di Anna Landolfi.
Se i confini delimitano uno spazio, Elio Corona lo identifica nella millenaria Terra di Sardegna. Fantastichiamoci sopra. Dal lontano spazio, veloci cavalcioni della luce, varchiamo galassie fino ad arrivare alla nostra Via Lattea. L’incomprensibile Infinito, ci avvicina sempre più al nostro sistema solare. Intravvediamo il pianeta blu e l’orizzonte staglia sempre più le terre emerse, sempre più nitide, riconoscibili, conosciute. Quell’isola di Smeraldo, l’impronta greca Ichnusa, diventa lo scenario nel quale un fatto accade. Nell’isola, Elio Corona, scrittore, figlio di questa terra, fa succedere quello che egli stesso ci racconterà:
Le sue origini sarde hanno molto influenzato la struttura stessa del suo thriller “Confusione mentale”. Gli ambienti, i personaggi stessi, hanno una ben precisa identità territoriale. È stata una scelta letteraria quella di collocare i soggetti in Sardegna?
Credo che quando si scriva in generale, ma in particolare in un romanzo, sia umanamente normale che le origini affiorino nelle sue quasi 300 pagine. Nel mio caso l’ambientazione è stata puramente voluta ed essendo anche appassionato di pittura “Fotografica”, nel senso di una pittura quanto più vicina al soggetto reale, ho voluto dare una veridicità descrittiva di alcuni luoghi che ho stampato nella mente in quanto facente parte di quei ricordi di vissuto in età giovanile. Luoghi che annualmente rivedo per vacanze e visita parenti e che ho riportato fedelmente nel romanzo, non solo per me ma anche per il turista che decida di visitare quelle località e, quindi, meglio comprendere lo sviluppo della storia. Un esempio: a fine Agosto mi giunge con WhatsApp una foto di una marina citata nel romanzo con la domanda: “Mi puoi dare qualche indicazione in più, perché sto percorrendo tutta la marina ma non vedo Gesuina Carta!”. Era un mio conoscente bresciano appassionato di Surf che quest’anno si è voluto recare in quelle zone e, con il romanzo in mano, che aveva appena finito di leggere mi chiedeva dove poter rintracciare una delle protagoniste. Sarà perché lui è single e Gesuina Carta è una gran bella ragazza. Ovviamente ci siamo fatti un sacco di risate, ma già che era lì, gli ho dato altri particolari per rintracciarla, ma lui stesso mi spiegava aver individuato perfettamente dalla lettura l’abitazione della ragazza e… sempre in modo ilare mi ha riferito “che sarebbe andato a suonare il campanello!”. Si è quindi complimentato per la bellissima storia, ricca di azione e suspense riferendomi che attendeva il seguito. Chiuso il siparietto (che non è l’unico), la gran pare dei nomi sono pure volutamente sardi e scelti anche secondo quelli più comuni delle zone in cui si snoda la storia.
Racconta con un verismo quasi tattile, le vicissitudini del protagonista, Samuel Metelli. Mi perdoni la ripetizione, lei scrive un thriller di una realtà reale. C’è un riferimento alla sua professione?
Il thriller è di fantasia ed in questo caso sono voluto uscire dallo stereotipo che nei thriller o gialli vede sempre come figura di investigatore (questo o quel commissario o Maresciallo di una forza di polizia). Samuel Metelli è un ex militare dei servizi speciali, avrà un ruolo particolare e si serve di tecnologie avanzate con l’uso di un altrettanto strumento particolare. Essendovi un’indagine è ovvio che ho messo in campo le mie competenze professionali sia dal punto di vista operativo che in quelle procedurali… della fase iniziale con riferimenti al tipo di attività d’indagine. Ho cercato di non entrare troppo nella tecnicità che avrebbe annoiato il lettore, ma di suscitare un certo interesse per chi ama calarsi in questa veste. Nello svolgimento, ovviamente, ci sono aneddoti di fatti realmente vissuti nel corso di alcuni servizi svolti e riportati fedelmente anche con aspetti ironici. Questo perché come ho detto all’inizio amo descrivere certi fatti in modo reale.
E’ naturale che tragga questa considerazione. Lei è stato un Ispettore capo, la deduzione era ovvia. Questo è un valore aggiunto al romanzo. Sa perché? Perché il vissuto della sua professione, lei lo racconta con la creatività che caratterizza uno scrittore. Professione, lo scrittore, che ha necessariamente bisogno di “vivere” il libro che scrive. Ne è stato consapevole o ne ha preso consapevolezza mentre lo scriveva?
Si sono stato un Ispettore Capo della Polizia di Stato in primo luogo, con la specializzazione nella Polizia stradale. E la qualifica di Ispettore, così come è nata, rappresenta la figura dell’investigatore che inizialmente doveva essere impiegata esclusivamente per le indagini e per questo è stata dotata di un livello superiore di accesso in banca dati interforze. Certamente la mia esperienza professionale mi ha aiutato molto nel descrivere certi passaggi e, soprattutto, la cronologia della fase investigativa. Devo dire che non è stato facile calarmi nella veste di scrittore di un romanzo: la scrittura nella mia professione era fondamentalmente di tipo “Relazionale”, cioè consisteva nel riassumere periodicamente le attività svolte con riferimenti ad atti tipici di polizia giudiziaria (di tipo tecnico-schematico), priva di qualunque enfasi e di pochi aggettivi, quindi ridotta all’essenziale. Attività che doveva essere tramessa al Magistrato delegato a coordinare le indagini.
Il thriller è un tessuto di personaggi con psicologie ben solide. Lo stesso protagonista, Samuel Metelli, è ben delineato. Tutte figure forti. Nel corso degli eventi, le vite si intersecano fino ad un episodio di violenza privata: un rapimento. Lei cita nomi e luoghi, a volte anche situazioni “magiche” con il personaggio di tzia Beledda. Non le nascondo che nel corso degli eventi, lei crea quell’avvincente emozione che è l’attenzione al racconto. Tutto ha davvero il sapore della Sardegna. La cultura, le tradizioni, il Tutto questo è una memoria del suo vissuto o tutto è stato creato in fase di scrittura?
Io sono un lettore e, solo per aver scritto questo romanzo non posso essere definito “Scrittore”, veste nella quale ancora non mi ci vedo. Ed è proprio quando mi sono calato in questa avventura, che mi sono preposto di non annoiare troppo il lettore con lunghe descrizioni e nella caratterizzazione dei personaggi. Passaggio comunque necessario da cui non si può prescindere ed il Metelli è uno di questi, ma non l’unico. Per tenere vivo l’interesse ho pescato nel substrato del folklore coinvolgendo le maschere carnevalesche dei Mamutones, su cui tutt’ora aleggia un’aureola di mistero. La sardegna, infatti, è una regione ricca di tradizioni ma anche intrisa di leggende, superstizioni, e di pratiche di guaritrici o che scacciano il “malocchio”, che vengono tramandate di madre in figlia, perché pare che siano donne, le principali depositarie ed artefici di queste procedure. Da qui nasce appunto la figura di Tzia Beledda. Io stesso, soffrendo da anni di mal di schiena, per volere di mia mamma, in passato mi sono sottoposto alla cura di “S’affumentu”, l’affumicamento, da parte di una vicina di casa. Passai mezz’ora a sentire, senza capire, un rituale in sardo antico davanti a un braciere dove ardevano ceppi d’ulivo, in cui ogni, tanto buttava degli aromi (credo fossero ramettini di elicriso e rosmarino). Dopo mezz’ora, intossicato dalle esalazioni di fumo sono andato a casa ed ho avuto mal di testa per due giorni, ma il dolore lombare non è cessato. L’apparizione di alcuni di questi personaggi è quindi, sicuramente memoria di vissuto, che ho voluto far riemergere, anche con connotazione ironica, che in alcuni passaggi del racconto hanno effetto puramente distensivo e/o servono ad introdurre una fase o capitolo dove è richiesta più attenzione.
Tziu Balentu, il vecchio Mamuthone, che mi ha molto colpita, diventa la chiave perché il Metelli riesca a capire l’ingarbugliata storia. C’è molta suspence in questa figura che rappresenta la parte storica della Sardegna. Sono tutt’ora ad occuparmi della figura della s’accabadora e tziu Balentu e i mamuthones, sono la parte misteriosa dell’isola. Crede che questa realtà, non solo del suo libro, sia la realtà della Sardegna di oggi?
Le maschere carnevalesche dei Mamuthones, (da ciò che si evince dal sito internet delle associazioni della Pro loco e di quella di “Atzeni/Beccoi” che rappresenta i mamuthones per eccellenza), sono effettivamente le figure conosciute in tutto il mondo che destano molto interesse principalmente per le loro origini ed i motivi che li portano a sfilare la prima volta dell’anno il 17 di gennaio alla festa di Sant’Antonio Abate. Per questo motivo, ho raccolto da fonti storiche e narrato nella festa le loro movenze ed il significato anche religioso che riveste la manifestazione. Infatti, il romanzo, sebbene io l’abbia scritto nella primavera del 2021 è ambientato nel gennaio del 2020, ultima loro esibizione a causa dei lockdown per il covid 19 che ha bloccato le manifestazioni pubbliche fino a maggio di quest’anno. Ho dato un po’ più di spazio alla festa di Sant’Antonio perché ho descritto anche costumi e tradizioni, piatti tipici del comune di Mamoiada ove sono nati e danno vita alla loro sfilata in quel paesino nel cuore dell’isola. Per meglio apprezzare quella fase, che introduce a una parte più drammatica, consiglio di guardare filmati presenti su YouTube. Credo che i Mamuthones giochino un ruolo importante nella realtà dell’isola e potrebbero essere valorizzati meglio, come ho cercato di fare io con la mia storia e, chissà, che qualche regista non la legga e si invogli a realizzarne un film.
Sogni, visioni, la mente che si confonde, vacilla… Direi che le emozioni accompagnano sempre il lettore. Soprattutto quando cita i nomi dei luoghi dove accadono i fatti. Il circoscritto territorio dell’oristanese, la vasta regione del Campidanese e la delimitazione dello spazio nel quale avvengono i fatti, rendono ancora meglio al lettore, il confine della realtà perché avvicina sempre più il protagonista e i personaggi, alla soluzione. Si parla di vendetta. E’ sanguigna la parola vendetta. Nell’intreccio delle vicende che coinvolgono Gesuina e Graziana, la vendetta acquieterà il dolore e il loro stato d’animo?
Come ho già detto all’inizio come in pittura, a me piace la realtà e, dove ho potuto, ho provato a rappresentare i luoghi, specie le marine dell’oristanese cercando di avvicinarmici il più possibile, descrivendo particolari che sono facilmente individuabili, non solo dagli indigeni, ma anche dai turisti che volessero recarsi nei luoghi descritti. Laddove non ho potuto personalmente, ho sfruttato tutta la tecnologia di cui sono a conoscenza e mi sono proiettato prima dall’alto e poi, giusto per sfruttare le mie doti da investigatore, per altri “Ficcanaso”, mi sono infilato con Google Heart nelle vie interne di alcune località per descrivere alcuni murales di mamoiada ed il piazzale della caserma del commissariato di Orgosolo. La vendetta in Sardegna, ma particolarmente nel nuorese era inserita in quel famigerato codice “Barbaricino”. Un codice morale e comportamentale non scritto, tramandato quindi oralmente in seno al tessuto pastorale ed al Banditismo sardo fin da tempi antichi. Negli anni cinquanta il filosofo Antonio Pigliaru, con la pubblicazione del libro “La vendetta barbaricina” come ordinamento giuridico, ne fece una prima analisi. L’ambito socio-economico in cui il codice barbaricino si è sviluppato è quindi quello agro-pastorale, distante dagli agglomerati urbani dell’isola. Lo scopo è quello di rendere giustizia del reato ed è in questo senso che si parla di tutela dell’onore e della dignità dei singoli individui. Per esempio, qualora un individuo subisca un furto di bestiame, non sarà il furto in sé a costituire danno, ma il significato intrinseco a cui era mirato il crimine: in questo caso la perdita dell’autosussistenza della famiglia offesa. Quest’ultima avrà il diritto di vendetta, che dovrà essere proporzionata al danno subito. Per quanto riguarda il lato strettamente economico della perdita, l’individuo offeso commetterà a sua volta un furto di bestiame per tornare ad una situazione di parità. Nel caso del mio romanzo, non posso sviscerare quel sentimento, senza svelare passaggi che toglierebbero al lettore la suspense necessaria.
In un’intervista recentissima, spiega che è stato grazie (paradossalmente) al lockdown che è nata la sua vocazione di scrittore. Ma prima ancora lei è un costante lettore. E’ il percorso naturale che molti artisti fanno. Il danzatore diventa coreografo, l’attore, regista, il lettore, scrittore. In tutti i casi, sono necessarie competenze. Un grazie lei può dirlo alla sua carriera di Ispettore?
In effetti è così. Tutto è cominciato nelle lunghe ed interminabili ore passate nelle mura domestiche e di un gioco con mia figlia ora 15 enne. La ragazza al rientro da scuola aveva manifestato una certa apprensione poiché l’insegnante aveva detto alle alunne di provare a cimentarsi nella scrittura di un libro con genere a piacere. Per sdrammatizzare le ho detto: “Cosa ci vuole? Basta un po’ di fantasia e si crea una storia!”. Così per invogliarla con qualcosa di piacevole, poiché anche lei ama l’acqua ed il mare della Sardegna, le ho ricordato dell’ultima vacanza… e così ho aperto un file di Word ed ho cominciato… Non mi ero neanche reso conto, che dopo qualche minuto ero rimasto solo col mio p.c. e la mia storia, che stavo sviluppando e trascrivendo, quando, il pomeriggio è volato e mia moglie mi ha chiamato per la cena. Per qualche giorno con mia figlia non ho più parlato del romanzo ma si capiva che qualcosa stava nascendo… Ho pensato molto a lei e a tutti i giovani che a causa del lockdown stavano subendo quel distacco sociale tra coetanei e le cronache erano spesso intrise di fatti criminosi che avvenivano spesso in case private in seguito a feste organizzate in cui alcool e droghe erano elementi di aggregazione e di distruzione. Tematiche già affrontate con la figlia, anche se lei a tutt’oggi non va in discoteca né a feste private, ma gli argomenti erano quelli che mi ero prefissato di elencare nel mio romanzo, per sensibilizzare non solo i giovani ma il genere femminile in toto, partendo da un principio che voglio inculcare a mia figlia ma sarei felice se potesse servire alla collettività. Lei mi dice che sono un padre autoritario e che tutte le sue compagne hanno Instagram e lei ancora no e, che, per socializzare ci vuole quello strumento altrimenti sei tagliato fuori… Già perché adesso anche nell’istituto che frequenta anche se si incrociano tra studenti, non si parlano, perché lo si fa magari dopo, con i social. Anche con tali premesse ho focalizzato l’attenzione su questi argomenti e, purtroppo, non ho risolto molto dicendole che le persone non si conoscono con i social, ma bisogna parlarci personalmente ecc… e soprattutto ho cercato di infonderle la filosofia di non fare mai qualcosa solo per compiacere l’amica o l’amico, o peggio ancora assecondare il volere del gruppo, ma di ragionare con la propria testa, distinguere i valori morali, il lecito dall’illecito ecc… Non so ancora se ci sono riuscito ed è anche per questa difficoltà di dialogo tra genitore e figli che ho pensato che, forse leggendo una storia triste avrebbero capito maggiormente e, partendo da queste basi, ho cercato di sviluppare il mio romanzo, creando il noire con la cornice dei Mamuthones e tutte le altre storie ad essi collegate, con le conseguenti indagini, grazie appunto alle mie competenze professionali acquisite con il grado di Ispettore.
Intrighi e congiure. La sua carriera di Ispettore l’avrà forgiata. Eppure dalle sue foto, lei è ritratto sempre sereno. Ci si abitua al crimine?
In 30 anni di Polizia se ne vedono di tutti i colori. Io ho iniziato la mia carriera da zero, partendo dal grado di Agente, partecipando a concorsi e studiando materie giuridiche e amministrative, con preparazione particolare riguardo la specialità della Stradale. In questo campo ho svolto la mia attività dalle pattuglie di vigilanza stradale ai rilevamenti di incidenti. Preciso che sulla strada passa di tutto: dalla droga alle armi, alle merci pericolose e persone ricercate o semplicemente in movimento per compiere rapine furti ecc., ed è quindi l’attività che richiede più preparazione in assoluto in materia di contrasto alla criminalità. Certo che i primi incidenti stradali mortali in cui sono dovuto intervenire sono stati psicologicamente impegnativi, ma poi col tempo, non dico che ci si fa l’abitudine ma diventa meno traumatico. Durante l’intervento ci sono altre priorità a cui dedicarsi e l’evento morte è una conseguenza di condotte di guida con dinamiche da accertare e responsabilità da attribuire. Perché purtroppo, anche i familiari delle vittime al momento del dolore piangono e si disperano, ma due giorni dopo, giustamente, sono a chiedere i dovuti risarcimenti. Perciò il poliziotto deve mettere da parte i sentimentalismi ed essere pragmatico, anche perché solitamente nei casi gravi, si va a finire nelle aule di un tribunale a prestare testimonianza spiegando i fatti così come ricostruiti ed il perché dell’attribuzione di questa o l’altra sanzione al fine della determinazione delle responsabilità soggettive. Potrei stare qui ore a descrivere tutte le fasi successive, compreso la visita con il medico presso le sale mortuarie, ad osservare nuovamente i cadaveri e ad analizzare e trascrivere le cause che ne hanno determinato l’evento morte, ma ve lo risparmio. Per rispondere alla domanda, al crimine o ai fatti tragici di cui ho accennato non ci si abitua del tutto, ma sono messi in preventivo e – come ho detto – ci sono altre incombenze che richiedono freddezza e ragionamento e gestione dello stress. Infine, faccio presente che già in fase di selezione per l’ingresso in Polizia come in altre forze armate, si viene sottoposti ai vari test attitudinali, perciò in quella sede si stabilisce l’idoneità al ruolo. È anche vero che, se analizziamo i dati, si rileva che in questi ultimi anni i suicidi tra le forze di polizia sono cresciuti enormemente e c’è da porsi delle domande. Personalmente ho rappresentato che i sindacati di categoria potessero far pressione a livello istituzionale (come avviene in altri stati es. Usa), per far eseguire periodicamente agli agenti una visita psicologica in modo da individuare preventivamente situazioni di “malessere”.
Le donne del suo thriller. Donne apparentemente fragili. Donne che riprendono se stesse dalle vicissitudini e si “vendicano”. Ho molte amiche sarde: donne dal temperamento inossidabile. Donne dall’IO ben profondo. La fragilità delle donne è una parvenza o un falso mito?
Sono due donne caratterialmente diverse e provenienti da ceti sociali opposti. Una è cresciuta nell’entroterra sardo in famiglia di umili pastori, ha conosciuto la povertà ed il sacrificio dei suoi componenti per condurre una vita normale, senza agi. La seconda da famiglia benestante e ben inserita nella società e sebbene sia conscia della sua forza e bellezza fisica, ha un temperamento più mite ed è più fragile della prima. Direi che il luogo in cui si vive e la qualità della vita stessa, formi il carattere della persona in genere. Io stesso provengo da una famiglia povera con 5 figli, mi sono spaccato le ossa facendo i lavori più umili, e a 25 anni quasi in zona “cesarini”, è arrivato il lavoro in Polizia che ha necessitato l’emigrazione dalla mia terra e, soprattutto, il distacco dagli affetti familiari.
Dalla sua esperienza: il male nasce con noi?
Gli stessi psicologi sarebbero in difficoltà a rispondere a una simile domanda. Per ciò che concerne la mia esperienza personale, il male, salvo qualche forma genetica, non è in noi ma può nascere nelle persone più fragili o frustrate e svilupparsi a seconda delle situazioni. Aver avuto un’esperienza di vita come la mia, credo mi abbia forgiato e messo al riparo da questo tipo di contesti.
L’autore, in un passaggio dell’intervista, dice: “Il thriller è di fantasia ed in questo caso sono voluto uscire dallo stereotipo…” E’ complesso il confine tra finzione e realtà. In mezzo c’è e ha ragione, la fantasia, che altri non è che il sogno ad occhi aperti. Delinea con tratti di qualità tecnica letteraria, i profili dei protagonisti, ed essi stessi sono il frutto della sua fantasia vissuta. Anche questa considerazione è complessa. Scindere la sua personale esperienza, per l’autore, non è cosa facile. I riferimenti al suo passato professionale, sono rivissuti tanto da rendere il lettore, protagonista egli stesso del thriller. Questa operazione di transfer, è il risultato di una profonda conoscenza del comportamento umano. Un’etica che lo scrittore, evidenzia nel continuo racconto avvincente che trascina e trasporta ognuno in quell’incubo che è il mistero della mente umana.
Anna Landolfi.
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