Di Elisabetta Lamanna.
“Combination of the two”” (2019). Composizione vincitrice primo premio Oristano Ceramic Center.
Ho avuto modo di conoscere l’artista scultrice Rossella Schiavini molti anni fa e dopo aver visto le sue creazioni dal vivo, l’ho seguita anche sui social network appassionandomi alle sue opere d’arte per la carica energetica, sensuale ed erotica che esse esprimono. Le sinuosità di alcune sue produzioni artistiche, sembrano prendere vita e volerci raccontare qualcosa di molto arcaico, primitivo. Sembra che l’artista, abbia la capacità di rimandarci alle opere classiche ma con una vena di contemporaneità e modernità con una sintesi assolutamente creativa ed emozionante. “Trovo che le sculture di Rossella Schiavini siano magnetiche, nel senso che comunicano la bellezza del suo animo vitale, emanano vibrazioni positive e, con un’enorme potenza, denotino la sua grande sensibilità. La scultrice Rossella Schiavini ha iniziato ad esprimere la sua arte da autodidatta; dal 1989 si è impegnata a frequentare laboratori di scultura e di ceramica artistica e tornio , presso scultori e ceramisti italiani (tra i quali Giovanni Crippa, Guido De Zan, Giacomo Sparasci ed Annamaria Miglietta, Cesare Riva) e quelli stranieri (Ed. Smith, Suzie Zamit SPS, Arabella Brooke, Christy Symington MRBS) e presso le scuole e università italiane artistiche ed estere (Civica Scuola di Ceramica di Milano, Central Saint Martins, University of the Art London, The Bernard Leach Pottery, UK). Inoltre Rossella Schiavini è stata selezionata, nel 2018, dalla Curator Kate Bryan, per la mostra “Not 30%” presso the Other Art Fair London ed ha vinto il 1° premio, nel 2019, del concorso per opera ceramica “Maria Giusi Ricotti” ad Oristano Ceramic Centre. Attualmente l’artista scultrice Rossella Schiavini produce le sue opere tra Milano e il Lago d’Orta. Finalmente ho avuto il piacere di intervistarla. Ringrazio di vero cuore Rossella Schiavini per avermi concesso questa opportunità e inizio a porle le mie domande.
Buon giorno Signora Schiavini , finalmente possiamo conoscere meglio lei e la sua espressività artistica. Come e quando è nata questa sua passione per l’arte scultorea?
Sono un’artista autodidatta che ha sempre coltivato, sin da bambina, l’interesse per le arti figurative. Ho iniziato con il disegno durante gli anni della scuola, ed ho poi proseguito con la pittura prima e a seguire con la scoperta dell’arte ceramica durante gli anni universitari. A partire dagli anni ’90 mi sono avvicinata alla scultura grazie alla frequentazione dell’atelier-laboratorio di Giacomo Sparasci ed Annamaria Miglietta, artisti scultori salentini basati a Milano. Con loro ho sviluppato la mia sensibilità per la modellazione della forma tramite l’uso di materiali pietrosi quali il carparo (n.d.r pietra di origine calcarea di sedimentazione diffusa in Puglia) e la pietra leccese. Spinta dalla passione e dalla curiosità mi sono poi avvicinata al marmo grazie a diversi workshop con il compianto Cesare Riva, scultore e maestro a Pietrasanta nel cuore della regione marmifera per eccellenza. Da allora, in parallelo con la mia carriera professionale, ho coltivato e sviluppato la mia passione artistica e la pratica scultorea in maniera indipendente.
Come la definisce la sua arte e quali sono i temi che lei affronta nella realizzazione di una sua creazione artistica?
Spesso il mio è uno sguardo ed una riflessione materica sul femminile che si manifesta tramite le sinuosità delle curve. Creo forme che sono corpi femminili che fanno presenza di sé nel mondo, che non hanno paura della propria sensualità e, tramite i quali, trasmetto l’erotismo della forma. Questi corpi sono espressione della mia forza creativa nel senso più preciso del termine, vale a dire con un’ambizione divina: creo il mondo che voglio intorno a me, popolandolo di corpi che esprimono la propria potenza femminile, gioiosa ed erotica. Negli ultimi anni uso spesso lo strumento del “vaso” per costruire forme che crescono intorno al vuoto interno e dialogano con l’ambiente in un rimando di dentro e fuori. Queste opere mi permettono di approfondire sia la forma ma anche la superficie del contenitore – vaso. Essa è il punto di confine o contatto tra il contenitore ed il mondo esterno, contiene e separa, permette interferenze di quel mondo tramite gli interstizi, si piega di fronte al peso del mondo esterno, oppure lo penetra con i propri spigoli. In questo senso parlo di dialogo tra un dentro ed un fuori in cui la superficie è il linguaggio.
“Veneri” (2017)
La sua arte è un processo di creazione, in generale, nella scelta del soggetto delle sue sculture, da che cosa è ispirata principalmente?
Il mio pensiero visivo è tridimensionale e, nonostante spesso elabori bozzetti su carta, a matita, penna o pennarello, sento sempre l’esigenza di marcare ombre e spessori. Quindi direi che per me la scultura è “inevitabile” nel senso che creare in terza dimensione è per me una naturale modalità espressiva. Con la scultura ho incontrato la MIA forma espressiva, il mio linguaggio creativo. Ho l’ambizione di “generare” corpi, forme, che esprimano bellezza, pienezza ed armonia. In questo processo generativo perseguo una mia idea di bellezza che, credo, sola possa davvero fornire lenimento ai mali, le malinconie, le tristezze, i dolori, del vivere quotidiano nel mondo. Sono infatti convinta che l’estetica sia profondamente etica nel senso che l’espressione del bello coltiva l’anima, ed è questa la sola ragione che giustifica l’estetica, null’altro. Anche quando uso la forma “vaso” in realtà non sono affatto interessata alla dimensione funzionale, anzi, direi che ho un disinteresse totale verso la funzionalità a favore del piacere della forma per sé stessa. Non faccio design e non sono interessata a creare o perseguire un’estetica funzionale. Al contrario, spesso chiamo i miei “vasi” disfunzionali in quanto le pareti sinuose, curvate, ripiegate o manipolate interferiscono con la funzione e talora la impediscono. Ed è esattamente quanto voglio ottenere. Credo che, in maniera sottocutanea, ci sia uno sberleffo, una giovanile ribellione, all’utilitarismo estremo che ci circonda. Voglio essere inutile e circondarmi di forme inutili ma belle per me. Il mondo che creo è un mondo in cui non esiste funzione ma bellezza (ri)generatrice.
“Veneri” (2017)
Quali sono i modi e i generi espressivi che preferisce, anche nell’utilizzo del colore?
In generale la mia estetica è figurativa astratta. Non sono interessata al colore nel senso che per me il colore viene dopo ed è secondario rispetto alla forma ed al colore naturale del materiale che sto usando.
Cosa l’ha portata a scegliere determinati materiali o tecniche?
Attraverso l’uso di materiali diversi esploro, con un gioco di concavo e convesso, il dialogo tra la forma ed il mondo circostante. Alle tecniche sono arrivata con un percorso di incontri e di ritorni. Plasmare la creta mi ha emozionato da subito eppure alla scultura ceramica sono arrivata solo da qualche anno dopo aver attraversato materiali più duri come la pietra leccese, che rimane tuttavia assai morbida tra le pietre, il carparo, ed il marmo. Questi materiali richiedono anche l’inevitabile mediazione di strumenti meccanici siano essi martelli o scalpelli o raspe. Ciò non è sempre vero per la creta che può essere manipolata e modellata con il solo uso delle mani. Ad un certo punto credo di aver maturato una stanchezza quasi fisica nel lavorare pietre dure e marmo ed ho desiderato un approccio più dolce alla scultura, quello che appunto la creta permette. Nella creta posso affondare le mani e questo contatto forte accentua la fisicità del processo creativo. La creta è morbidezza e sensualità immediate, così come altrettanto immediata è la realizzazione della propria visione progettuale, anche solo in una fase di bozzetto. Non a caso anche molte opere in pietra o marmo vengono spesso prima realizzate su bozzetto in creta, proprio per cogliere con velocità l’immediatezza e l’energia dell’idea iniziale.
“Veneri” (2017)
Quanto influisce, sulla sua produzione artistica, l’utilizzo di un materiale piuttosto che un altro?
Proseguendo il filo del discorso iniziato con la domanda precedente, direi che non ho scelto il materiale perché volessi elaborare e creare sculture diverse. Ho cambiato approccio materico per motivazioni legate più alla mia sensibilità tattile. Una volta scelto il materiale, la creta negli ultimi anni, che comunque avevo già usato in passato, ho certamente anche creato forme diverse. Ma credo che il percorso creativo sia stato per così dire indipendente. Le opere in creta, create anni fa, hanno forme e linee molto più simili alle opere in pietra e marmo di quegli stessi anni. Oggi penso che la mia estetica si sia evoluta, sia maturata, pur mantenendo un filo conduttore che ho cercato di descrivere prima. Ma tale evoluzione non è stata condizionata dal materiale usato, semmai ho adattato il materiale alle esigenze creative di quel momento. Il materiale di certo mi deve stimolare tattilmente sia sul piano del colore e/o su quello della struttura che avrà, una volta completata l’opera. Ho ridotto la scala ma accentuato l’esplorazione, sia della sinuosità delle forme e delle curve che di quella del materiale. Ho anche accentuato l’intervento sulle superfici, che non sono più solo o semplicemente concave o convesse, ma si arricchiscono di spigoli e rientranze angolari e che a volte amo alterare con graffiato o solchi e incisioni. In questo periodo, in cui sono basata sul lago, mi capita di camminare molto per i boschi e di raccogliere e portare a casa, ogni volta, piccoli tesori preziosi quali scaglie di cortecce, funghi degli alberi, porzioni di tronchi, sassi levigati. Io raccolgo, pulisco, faccio essiccare, lucido, applico l’antitarlo, poi l’olio per il legno, e costruisco basamenti, piccoli o grandi scenari, per le mie veneri o amazzoni, immagino paesaggi. Ecco, in questi casi mi lascio molto suggestionare dai piccoli tesori che ho raccolto, e sono loro a suggerirmi un’idea, un progetto di composizione creativa.
Nella produzione di un’opera scultorea si usano prevalentemente le mani, le chiedo se intervengono altre parti del corpo e in quale misura?
Per me le mani sono lo strumento principe sia conoscitivo, tramite l’esperienza tattile, che creativo. Spesso lavoro in piedi e quindi tutto il corpo è in qualche modo coinvolto. C’è uno sforzo delle gambe e dell’apparato scheletrico, tanto che ho bisogno di fare delle pause e sedermi. Però le mani rimangono le vere attrici.
“Senza titolo”. (2000)
Vasi in gres bianco, biondo, grigio e nero. Cottura a doppio fuoco o cottura raku.
Durante la lavorazione del materiale, che tipo di emozioni, sensazioni, pensieri o sentimenti vive?
In generale durante la lavorazione, sia nella fase progettuale che creativa, sono molto concentrata. Tuttavia mentre nella fase progettuale questa concentrazione è propriamente intellettuale, di testa, e finalizzata a pensare alla soluzione dei problemi di produzione e a visualizzare l’opera, nella fase creativa vera e propria, vivo una concentrazione più fisica ed emotiva. La manualità, la ripetitività di alcuni gesti, la tatticità, sono momenti di compenetrazione in cui sono come in una bolla che racchiude solo me, il mio fare e la mia creazione, null’altro. C’è una sorta di sentimento di autosufficienza, di isolamento volontario che sono per me molto belli, fonte essi stessi di un godimento che credo poi traspaia nel lavoro finito.
Cosa è importante per lei trasmettere con le sue creazioni?
Non penso mai a voler trasmettere qualche cosa, ad un messaggio specifico. Penso in termini di forme e sono soddisfatta quando realizzo la forma finale e ne colgo una coerenza, sia in sé che con le emozioni che la hanno determinata.
Vasi in gres bianco, biondo, grigio e nero. Cottura a doppio fuoco o cottura raku.
“Amazzoni” (2017)
Quali sono i suoi progetti futuri?
Dopo questo anno particolare voglio concentrarmi sul far conoscere il mio lavoro, sul trovare canali di espressione e nuove e stimolanti occasioni di messa in mostra dei miei lavori.
La ringrazio ancora per questa interessante e soddisfacente intervista e le auguro tanto successo.
Elisabetta Lamanna