lunedì, 18 Novembre, 2024 6:51:47 AM

Fabrizio Natalicchio, innovazione dal passato

BARI – E’ uno dei giovani coreografi meglio rappresentativi della danza contemporanea. Fabrizio Natalicchio ha la consapevolezza che proporre nuovi linguaggi della danza, senza la cultura del passato, non ha ragione perchè l’innovazione abbia un senso.

Ovvia la sua preparazione culturale. Lo dimostra con le sue coreografie, quando è ospite per la rassegna ESPLORARE curata dal m° Domenico Iannone e che ciclicamente il  Collettivo de Motu, la compagnia di danza per cui Fabrizio Natalicchio cura la direzione artistica, è presente nella programmazione.

Il 2022 è stato un anno complesso. Usciti da una stasi creativa per cause a tutti note, Fabrizio Natalicchio, con “I’ll die for love”, interpretato da Alessia Gernone, ha proposto una visione poetica di una corrente artistica di fine XVIII secolo, il Romanticismo, danzando l’amore e accompagnando lo spettatore alla realtà contemporanea di un sentimento senza tempo.

Un romanticismo contemporaneo che, come spiega nell’intervista rilasciata, cerca: “…una chiave di interpretazione attuale che però rimandasse a quelle atmosfere”.

L’ultimo suo lavoro coreografico è una profonda introspezione dei sentimenti. Gioca sul palcoscenico con le sensazioni provate per l’amore. Che non sempre appaga. Il riferimento al romanticismo non è privo di delusioni amorose: come ha legato l’amore alla delusione?

È un lavoro introspettivo che vuole chiaramente omaggiare il primo novecento. Sono partito dall’analisi e dallo studio del romanticismo, ed in particolare dei balletti romantici, cercando una chiave di interpretazione attuale che però rimandasse a quelle atmosfere. Sia musicalmente , che dal punto di vista cromatico ho cercato di modernizzare il novecento romantico ,che avevo approfondito grazie al mio lavoro di tesi per il diploma conseguito presso il Teatro dell’Opera di Roma, ho invece lasciato in purezza e nell’interpretazione classica il concetto di amore romantico che si lega tradizionalmente alla morte.

La giovanissima interprete di “I’ll die for love”, ha danzato le sue coreografie con le qualità tecniche di studio della danza contemporanea e che trasmette attraverso il movimento. Ha avuto difficoltà perché il messaggio di amore/abbandono fosse “trascritto” col corpo?

Giulia, è arrivata in corso d’opera , in sostituzione della danzatrice con cui stavo lavorando che per un problema ha dovuto interrompere la preparazione dello spettacolo. È una danzatrice molto giovane , ma ha una personalità importante che mostra perfettamente con il suo corpo. La mia scelta è caduta su di lei , proprio perché sapevo che avrebbe lasciato qualcosa di personale allo spettatore , avendo una padronanza di movimento unica, questo sicuramente mi ha aiutato nel processo di elaborazione del messaggio all’interno della coreografia.

I sentimenti che lei cita per “I’ll die for love”, sono esternazioni che probabilmente la generazione contemporanea, non valuta. Non è faticoso il percorso dell’innamoramento?

Io credo che i sentimenti non hanno tempo , che il processo dell’innamoramento sia lo stesso rispetto a duecento anni fa. L’unica differenza sta negli strumenti a disposizione delle nuove generazioni, tutto passa attraverso gli smartphone e i social , ma credo che i sentimenti non abbiano una connotazione temporale, forse è un po’cambiato il modo di gestirli, ma la matrice resta la stessa rappresentando un punto di incontro tra generazioni, che fanno poi il pubblico dei nostri spettacoli.

Il contenuto romantico di “I’ll die for love” è dolcemente immediato. Il pubblico ha compreso il suo messaggio con attenta visione. Nessuna “sbavatura” coreografica, potrei azzardare un lungo piano sequenza danzato, raccontando il suo pensiero. Né pause, niente incertezze. Era chiaro il lavoro sinergico. E’ frutto di una “costruzione” con Clarissa Lapolla (lighting designer n.d.r.) e Giulia Mazzone?

Giulia è stata un’eroina , ha lavorato ininterrottamente per arrivare pronta alla prima , il nostro è stato uno scambio importante, abbiamo fatto qualche modifica rispetto alla coreografia originale per adattare lo spettacolo al suo movimento e alla sua personalità. Allo stesso tempo mi ha aiutato ad entrare nella visione della sua generazione e a rendere lo spettacolo adatto ad una fascia di pubblico più ampia. Clarissa è una grande professionista, resta per me un supporto irrinunciabile , seppur questa volta da lontano a causa di impegni personali.

Il Collettivo de Motu, nel tempo, sta storicizzando una parentesi della danza contemporanea permanente, non effimera. Questo indica la sua ricerca che memorizza e quindi imprime nella memoria, il suo personale concept con il quale comincia un lavoro. E’ sinonimo di sapienza. Lei è giovane. Tutto questo non è casuale: c’è di lei nei suoi lavori?

Di me c’è molto, così come c’è molto dei miei studi e della mia carriera. Mi piace analizzare il passato per riportarlo nel presente. Mi piace portare allo spettatore la modernità che profuma di tradizione, storia e radici lontane. Noi, operatori dello spettacolo, siamo il risultato di un grande bagaglio storico che deve essere sempre tenuto presente e tutelato, insomma si all’innovazione ma senza dimenticare da dove veniamo , almeno questa è la visione che io mi sento disposare in questo momento e che è più vicina al mio gusto personale.

La scorsa stagione, presentò “Medusa”, nel contesto della dilagante esibizione del sé, lei sottolineava quanto evanescente è la superficialità del sé. “I’ll Die for love” sembra il secondo coreographic frame di “Medusa”. Raccontava l’effimero, oggi racconta la spiritualità dei sentimenti. Mente e corpo?

Medusa è stato un lavoro fortunato a cui sarò sempre legato, apprezzato anche fuori dall’Italia. Tra l’altro è un lavoro figlio della rassegna Esplorare e del sostegno del direttore artistico Domenico Iannone, a cui ho la volontà di manifestare sempre immensa gratitudine, essendo stato appositamente creato per la prima edizione in cui sono stato ospitato. Era un lavoro molto diverso da questo, aveva in scena nove elementi, colori e atmosfere molto differenti. I’ll die for love è un lavoro molto più intimo e a tratti credo anche più maturo. Tuttavia credo che il filo conduttore di entrambi i lavori sia il fatto di fornire al pubblico gli strumenti per avviare un’analisi su argomenti legati alla quotidianità.

La bellezza è legata al corpo. Da sola è vacua. Che chiave ha, perché si cerchi l’equilibrio?

Credo che per chi fa il mio mestiere la bellezza, seppur oggettiva, sia il pane quotidiano e ovviamente passa dal corpo. Il danzatore che apprezzo, come ho accennato in precedenza, deve avere una personalità spiccata che in scena racconti una storia e che possa restare impressa nella mente del pubblico senza però dimenticare quelli che sono i requisiti fondamentali di chi fa della danza, un lavoro che resta è un lavoro fatto di arte, bellezza e atletismo, che fa del corpo lo strumento di comunicazione più immediato .

Plausibilmente consolidato nella sua determinazione artistica, Fabrizio Natalicchio è un innovatore persuaso. Non potrebbe essere altrimenti. Figlio della generazione contemporanea, la sua cultura è anche frutto di studi di ancedenti correnti culturali che gli permettono di evolvere quel pensiero filosofico applicandolo nell’ arte che sa fare meglio: la danza.

Gianni Pantaleo.

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