce dall’intento di esprimere in chiave tragicomica e non giudicante, gli estremismi emotivi che nelle fasi di vita più destabilizzanti, pervadono ognuno di noi con sfumature ogni volta uniche e paradossali e che ci trasformano in esseri a volte ridicoli, altre ingestibili, tanto da farci sentire come dei personaggi al di fuori di noi”. Quattro danzatrici di notevoli doti tecniche e lei, coreografo. E stato un messaggio di “trasformazione interiore” che ci trasmette? La fuga, non è dalle difficoltà, a “fuggire” sono le nostre paure, i nostri conflitti…una liberazione. Una “lotta” con sé stessi. E’ così?
In “Progetto fuga” ho avuto la fortuna di creare su quattro danzatrici molto belle e preparate. Mie amiche e colleghe, Vera Sticchi, Claudia Gesmundo, Giulietta Sorino e Daniela Stea, tanto diverse tra di loro ma con una energia pazzesca. Le ho scelte perché sapevo che avrebbero interpretato alla perfezione il messaggio che volevo far leggere al pubblico. No, non si fugge mai, come hai detto tu a “fuggire” sono le nostre paure. Vedo che il messaggio è arrivato forte e chiaro, bene.
“Octet” da “Come back to Italy” di Domenico Iannone. (2018)
“Progetto fuga” di Fabrizio Delle Grazie. (2017)
Ci sono riferimenti al suo vissuto in “Progetto fuga”?
Quando ho scritto e creato “Progetto fuga” tutti i miei conflitti erano già spariti, “fuggiti”. È stata come una sorta di analisi, una finestra sul mio stato d’animo precedente. E’ molto importante ricordare sempre cosa e come si è stati. Nel bene e nel male.
Fabrizio Delle Grazie, danzatore e coreografo. Direi anche umanista. La sua continua ricerca interiore, l’associo ai grandi pensatori del ‘900, Sartre, Croce, Cohen. Mi viene da dire che non è vero che i danzatori ballino solo con i “piedi”. Lei è un esempio. Questa preparazione intima ha delle basi potenti: educazione familiare? Non mi fraintenda, non sono un conservatore, ma riconosco che la sua è un’educazione formatasi sin da piccolo. Si chiama “equilibrio”. Sono in errore?
Sono stato un bambino, un ragazzo e adesso un uomo molto fortunato, la mia famiglia, i miei amici, il mio compagno. Mi sono sempre circondato di persone rispettose e stimolanti, passionali e con i filtri giusti che hanno riempito il mio bagaglio, la mia anima e il mio cuore.
L’inaspettata pandemia ci sta condizionando nel vivere quotidiano. Gli aspetti sociali sono alterati. Con il suo equilibrio interiore, ci aiuta ad applicare un suo consiglio su come fare “fuggire” da dentro di noi, questo malessere?
Con molta onestà ammetto che rivolgi la domanda alla persona sbagliata. Non sono un pessimista, ma nonostante il mio “equilibrio” e il mio -a volte apparente- buon umore, non sono in grado di darti una risposta chiara ed esaustiva, perché porto dentro di me questo “malessere” come un lutto che ci coinvolge tutti, non esclude nessuno. Ma siamo tutti speranzosi, perché abbiamo voglia di tornare alla normalità, che in fin dei conti non era poi così male.
Discorrendo, percepisco la serenità conquistata. “Quando ho scritto e creato “Progetto fuga” tutti i miei conflitti erano già spariti, “fuggiti”. Questi i propositi di Fabrizio Delle Grazie: l’equilibrio.
Gianni Pantaleo.
Ph. di Gennaro Guida.
In copertina: Fabrizio Delle Grazie.