giovedì, 25 Aprile, 2024 8:56:24 PM

Fabrizio Natalicchio, lo specchio della bellezza è la sua danza

di Gianni Pantaleo.

Intervistare Fabrizio Natalicchio, coreografo di uno dei balletti meglio apprezzati della rassegna di danza contemporanea ESPLORARE2021, terza edizione curata dal m° Domenico Iannone, al Teatro Kismet OperA di Bari, è stata una chiave di lettura del concetto di bellezza intesa come assoluto pensiero naturale degli uomini. Senza tanto parafrasare il concetto, “Medusa”, titolo del balletto presentato, esprime l’idea della bellezza di un corpo che si evolve nel tempo. Geniale assonanza al mito di Medusa, dello sguardo e dell’ immagine riflessa, Fabrizio Natalicchio fa un’analisi di quanto prigionieri della bellezza si può essere ma anche di quanto, da essa, ci si può liberare, scrutando, invece, quella bellezza interiore che traspare dallo stesso corpo nel quale ognuno di noi vive.

Effimera? Transitoria? Fragile? La bellezza, ci spiega con “Medusa”, è inevitabilmente sottoposta a giudizio, ad analisi, a modelli astratti ai quali somigliare può essere dannoso. Saggiamente, il giovane coreografo, introspeziona l’ideale, scavando quell’interiorità magnifica che ognuno ha, rendendo la bellezza il sentimento supremo dell’animo umano.

Nel suo ultimo lavoro coreografico, espone uno dei refrain più attuali che colpisce tutte le fasce di età: il culto della bellezza. Il suo balletto è un’analisi di quanto effimera sia la bellezza. E’ errato pensare che la bellezza governi il mondo?

Assolutamente non è errato pensarlo, anzi fortunatamente il culto del bello esiste ancora. È comunque doveroso precisare che sono figlio di una generazione abituata ad andare oltre e che è stata educata alla bellezza soggettiva, se non fossi innamorato del bello sicuramente avrei fatto un’altro mestiere, chiaramente mi riferisco a quello che è bello per me e che probabilmente non lo sarà per altri, non vivo con i paraocchi piuttosto ho sviluppato negli anni un mio gusto personale.

Mi permetto una riflessione: Medusa, titolo del suo bellissimo balletto, è la metafora nella quale tutti ci trasformiamo in pietra perché accecati da un’esteriorità fragile. Eppure l’arte punta proprio sulla bellezza. Dov’è l’errore?

Penso che l’errore non ci sia, tante volte ciò che è bello può far male ma non siamo disposti a rinunciarvi anzi credo che sia proprio il pericolo di ciò che può accadere a ricercarlo quasi come fosse una sfida. Insomma credo che spesso si provi più gusto durante il viaggio alla ricerca del bello rispetto al momento della conquista di esso. Chi è innamorato dell’arte è innamorato del bello consapevole di tutti i rischi che il confronto con essa e la continua ricerca della perfezione può portare ma penso che questo non fa altro che farcene innamorare ogni giorno di più.

La sua analisi artistica è ben mirata. Da spettatore, ho inteso questo messaggio: “Attento, la tua bellezza non sarà eterna. Vivi il tuo tempo ma accetta che ti passi addosso: così come sei oggi, non lo sarai domani”. Lei è un coreografo lungimirante. Crede che questa chiave di lettura, possa dare consapevolezza che la bellezza non sia solo fisica?

Questo è esattamente il messaggio che volevo trasmettere, giocando un po’ con l’inversione dei canoni della bellezza occidentale, nella prima parte dello spettacolo la protagonista era totalmente calva per rappresentare la purezza, il bello assoluto, una tela immacolata macchiata dalla comparsa di lunghe trecce il cui riferimento ai serpenti dell’iconografia classica del personaggio era abbastanza chiaro. Sicuramente il valore della bellezza, non sono fisica, è importante, specialmente per chi come me ha a che fare con gli adolescenti , tuttavia la chiave di lettura del balletto era più riconducibile al concetto di bellezza soggettiva e accettazione senza considerazione del giudizio esterno che veniva pietrificato e distrutto.

C’è un altro aspetto della sua coreografia che mette in discussione il concetto di bellezza: la diversità stessa della bellezza. Quali i parametri che hanno condizionato il mondo di oggi? La Grecia classica mirava alla bellezza pura, estetica, ma non “accantonava” quella sfiorita. La saggezza culturale, ammirava quella bellezza fatta di saggezza umana. Oggi è così?

Io credo e voglio credere che sia così, per me esistono tanti tipi di bellezza, aventi tutti il medesimo valore. Credo sia solo importante collocarli nella maniera esatta e darne il valore giusto a seconda dei contesti.

Lei dimostra una profonda sensibilità a questo lungo momento in cui tra TikTok, FaceBook, Instagram, selfie e fondoschiena inarcati, giovani e meno giovani, tutti puntano sulla fisicità. Ma c’è consapevolezza che un corpo vuoto non ha anima? O siamo distratti da noi stessi?

Oggi viviamo quotidianamente bombardati da corpi perfetti che però non devono essere necessariamente senz’anima. Noi della danza viviamo in un mondo a parte, abbiamo canoni completamente opposti e quindi penso siamo tra i pochi ad essere realmente distanti da questo bombardamento social. In onestà credo che esista chi con un bellissima immagine ha un bel cervello e una bella anima e viceversa, quindi a parer mio non c’è proporzionalità inversa tra le due cose.

Il corpo. Lei è un danzatore e un coreografo, il suo lavoro e quello dei suoi danzatori, è fatto con il corpo. Il ruolo del docente è anche quello del mentore: ha occasioni per spiegare ai suoi allievi che oltre il loro corpo c’è ben altro? Lo spettatore percepisce quando in scena c’è una bambola e basta…

Con i miei ragazzi cerco di lavorare in maniera costante sui due aspetti parallelamente, dico sempre loro che oggi il danzatore che punta all’eccellenza è quello che ha una tecnica accademica forte, un bel corpo allenato e dote fisica unita a un bel movimento, personalità e qualità. Nonostante sia abbastanza giovane, sono un po’ vecchio stampo e penso che tutti i ragazzi debbano essere messi con obbligo di onestà davanti ai propri limiti, che ci sono per forza di cose, con questa consapevolezza poi ognuno deve cercare la strada più adatta alla propria fisicità e alle proprie qualità, ovviamente lavorando per colmare il più possibile i propri limiti e cercando di oscurarli con i propri punti di forza. Sicuramente è importante quello che c’è dentro, ma non è assolutamente da meno quello che c’è fuori , in fondo andiamo in scena per essere ammirati e raccontare bellezza.

“Medusa” è stato ben accolto dal pubblico. Il messaggio che ci ha voluto dare, è stato ben recepito. Sorprende, lei che fa anche didattica ed è anche un giovane coreografo, quanto la sua determinazione su problematiche attuali, quali il body shaming e la diversità di genere, sconvolgano i ben pensanti e danneggi il vissuto dei più fragili. E’ una bella lotta sociale quella da lei intrapresa. Mi congratulo. Un’ultima domanda: questa consapevolezza l’ha vissuta personalmente? Sentimenti di questo genere hanno bisogno di essere vissuti…altrimenti non potrebbero essere così ben spiegati e lei lo fa con la danza, l’arte del corpo che parla.

Mi sono messo davanti a uno specchio circa ventiquattro anni fa e ho cominciato a lottare con questo per molti anni. Ho ricevuto da madre natura un corpo abbastanza dotato ma non ho mai avuto esattamente l’immagine del principe del Lago dei Cigni, so cosa significa non sentirsi sempre adeguato ma da questo ho imparato invece a compiacermi di quello che avevo, ad ammirarlo e a mostrarlo agli altri. Questo è il messaggio che voglio che passi, la perfezione non esiste, ci sarà sempre qualcosa di te e della tua immagine che non ti piace, impara ad apprezzare invece i lati più belli, anche se non lo sono per gli altri, a mostrarli e a renderli agli altri potrebbero essere la tua arma contro te stesso e contro il giudizio esterno.

Sorprende la franchezza delle risposte. Sono chiare, determintate. Fabrizio Natalicchio rispecchia se stesso senza la vanità con la quale lo specchio riflette noi stessi. E’ complessa l’analisi della vanità. Da sempre lo specchio è sinonimo di vanagloria, di illusione di quanto esso riveli solo una esteriorità effimera. Per il giovane coreografo, lo specchio è l’altra metà di noi stessi e quella superficialità alla quale pensiamo siano collegati frivolezze e sterilità intellettuali, altri non sono che riflessi della nostra anima. E lo specchio non è mai bugiardo.

Gianni Pantaleo.

Collettivo De Motu: MEDUSA

Coreografia: Fabrizio Natalicchio. Costumi: Collettivo De Motu.

Danzatrici: Serena Antonacci, Martina Amato, Denise Catalano, Helena Colamussi, Denise Fuiano, Aurora Lattanzi, Marika Lauciello, Martina Mastandrea, Martina Milella.

Credits photo: Clarissa Lapolla.

Un cortese ringraziamento a Maria Strisciulli, responsabile sala prove.

Le immagini e i testi potrebbero essere soggetti a copyright.

About Arti Libere

Guarda anche

Bari – Valentina Vitone – Riflessioni di una danzatrice

di Gianni Pantaleo. Nel vastissimo spazio delle Arti, molti di coloro i quali operano con …

Lascia un commento