venerdì, 29 Marzo, 2024 3:04:48 PM

CATERINA DA BOLOGNA il primo esempio di donna artista nel rinascimento

Di Flora Marasciulo.

Ho scelto di parlare di Santa Caterina da Bologna perché protagonista delle rivelazioni tanto desiderate durante la Notte di Natale in seguito alle sue note orazioni delle 1000 AVE MARIA. Posso testimoniare che se recitate con fede e devozione Dio Padre esaudisce le nostre richieste. Occorrono circa quattro ore per recitarle tutte ma si possono diluire in 40 Ave Maria al giorno a partire dal 29 novembre fino al 23 dicembre come pratica per arrivare alla Notte Santa. Notte in cui santa Caterina ricevette tra le braccia il Bambino Gesù direttamente dalla Madonna nell’ora precisa della nascita, ora che la Santa desiderava conoscere e che aveva chiesto in quelle orazioni. Protettrice dei sacerdoti esorcisti, viene onorata come la patrona degli artisti. (Chissà che non diventi la protettrice di Arti Libere Web Magazine!?). Caterina è considerata dagli storici il primo esempio di donna artista nel Rinascimento e non è affatto un caso che la prima artista di cui abbiamo traccia provenga da un convento, luogo per eccellenza in cui le giovani donne potevano ottenere una formazione artistica e le stesse suore dovevano avere un’adeguata preparazione nelle arti. Quello che vi propongo è già stato scritto da altri ma vi risparmio la fatica, sperando di fare cosa gradita e di ampliare la cultura personale.

La fondatrice delle Clarisse del Corpus Domini di Bologna ebbe una vita stracolma di doni celesti, che oggi elargisce generosa ai fedeli. Tra questi, l’eccezionale visione della Madre di Dio con in braccio il Bambinello, che ci insegna come vivere santamente la Notte di Natale e le svela il particolarissimo segreto sulla nascita del Salvatore. La vita di Santa Caterina da Bologna (Bologna 8 settembre 1413-Bologna 9 marzo 1463) fu totalmente traboccante di prodigi e di manifestazioni divine che fare una selezione a beneficio del lettore arreca un certo imbarazzo. Per intuirne la portata, basti sapere che il corpo non sigillato della Santa, presso il monastero del Corpus Domini a Bologna in via Tagliapietre, nel luogo in cui la Santa viveva, da oltre 500 anni si trova in perfetto stato di conservazione ed è posizionato su un trono sormontato da un baldacchino, sorretto da statue di putti; l’intera struttura è incorniciata da meravigliosi affreschi, come la Gloria d’Angeli di Marco Antonio Franceschini. Il corpo di Caterina poteva essere adorato attraverso una finestra,  per poter mostrare più agevolmente la Santa ai pellegrini le monache pensarono di metterla seduta ma il corpo si presentò irrigidito, la madre badessa allora comandò alla Santa di obbedire come se fosse in vita e il corpo di Caterina prese la posizione che ha ancora oggi, seduta in posizione eretta, senza sostegno, sulla sua stessa spina dorsale in parte ancora flessibile. Inoltre la profumatissima sostanza che emana il suo corpo ha comprovati effetti taumaturgici, oltre a rendere necessario il periodico cambio d’abiti, come a persona viva. Per un periodo di tre mesi dopo la morte le uscì dal naso uno scodellino di sangue e per più di settant’anni, le unghie e i capelli crebbero come quelli di una persona viva ed erano regolarmente tagliati dalle monache addette. Amatissima da papa Benedetto XVI, specialmente per le sue “Sette armi spirituali” capaci di illuminare chiunque intenda lottare contro il maligno, Caterina Vigrì fu una penna finissima nel tradurre in scritti le sue innumerevoli visioni celesti e infusioni di scienza. Il demonio però non le risparmiò tentazioni e la tormentò anche con gli assalti più violenti, assalti e tentazioni in cui ella sempre trionfò mediante lo spirito d’orazione, la penitenza, l’umiltà, l’ubbidienza e la massima delicatezza interna ed esterna. Ma il vero motivo per cui oggi, a ridosso del Santo Natale, raccontiamo di questa religiosa, fondatrice delle Clarisse del Corpus Domini, è il suo specialissimo legame con Gesù Bambino, che si creò miracolosamente proprio la notte del 25 dicembre 1445. La pia pratica “Era venuta la notte di Natale di Nostro Signore, notte di grandissima divozione appresso tutti i cristiani, ma singolarmente da Santa Caterina sempre, con istraordinario apparecchio, celebrata”. Inizia così nella biografia originale del 1652, a cura di padre Giacomo Grassetti, il resoconto di quella notte prodigiosa.

La monaca, come era solita fare, decise di trascorrere la vigilia di Natale “Tutta in orazione e contemplazione”. Quella notte però, in via del tutto eccezionale Caterina ottenne dalla badessa il permesso di uscire dal dormitorio, per recarsi a pregare in chiesa; se ne andò perciò nel coro per stare più raccolta e lì iniziò a recitare le sue mille Ave Maria, “in onore del parto della gloriosissima Regina degli Angeli, meditando il giubilo della Vergine”. Restò così, dalla sera alla mattina, in adorazione di “tutti gli amorosissimi misteri di quella dolcissima solennità”. Ebbene dopo gli straordinari prodigi che si verificheranno quella notte, la personale devozione, nata nel cuore di Caterina, entrerà per sempre nel prezioso patrimonio di tutta la Chiesa orante. E infatti, le mille Ave Maria di Santa Caterina – l’equivalente di 20 Rosari – sono pregate ancora oggi durante la Notte Santa, non solo dalle clarisse del monastero del Corpus Domini ma anche da centinaia di fedeli sparsi in tutta Italia, che in comunione con le monache e la Santa Patrona in cielo, recitano questa devozione nell’interno delle loro case. La possibilità di recitare tale preghiera si è inoltre estesa in forma diurna o notturna, in occasione della vigilia delle più importanti feste mariane ed anche ogni volta che i figli di Maria ne intendano implorare specialissimi favori celesti.

La visione. Poiché ogni preghiera che si possa definire tale, nasce dal cuore come espressione dell’amore più profondo, fu così che Caterina, con la sua fede, arrivò a vedere il volto stesso di tale amore. All’improvviso, infatti, mentre la Santa era immersa da ore nell’orazione, una grandissima luce irruppe nella stanza e dinanzi a lei apparve “la Vergine gloriosa col suo dilettissimo Figliolo fra le braccia fasciato come si usa per gli altri piccoli quando nascono”. La Madonna, poi, le si avvicinò e le pose il Bambinello sul suo grembo, ”con somma cortesia e benignità”.

Caterina sicura di avere tra le braccia “il vero Figlio dell’Eterno Padre, dolcemente lo strinse a sé, viso a viso e tutto, intorno, pareva dileguarsi come cera al fuoco”. A questo punto, è il racconto stesso della Santa che ci fa gustare con i sensi dello spirito, ciò che l’umano intelletto non può in alcun modo comprendere: “Nessuna mente può essere così gentile da immaginare e nessuna lingua può narrare il soave o dare della purissima carne di Gesù benedetto; e del bellissimo e delicato viso del Figliolo di Dio, quando anche ne dicessi tutto ciò che si può dire, sarebbe niente e lo lascio alla immaginazione di ciascuno. Ma ben mi sento di esclamare: Cuore insensato e più duro di tutte le cose create, come non ti spezzasti o non ti sciogliesti come neve al sole nel vedere, gustare e abbracciare lo splendore della paterna gloria? Perché non fu sogno, né immaginazione, né eccesso mentale; ma realtà aperta, manifesta e senza alcuna fantasia”. Dopo che Caterina ebbe accostato il proprio viso a quello del Bambinello, subito la visione svanì. A quel punto, la religiosa rimase talmente ricolma di contentezza e beatitudine che non solo il suo cuore ma tutte le sue membra parevano gioire e per moltissimo tempo ella non provò più alcuna tristezza. Caterina aveva più volte desiderato e chiesto di sapere quale fosse l’ora precisa della nascita del Salvatore. Accadde, sempre quella notte, che la rapì “un intensissimo desiderio e siccome ella era disposta a star sempre attenta alle interne ispirazioni del Signore, riconobbe facilmente che quello era un invito con il quale il suo Eterno Sposo la stimolava a domandare con grande affetto quella grazia. Perciò moltiplicando l’orazione e i gemiti, ottenne finalmente il suo desiderio”. Il suo atteggiamento dell’anima orante: invocare, accogliere e abbandonarsi allo Spirito Santo che desidera pregare in lei. Non è Caterina ad essere capace di desiderare, ma è lo “Sposo” che ispira in lei un “intensissimo desiderio”; non è Caterina ad essere forte e perseverante, ma è il “Signore” che la infiamma d’amore e “la stimola” continuamente all’orazione. La Santa seppe così che “alla quarta ora della notte” nacque il Salvatore: infatti fu esattamente durante quell’ora di preghiera, che a Caterina apparve una “splendidissima luce ed accompagnata da una infinita moltitudine di Angeli, la gloriosissima Vergine Maria, con il suo dilettissimo Figliolo in braccio, in forma di bambino fasciato, come se poco prima fosse nato”. Lo tenne, come lei stessa si esprime, tra le sue purissime braccia per lo spazio di una quinta parte di un’ora. Con questa splendida visione del Divin Bambino, ci affidiamo agli insegnamenti di questa grande innamorata di Dio per vivere in pienezza la venuta del Signore a Natale come in ogni giorno della nostra vita. Ella infatti ce ne svela il segreto: è alla Madre di Dio che prima di tutto dobbiamo guardare, è Lei che vuol far nascere Gesù dentro di noi ed è sempre Lei che ci vuole preparare il cuore ad accogliere le grazie che Suo Figlio ci vuole regalare venendo ad abitare in mezzo a noi.

Caterina nasce da Benvenuta Mammolini e da Giovanni di Vigrì, patrizio ferrarese, dottore in legge e pubblico lettore a Padova, al servizio del marchese Niccolò III d’Este, signore di Ferrara.  Fin da piccola viene educata a Bologna dalla madre e da parenti, per via delle molte assenze del padre, il quale però vuole che impari anche il latino. Nel 1424, all’età di 11 anni, entra alla corte estense come damigella di compagnia di Margherita d’Este, figlia naturale di Niccolò III. Riceve l’educazione propria del tempo: studia musica, pittura, danza, impara a poetare a scrivere composizioni letterarie, a suonare la viola (la violetta che veniva suonata dalla Santa è un piccolo strumento ad arco, di fattura piuttosto inconsueta, data la presenza di due tavole armoniche, una più larga in acero dove attualmente è situato il ponticello e una più stretta e distale, in abete dove più verosimilmente il ponte era collocato. La particolarità di questo strumento ha suscitato varie discussioni tra gli esperti del settore circa la sua autenticità e circa la sua forma particolare. E’ dipinta tuttavia quasi identica in una pala di Federico Zuccari del 1608);  diventa esperta nell’arte della miniatura e della copiatura, perfeziona lo studio del latino.

Improvvisamente tutto finisce intorno ai quattordici anni: muore il padre, la madre si risposa ed eccola a Bologna, sola, abbattuta, in cerca di pace nella comunità fondata dalla gentildonna Lucia Mascheroni. Ma presto il rifugio diventa luogo di sofferenza e travaglio per una sua gravissima crisi interiore: una “notte dello spirito” che dura cinque anni. Nel 1427 lascia la corte estense e si unisce a un gruppo di giovani di famiglie gentilizie che facevano vita in comune, intenzionate inizialmente a seguire la spiritualità agostiniana. Nel 1432  torna a Ferrara, ma non più a corte, professa con le compagne la regola di Santa Chiara, approvata da papa Innocenzo IV, e dà inizio alla vita claustrale francescana nel monastero detto del Corpus Domini. Qui la damina fa la lavandaia, la cucitrice, la fornaia prega e lavora. “Mai perdere tempo” dice la regola delle Clarisse che qui si osserva. A lei va bene: lava i piatti, dipinge, fa le pulizie, scrive versi in volgare e in latino, insegna preghiere nuove e canti nuovi.

Il monastero diventa famoso ma rifiutò costantemente, per la sua profonda umiltà, la carica di superiora. Venerata già in vita dal popolo per le sue virtù carismatiche, nel 1456, dopo insistente invito della cittadinanza e delle autorità civili e religiose, i bolognesi chiesero una badessa santa per il nuovo monastero da loro fondato nella propria città, Caterina dovette accettare per ubbidienza tale carica e vi rimase fino alla morte, avvenuta il 9 marzo 1463. Caterina fa parte di una serie di Clarisse legate all’Osservanza francescana, caratterizzate dall’aver fatto sintesi tra santità e amore per la cultura, tra le quali spiccano Cecilia Copoli da Perugia, Eustachia Calafato da Messina e Battista Camilla da Varano da Camerino. Fu sepolta il giorno stesso della morte, senza bara come previsto dalla regola delle Clarisse Francescane, ma dopo 18 giorni fu riesumata e trovata intatta e profumata. Dipinse vari quadri di soggetto religioso, custoditi nel Santuario del Monastero del Corpus Domini. Uno dei suoi quadri che ritrae sant’Orsola con le sue compagne, e Santa Caterina stessa inginocchiata davanti a loro, si trova alla Pinacoteca nazionale di Venezia Nazionale.

Oltre ai dipinti, miniature e codici, Caterina compone testi di formazione e di devozione e poi un racconto in latino della Passione (cinquemila versi) un breviario bilingue, Le sette armi spirituali, I dodici giardini, Rosarium, Poema del XV Secolo, Via Crucis tratto dal Rosarium, I sermoni, Corona de la Madre de Christo, Laudi, trattati e Lettere. Caterina vuol dire” Donna pura”, dal greco.  Venerata dalla Chiesa cattolica fu beatificata il 13 novembre 1703, canonizzata il 22 maggio 1712. La ricorrenza è il 9 marzo. Ha ricevuto l’attributo di Giglio. Sepolta nel Santuario del Corpus Domini detto della Santa di Bologna. Intorno a lei si forma un clima di continuo miracolo. E’ straordinario quel suo dono di trasformare la penitenza in gioia e l’obbedienza in scelta.

Flora Marasciulo

 

 

 

 

 

 

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