di Gianni Pantaleo.
Quanto l’arte sia foriera di messaggi, è senza dubbio, lo scopo di chi la fa. Da sempre, da queste pagine on line, con tutti i colleghi della redazione, sosteniamo che chi opera nell’arte, è un messaggero di idee, creatività, sperimentazione e ricerca. Ognuna di queste attività del pensiero umano, comunica, a chi la percepisce, un argomento, un fatto, un senso compiuto o da compiere. Consideriamo gli artisti, guerrieri di campagne culturali le cui “armi” sono le parole, le note, i colori, i corpi. Liberarsi di un’emozione perchè questa possa essere trasmessa, è una forma di comunicazione e storicizzando l’arte della danza, dalle gesta romantiche del repertorio classico, alla purezza dello stile moderno, il percorso perchè essa superi la bellezza della gestualità, è l’introspezione. E’ l’evoluzione dell’arte. Così alla bellezza di un corpo si connette un dialogo che “distrae” lo spettatore dalla sola bellezza, diventando un componimento dialogico tra l’artista e il pubblico. Sabrina Speranza, danzatrice e coreografa, con “The sound of silence”, opera coreografica presentata durante la rassegna di danza contemporanea “ESPLORARE2021“, curata dal m° Domenico Iannone, invita il pubblico ad una considerazione su un disagio provato dalla generazione degli adolescenti. Attraverso l’analisi provata come donna e madre, del lungo e difficile momento in cui tutto il genere umano sta vivendo, traccia una riflessione dando “voce” a quella generazione prossima alla vita da adulti, costretta a vivere la loro crescita, reprimendo la voglia di libertà soffocata dalla vicissitudine vissuta. Lei stessa spiega i suoi proposti raggiunti con “The sound of silence”.
Sabrina Speranza
Il termine di paragone mi riporta ad uno degli artisti che meglio ha rappresentato il disagio umano: Edward Munch. L’urlo assordante della percezione vissuta dal pittore è riportata sulla tela ed è muta. Ma la forza di quel silenzio, ci esplode dentro. Ne: “The sound of Silence”, quel disagio lei lo ripropone con gli occhi di quattro adolescenti, figlie di questo tempo. Cosa l’ha spinta a presentare questo balletto così profondamente introspettivo?
L’adolescenza é un’età molto complessa in cui si è ancora bambini desiderosi di attenzioni e bisognosi di cure e allo stesso tempo giovani donne e uomini che vorrebbero dire la loro, essere ascoltati nel prendere decisioni sul proprio futuro. Molto spesso noi “adulti” questo non lo facciamo, pensiamo di sapere ciò che è giusto per loro! Ancor più in questo periodo di pandemia! Ho voluto ascoltare il loro grido di rivalsa…li abbiamo rinchiusi nelle loro camerette, unici contatti con l’esterno filtrati da uno schermo quando loro avrebbero voluto solo gridare al mondo intero la loro voglia di vita, il loro coraggio nell’ affrontare ogni sorta di violenza che la vita presenta loro…la violenza psicologica di un virus sconosciuto, la violenza fisica di essere reclusi in quattro mura. Ecco perché urlano con ogni particella del proprio corpo, un movimento, una transizione, una contrazione esprimono, proprio come nell’urlo di Munch, la forza devastante del silenzio.
“The sound of Silence” è uno dei balletti meglio presentati nel contesto artistico contemporaneo ma anche di profilo socio/culturale. E’ luogo comune pensare alle arti, soprattutto alla danza, come espressioni romantiche. Lei “osa” con quattro danzatrici, smuovere la percezione del vissuto quotidiano, insorgendo al malessere sociale, con una taciturna ribellione in chiave coreografica. Un tempo i giovani sfilavano in cortei urlando, lei propone quello stesso disagio con il silenzio di corpi che urlano. Sa che questa opera artistica è anche detta avanguardia? Rivoluzione culturale. Si tira fuori dai format del balletto contemporaneo e guarda oltre. Mica male, non crede?
Io sono nata nel 1969, l’anno dopo le ribellioni sessantottine ma ritenendomi figlia di quella generazione è innata in me la voglia di combattere per quello in cui credo, per i miei diritti e per i miei ideali. Purtroppo, gli adolescenti di oggi sono indolenti e irrequieti a prescindere, vogliono tutto e subito e quando non l’ottengono passano oltre. La danza invece insegna loro il senso del sacrificio, della dedizione e della disciplina e che solo lo studio, il lavoro duro e costante può portare loro i risultati agognati! Ecco perché quando la pandemia ha privato queste quattro adolescenti della loro quotidianità, della loro vita, il senso di ribellione e di rivalsa ha prevalso in loro ed io come Maestra e Coreografa sarei stata cieca e sorda a non raccogliere il loro grido.
Quel respiro costante durante il balletto, straordinaria ricerca musicale di Loredana Savino, l’apparente quiete delle danzatrici, che danzano e interpretano il progressivo evolversi della rabbia interiore, quella pacatezza che esplode, è un’opera di maturità artistica. Privilegio avuto di conoscere altri suoi lavori, apprezzo questa ultima opera come una crescita artistica. E’un processo naturale per un artista o le vicissitudini della vita influenzano la creatività di un artista?
Inevitabilmente le vicissitudini della vita influiscono gravemente sulla vena artistica! Ritengo che tutto debba nascere principalmente da dentro se stessi, non solo nella mente…anzi forse questa è proprio l’ultima fonte. La razionalità traduce in coreografia quello che il cuore e le viscere sentono…è una sensazione non aulica bensì molto fisica quasi carnosa! E’ un vero e proprio parto; non a caso ho scelto queste quattro danzatrici Antonella Abbatantuono, Paola Corvaglia, Marica Lisco e Ilenia Sportelli che hanno iniziato a muovere i loro primi passi con me, le ho partorite artisticamente… infatti ho pianto nel vederle portare in scena questo percorso. All’inizio dell’opera sono nude e si muovono sul battito del cuore di un feto, poi i respiri sempre più intensi di fanciulle che iniziano ad esplorare il proprio mondo, le esperienze belle e brutte che l’età complicata dell’adolescenza pone sul loro cammino ed infine giovani donne che spavalde vanno incontro al loro destino. Tutto questo è stato magistralmente tradotto in musica, testi e respiri dalla penna e dalla voce di Loredana Savino che ha saputo cogliere la fragilità ma al contempo forza di queste ragazze e del messaggio che io volevo dare.
Loredana Savino
C’è un’elegante trasposizione coreografica ne “The sound of Silence”. Gestualità, interpretazione e tecnica, raccontano quanto le nuove generazioni, che vivono un oggi purtroppo dettato dalla difficile realtà pandemica, chiedono solo la serenità di una vita vissuta semplicemente per il piacere della vita. E’ gradevole questa visione della vita vista con gli occhi dei giovani. E tutto questa contaminazione social? Senza polemizzare i media di cui tutti usiamo, ma lei che è insegnante e quindi educatrice, ha modo di spiegare ai suoi allievi, quanto oltre un selfie, c’è ben altro?
Purtroppo, la pandemia ci ha costretti a “vivere” attraverso uno schermo, lo studio, il gioco, le amicizie, le attività filtrate e così i ragazzi hanno imparato a filtrare anche le loro emozioni, i loro sentimenti…tutto ciò nella parte evolutiva di crescita della loro esistenza, quella parte in cui si forma la propria personalità, si gettano le basi del proprio futuro! Ora stanno cercando di riappropriarsi di tutto ciò ritornando a vivere sentendo gli odori e le sensazioni cutanee che l’ambiente intorno procura loro…guardandosi negli occhi l’un l’altro, in quegli occhi che sono lo specchio dell’anima e, proprio come nell’ultima scena di “The Sound of Silence”, guardandosi in quello specchio mettersi il rossetto per essere pronte a percorrere quella strada che le condurrà lontani da quello schermo, diventando artefici del proprio destino.
E parlando di generazione, lei è figlia della ragione. Senza curiosare l’età, ma il suo percorso professionale, è fatto di sudore e specchio. I suoi “selfie” erano le immagini riflesse dagli specchi di una sala di danza perché perfezionasse il suo studio. E’ questa la generazione con la quale si confronta tutti i giorni a scuola? Quella di TikTok, Instagram, Facebook? Didattica e formazione…sappiamo bene tutti che non si balla solo con i piedi…
La ragione e soprattutto una grande determinazione mi hanno condotto dove sono ora. Abbattere le barriere sociali ed economiche (mio padre è una guardia giurata in pensione e mia madre una casalinga che hanno fatto grandi sacrifici per farmi studiare fuori), temporali (ho iniziato a studiare danza a 11 anni per approdare ad uno studio serio solo a 20 anni) ed infine spaziali perché ho voluto studiare e lavorare all’estero (Francia e USA) prima di ritornare alle radici qui a Bari e costruire qualcosa di unico per la mia città, è sempre stato il mio punto fermo. Sentire l’odore, più spesso la puzza, di una sala di danza, controllarsi e correggersi da uno specchio appannato dal mio fiato e poi, quando danzavo in teatro, sentire lo scricchiolio delle tavole di un palcoscenico, il calore che ti avvolge quando ti fai “bagnare” da un fascio di luce, la polvere delle quinte e del sipario, la profonda concentrazione e ricongiungimento con il tuo IO più intimo nel camerino pre-spettacolo ed infine la magia e totale follia che pervade tutta te stessa mentre danzi sino al coronamento dell’applauso fragoroso del pubblico, sono sensazioni che mai nessun social può darti e che provo ad insegnare ogni giorno ai miei allievi e a trasmettere ai danzatori che interpretano le mie coreografie. Ho scelto di insegnare la tecnica Horton e di usarla come vocabolario per le mie coreografie proprio perché è una tecnica che non conosce limiti e che anzi ti spinge ad andare oltre gli stessi per raggiungere sempre uno step successivo.
L’arte ha il compito di smuovere le coscienze della gente. Lei lo fa con la danza. E’ un compito faticoso. Arte è crescita sociale. Desiste mai? O è…guerriera?
Guerriera è il mio secondo nome o meglio caparbia, determinata…penso che sia importante lasciare un segno nella mente e nel cuore dello spettatore, nei corpi e nell’anima dei danzatori! Educare al bello, a ragionare con la propria testa e a combattere per i propri ideali è ciò che mi prefiggo ogni giorno come Maestra e come coreografa per formare i danzatori, i coreografi…gli UOMINI e le DONNE del domani.
Le civiltà classiche, quelle soprattutto evolute, le colte Roma, Atene, Sparta, consideravano l’importanza della cultura alla stessa stregua di chi combatteva le guerre per difendersi dai barbari invasori, uomini dediti solo agli istinti bellicosi. Queste grandi civiltà del passato, nella storia del costume sociale, affidavano i loro giovani allievi ai tutori. Figure non limitate al ruolo di maestri. Il tutore era colui il quale seguiva il suo allievo formandolo e preparandolo alla vita dell’adulto. Paziente lavoro di studi e consapevolezza alla vita e della vita. Ha ragione, quindi, Sabrina Speranza a definirsi guerriera. Soldato e tutrice di quella generazione che saranno gli “…UOMINI e le DONNE del domani.”
Gianni Pantaleo.
“The sound of silence” di Sabrina Speranza.
Produzioni UNIKA Accademia dello Spettacolo.
Danzatrici: Marica Lisco, Paola Corvaglia, Antonella Abbatantuono e Ilenia Sportelli.
Musiche scritte, arrangiate e interpretate da Loredana Savino.
Ph. Gennaro Guida.
https://www.accademiaunika.it/
https://www.accademiaunika.it/sezione/danza/
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