giovedì, 21 Novembre, 2024 10:34:04 AM

Il futuro indesiderabile. Niente è proibito, tranne pensare, amare, divertirsi, vivere

Di Adele Dentice.

“1984” (1984) di George Orwell, scrittore. Diretto da Michael Redford.

Una  frase distopica che rimanda al super citato 1984 Il grande fratello di Orwel, un romanzo sul potere che manipola i suoi sudditi e riduce l’uomo in schiavitù; che racconta delle derive dell’ipercontrollo, del revisionismo storico e della radicale omologazione degli individui; espressione di un totalitarismo perfetto, abitato da fantasmi appena approdati alla vita, come nel più recente bellissimo Non lasciarmi del premio Nobel Kazuo Ishiguro, una grande storia d’amore, ma anche un romanzo politico e visionario dove viene messa in scena un’utopia al rovescio che non vorremmo mai vedere realizzata.

L’utopia, quindi, il non luogo letterario, teatrale, cinematografico, che attraversa un lungo cammino millenario, fino alla lezione storica del ‘900, che dimostra come la chimera di una società perfetta possa essere utilizzata in funzione anti-umanista (bellica, propagandistica, controllo sociale, eugenetica, ecc…) e causare il ribaltamento dell’utopia in distopia.

“Fahrenheit 451” (1966). Diretto da Francois Truffaut.

Ma quando ha avuto inizio questo percorso? C’è da dire che non è un fenomeno recentissimo, già il viaggio di Gulliver nel paese degli yahoos, può essere considerato distopico, ma è soprattutto nella seconda metà del ‘900, in concomitanza con lo sviluppo tecnocratico, che il pensiero distopico si sviluppa parallelamente a quello utopico, quest’ultimo inteso come progetto politico di giustizia sociale (anche se già a suo tempo Voltaire con il Candido ridicolizzava l’utopia rinascimentale). La rappresentazione ideale è presente nella comunicazione, così come nella letteratura, nel cinema, nelle arti visive. Si pensi, ad esempio, alle pellicole di Spielberg Incontri ravvicinati del terzo tipo terzo tipo (1977), di Wenders, Fino alla fine del mondo (1991), di Zemeckis, Contact  (1997);  senza dimenticare Island (1962), che Huxley inizia a scrivere in tarda età, come testimonianza di un impegno etico.

Ciononostante, le distopie diventano sempre più l’esercizio narrativo privilegiato, del secondo 900, perché, mantenendo un forte legame con la contemporaneità, rappresentano una voce critica che pone al centro del racconto le sofferenze e le problematicità della società postindustriale; di volta in volta, assumono toni grotteschi (Il Dottor Stranamore, Arancia Meccanica), o surreali come Matrix, Dark  City, o The Truman Show, che ha colto le enormi potenzialità dei mezzi di comunicazione di massa.

“Blade Runner” (1982) diretto da Ridley Scott.

Sulla crescente spettacolarizzazione dei media e sul loro ruolo di condizionamento dell’opinione pubblica già dagli anni ’60 si ipotizzavano le ombre; per esempio “ La decima vittima” di Elio Petri, satira distopica sulla violenza in  vetrina offerta quotidianamente oggi dai media; oppure “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, che preannuncia  la molteplice funzione di intrattenimento, propaganda, omologazione e controllo che i media svolgono; il pubblico televisivo completamente alienato in un mondo irreale fatto di fiction zuccherose e giochi televisivi a premio, all’occorrenza viene mobilitato dalla televisione, imponendo una caccia all’uomo scatenata dalla polizia contro il traditore Montag.

L’ultima utopia, in ordine di tempo, è stata quella di Internet, che avrebbe cancellato le disuguaglianze. I “nativi digitali” si sarebbero liberati dai governi e dall’identità personale, rendendo impossibile la guerra e le disuguaglianze.

“Neuromante” (1984) di William Gibson, scrittore.

Oggi per comprendere quante volte sia stata falsificata quella profezia paradisiaca basta pensare come il sogno di libertà dalla censura tramite la rete sia stata distrutto dalla tecnocrazia dominate e sostituito con la realtà del controllo globale.  Scrittori, registi, fumettisti hanno cominciato a immaginare il mondo secondo linee cyberpunk: ai replicanti di ‘Blade Runner’ hanno sostituito le incalzanti informazioni che riempiono – la vita; in questo futuro non resta che accettare di vivere online, perennemente dentro lo schermo di un computer, annichiliti e deprivati dell’esistenza, ai sudditi senza più voce non resta che fare proprie le parole del personaggio de “La svastica sul sole” di Philip Dick, Robert Childan “siamo sconfitti, e le nostre sconfitte sono così tenui, così delicate che siamo a malapena in grado di percepirle”.

Ed è qui che finisce l’utopia…

Adele Dentice.

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