Una visione letteraria sentimentalmente profonda, l’ultimo romanzo di Sara Elisa Stangalino-Schulze, “Les berceaux.” (INTERMEDIA Edizioni).
Non amori impossibili, nè passioni travolgenti che tanto hanno raccontato cinema o narratori di sogni a lieto fine.
Il tempo, i luoghi, gli stessi protagonisti, sono tutti contestualmente inscindibili tra loro. L’autrice fà un’operazione complessa: le identità storiche e introspettive di ogni singolo personaggio, sono legati allo spazio in cui vivono.
Il lettore, quindi, si rende presente nelle vicissitudini, quasi soggetto egli stesso degli eventi. Assiste, li vive. Capacità di questa dimensione materiale, è l’abilità letteraria dell’autrice. Il non fantastico che diviene realtà.
Da brevi stralci del romanzo, riportati di seguito, un’intelligente intervista con l’autrice:
Romain de Tirtoff in arte Ertè (1892 – 1990)
“Anche oggi dopo tanti anni dall’oscurità emerge la mano che, accarezzando il mattino, ha dato luce alle vie tortuose della giovinezza. Era il freddo nelle camere da letto, le corse giù per lo scalone fino ai depositi a strapiombo sul torrente.
Era la Villa, poco distante, vascello fantasma che fluttuava nella valle nebbiosa. Sul belvedere sfilavano ospiti in gran stile, salotti vermigli, maestosi arredi, vasi di fiori, vetrate policrome e scale purpuree. I profumi delle donne, le stoffe.
Eppure nulla penetrava lo spirito quanto l’incenso che spargevamo nel luogo sacro, e nessun velluto era soffice come il manto dei coniglietti che sbucavano tra i cespugli.” (Les berceaux, p. 166)
Il suo nuovo romanzo ha una collocazione temporale ben definita: siamo agli inizi del ‘900. Anni, quelli, di profonda espressione del genio umano: le arti, la letteratura, le grandi imprese ingegneristiche. Oserei un umanesimo da fin de siècle. Una scelta dettata da una sua personale inclinazione all’estetica del periodo?
Certamente. La Belle époque ha il fascino di un dorato crepuscolo. Ma è anche un momento di grande sviluppo, di rottura e innovazione in svariati àmbiti: le arti, la tecnologia, le scienze umane e sociali. In particolare, per quel che ci concerne, la diffusione della psicoanalisi.
Sara Elisa Stangalino-Schulze
Siamo nel 1911, un anno denso: il varo del Titanic a Belfast, l’Esposizione Internazionale di Torino. E soprattutto lo charme dell’ambiente in cui il romanzo si apre: lo Stabilimento idroterapico di Oropa Bagni.
Situato sulle Alpi piemontesi, sopra la città di Biella, era a quei tempi uno degli istituti più celebri d’Italia, un luogo di ritrovo per i membri dell’alta società, aristocratici e borghesi che volevano concedersi una vacanza salutare.
Posti lussuosi che pochi potevano davvero permettersi. Ma parlare degli anni alla vigilia della Grande guerra è anche un po’ come dondolarsi sull’orlo di un precipizio. Noi oggi sappiamo che di lì a poco si sarebbe aperta una voragine, profonda, devastante.
Vetrata Liberty – Alberto Bevilacqua
“Sono sicuro che ha dimenticato perfino la notte in cui l’aurora ci aveva sorpresi in piazza Carignano. Quanto eravamo forti lo avremmo capito soltanto dopo molti anni; allora vagavamo ciechi senza sospettare che l’unico segreto dell’esistenza fosse il silenzio del suo stesso scorrere e, nella fretta di indovinare il futuro, nemmeno ce ne eravamo accorti.” (Les berceaux, p. 120)
Il protagonista del romanzo, Jan Morgari, è un archeologo italo-tedesco che lascia la sua città natale, Berlino, per tornare nei luoghi della memoria paterna. Torino è uno di quelli. Torino già capitale d’Italia, Torino già centro dello sviluppo industriale. Tutto questo fermento ruota intorno a Jan. Dunque da una parte un setting luminoso, il boom economico, dall’altra le trame oscure di un giovane tormentato. E questo tormento lo rende “solo”. Cosa l’ha spinta a presentare un personaggio “compresso” in sé stesso?
Ha detto bene: compresso. Il punto è che la vicenda del romanzo gira intorno a quello che in psicoanalisi si definisce un fenomeno di “rimozione”. La memoria di Jan ha una falla, profonda, relativa a fatti accaduti intorno ai vent’anni.
Sara Elisa Stangalino-Schulze
Lui non rammenta niente ma gli amici d’infanzia sì, e agiscono in modo di proteggerlo, di evitare che i ricordi vengano a galla. Jan non capisce, fraintende parole e gesti; si sente rifiutato, bisticcia con tutti. Vaga in braille, però insiste, cerca.
A poco a poco la memoria si ricostruisce per frammenti, sogni, déjà vu. Ma poi la verità emerge tutta in una volta, ed è un trauma.
Ricostruirsi sarà altrettanto doloroso: elaborare prima l’attaccamento nutrito fin dall’adolescenza nei confronti di un giovane sacerdote, per finire ad assecondare l’oscuro richiamo di una figura femminile, Veronica, medico versato nello studio dei fenomeni occulti e intriso di metafisica steineriana, un profilo che Jan percepisce attraente, sinistro ma anche straordinariamente familiare. E, purtroppo per lui, ci sia affiderà col candore di un bambino.
“A Flavio ho sempre ceduto. Brilla di una luce pura, è un canale per il cielo. Invano ho cercato scudi allo splendore del suo spirito; la verità è che non desideravo essere protetto.
A pelle nuda mi sono offerto perfino il giorno che ha annunciato la nostra fine; tacevo mentre insisteva che avrei potuto amarlo ugualmente. Ho sbagliato….
Oggi è la sua mancanza a rivelare il senso della strada che sto percorrendo. Una volta ho provato anche a spiegarglielo. Giurò che per lui era lo stesso. Allora sorrisi e tacqui perché sentii pena per la menzogna che stava raccontando.” (Les berceaux, p. 109-110)
Crede che la ricerca di sé stessi non sia condizionata dal contesto in cui si vive? Non pensa che sia un privilegio di pochi “eletti” cercarsi nel bel mezzo del nostro quotidiano?
Questo dipende da noi. La ricerca del sé può valicare contesti, atterrare muraglie, combinare un bel caos. Anche involontariamente. In retrospettiva poi, lo si capisce.
Così come si comprende il perché non se ne è potuto fare a meno. Cercarsi è un privilegio? Può darsi. Ma è anche un istinto.
Capire il luogo, il tempo, le relazioni. Jan è cresciuto pensando che l’amore fosse incapace di resistere agli attacchi esterni, però lo vuole, ne ha una gran sete; torna a cercarlo e poi lo rifiuta, proprio come un anoressico che allontana il cibo.
Ma alla fine i nodi vengono al pettine e questo boccone sarà costretto a ingoiarlo. Se sapere è un privilegio, beh, qualche volta il prezzo da pagare può essere alto.
“Molti preferiscono fingere piuttosto che soffrire. Io ho sempre voluto essere sia autentico sia felice. Lo dicevo e lui rideva, come se verità e gioia non potessero coesistere! Mi baciava, abbracciava, ripeteva che ero la creatura più bella del mondo nonostante facessi di tutto per provocarlo.” (Les berceaux, p. 109)
Mi sono azzardata a dire “eletti” perché la ricerca del sé comporta dolore. Proprio come Jan. Ma secondo lei, è sinonimo di intelligenza? Se è così, essere intelligenti è pena?
Credo dipenda da quello che si trova alla fine della via. A qualcuno lo specchio può anche rimandare una bella immagine di serenità! L’intelligenza. Un vantaggio, naturalmente. Ma non penso sia condizione imprescindibile per un qualsiasi successo nell’attività introspettiva.
Giocano anche altri fattori: per esempio le resistenze inconsce, la non accettazione. Le ansie che rendono impossibile valutare il qui-ed-ora. E poi occorre anche un po’ capire di che tipo di intelligenza stiamo parlando. Dell’intelligenza del cuore? Eh, in tal caso il discorso si complica.
“All’Esposizione andai da solo. Clara fornì la guida Paravia e le informazioni necessarie per orientarsi nel groviglio tecnologico. Di lasciare stare le donne lo avevo già deciso, se non altro per scansare ulteriori fastidi.
Ne avevo ricavato anche fin troppe noie; ultimamente perfino i profumi delle signore iniziavano a dare la nausea.
Impossibile rendere conto degli impicci in cui ero incappato nel tempo: dovevo nella maniera più assoluta evitare che si inciampasse in materiale simile. Se mi ero lasciato qualcosa alle spalle, là doveva restare.” (Les berceaux, p. 130)
L’ambiguità. L’ambivalenza. L’incertezza. La scelta. Vivere così è faticoso. Eppure grandi letterati del secolo precedente, ma ancora fortemente presenti in quegli anni, Wilde, Verlaine, Baudelaire, hanno rappresentato gioie e sofferenze personali ora trasgressive ora dolci. Jan sembra figurare una innocente curiosità. Si trova di fronte a un buio che si schiarirà cercando. In un mondo sempre più luminoso, un ragazzo che si scopre con tutte le sue ombre?
Come tutti, anche Jan vorrebbe essere amato per quello che è. Però si affanna a camuffare la sua indole schietta e passionale con veli di wiener charme, e inciampa di continuo, col risultato di ingarbugliare fatti e sentimenti.
Ma con chi ama è sincero, al punto da non poter nemmeno concepire che la propria fluidità sessuale possa per loro costituire un problema, non tanto per via della natura in sé quanto per il disorientamento che la sua incapacità di gestire la sfera emotiva causa nel prossimo.
Quando è costretto a farci i conti, reagisce di forza. Non varrà molto scoprire in chi lo circonda un’apertura più generosa di quanto inizialmente supposto perché, giunto il momento di tirare le somme, capirà che il nodo della questione sta da tutt’altra parte.
“Tu che leggi Baudelaire,” e recitò: “La nature est un temple où de vivants piliers laissent parfois sortir de confuses paroles.” Con slancio Veronica afferrò la mano con cui sfogliavo il ‘Corpus’.
“Anche Ficino immagina un cosmo fatto di corrispondenze nascoste, simpatie occulte, un universo di risonanze, segni, ascolti e sguardi reciproci.” In quella i nostri occhi si incontrarono e il tempo si fermò. La voce si ruppe. La mente perse forza. …” (Les berceaux, p. 75-76)
Al di là dei riferimenti alla metafisica di Rudolf Steiner, all’indagine sull’occultismo in voga all’epoca, c’è anche un messaggio di tipo spirituale inteso in senso profondamente umano. Mistero sì, perfino magia, ma in una costante percezione di umana fragilità. Corpo e spirito: Jan con cosa si ritroverà?
Con entrambi, ma, come quasi sempre avviene, in una maniera assai diversa da quella inizialmente preventivata. E mi consenta di chiudere con un fervorino morale perché, dopotutto, il romanzo un messaggio edificante ce l’ha: il fascino dell’ambiguo lasciamolo all’arte; nella vita d’ogni giorno, forse, dire la verità, pura e semplice, conviene.
Arte e realtà. Il senso di riflessione che l’autrice ci dona, ha il sapore della saggezza. Riconosco che separare il confine tra essi, è cosa non facile.
Ma forse è la legge dell’amore che dovrebbe aiutarci. Jan è un esempio di lealtà intellettuale e la sua ricerca è dettata dall’essere sè stesso. Dote questa, che dovremmo applicare tutti su noi stessi.
“…nella vita d’ogni giorno, forse, dire la verità, pura e semplice, conviene.” Ha ragione l’autrice. Il monito è accolto.
Anna Landolfi.