lunedì, 29 Aprile, 2024 7:12:46 AM

Andrea Valioni: Il Teatro “Alla Scala” è la mia vita

di Patrizia Gesuita.

L’incontro casuale con Andrea Valioni e sua moglie Elena Rizzi, donna affascinante dallo sguardo penetrante e profondo, mi ha permesso di conoscere due persone davvero uniche. Una coppia in perfetta sintonia non solo nella vita, ma anche nella professione artistica. Lui: Direttore dell’Organizzazione della Produzione del Teatro “Alla Scala”, lei: Responsabile organizzatrice del corpo di ballo del Teatro “Alla Scala”.nLa mia chiacchierata questa volta l’ho fatta a bordo piscina con Andrea Valioni, uomo di vasta cultura come ce ne son pochi, così versatile nei suoi interessi da lasciarmi allibita. Quando gli ho chiesto chi fosse Andrea Valioni, mi ha risposto sorridendo ironicamente: «Un vecchio Dinosauro». Tuttavia la particolarità di Andrea Valioni è che, nonostante si senta un personaggio dell’”Era Giurassica”, ha conservato lo sguardo limpido di un fanciullo, che continua a emozionarsi, a stupirsi e soprattutto ad entusiasmarsi… Il vero segreto per rimanere eternamente giovani.


                                Andrea Valioni e Elena Rizzi

Andrea, quando hai capito che la tua professione sarebbe stata legata al teatro?

In quarto ginnasio. Ricordo che avevamo una splendida professoressa di italiano, latino e greco, innamorata del teatro pirandelliano. A dire il vero, non era particolarmente attratta dalla grammatica greca e latina, ma in compenso amava il teatro. Nella nostra classe avevamo avuto la fortuna di studiare con venti seminaristi, che arrivavano da diverse parti delle valli altoatesine; il Seminario consentiva loro di accedere agli studi gratuitamente. Io e qualche altro studente andavamo spesso ad aiutarli a studiare. Come sempre nulla è al caso e ora mi riallaccio alla fortuna di cui ti ho parlato… Aiutare i seminaristi ci ha aperto le porte a un teatrino in disuso, che era nel Seminario. La nostra insegnante d’italiano colse immediatamente l’occasione per farci studiare attraverso il teatro, e così nacque, presso il nostro liceo, una piccola compagnia amatoriale. Quando penso cosa ti riserva la vita… Abbiamo messo in scena, sempre a livello amatoriale, una serie di lavori molto belli: da Shakespeare alle tragedie greche. La cosa bella è stata che abbiamo conosciuto e imparato tante opere letterarie e teatrali divertendoci, ti dirò di più, noi non abbiamo imparato  solo a recitare e a imparare le parti, ma anche a realizzare i costumi e le scenografie. Non sapevo ancora che questo tirocinio mi sarebbe servito in futuro… Dopo i due anni di ginnasio, quando arrivammo al primo liceo, da trentadue studenti ginnasiali, rimanemmo in quattordici, perché tutti gli altri furono bocciati. Eravamo preparatissimi su vari generi teatrali, ma non sulla grammatica latina e greca… (ride divertito e aggiunge), ma non importa, perché ormai il seme del teatro in me era attecchito.

Potrei anche sbagliarmi, ma mi sembra che i tuoi studi siano stati un po’ controversi con la tua vocazione e carriera professionale…

Verissimo! Sono laureto in scienze motorie, ho studiato veterinaria, in seguito nel 1974 ho seguito dei corsi di regia al “Piccolo” di Milano.  Erano anni in cui non si poteva vivere di teatro e quest’ultimo era tendenzialmente “teatro politico”.

Parlaci della tua incredibile carriera professionale, so che non è semplice sintetizzarla, te la sentiresti di provarci?

Questa è un’impresa non semplice… (Ride) Ebbene…Ho fatto la vera gavetta e ho lavorato in teatro facendo di tutto: dal macchinista all’elettricista al direttore tecnico e ti dirò di più… mi sono occupato anche di allestimenti scenici… Per anni ho fatto il doppiatore, professione che mi ha permesso di guadagnare e sopravvivere. Ho lavorato per alcuni anni per la Rai a Napoli in trasmissioni come “Sotto Le Stelle”; ho aiutato a fondare il teatro “CRT, che si occupava di teatro d’avanguardia”… Abbiamo portato per la prima volta in Italia della gente che nessuno conosceva come: Pina Bausch, Bob Wilson, Mario Martone, Andrzej Wayda, Jerzy Grotovski, questi ultimi due legati alla  “Solidarnosc” polacca, e che non  poteva esprimere liberamente il proprio pensiero. Inoltre mi ha sempre affascinato il genere comico e devi sapere che a Milano il Teatro dell’Arte “ Alla Triennale” si occupava anche di rassegne e di comici più o meno conosciuti. Questa realtà mi ha fatto capire come si fa la gavetta con spettacoli in tournée che duravano trenta giorni con 34 repliche (di cui due spettacoli il sabato). Ricordo che smontavamo di sera lo spettacolo e si ripartiva per altri piccoli centri, teatri di paese o anche piazze, piuttosto che teatri d’opera. Questa esperienza mi è servita tantissimo… Da lì ho lavorato al “Teatro Comunale” di Bologna e a qualche Festival tra cui quello Ravenna, il Festival di Pesaro, Cagliari e infine sono approdato al teatro “Alla Scala” di Milano. Sono più di quarant’anni, ormai, che navigo in teatro per cercare di sopravvivere.

La tua è davvero una carriera particolare e incredibile…

E’ difficile trovare un teatrante che non abbia una carriera particolare. Ricordo che un Direttore artistico del Teatro “Alla Scala”, Cesare Mazzonis, laureato in chimica, nato a Buenos Aires e vissuto in Inghilterra,  traduceva l’inglese gotico in italiano, francese e tedesco. Il Sovrintendente Carlo Fontana era giornalista e critico d’arte dell’”Avanti”… Siamo dei grandi curiosi e ci affascina tutto ciò che è riconducibile alla cultura e alle arti.

Bellissimo! Davvero straordinario!… Abbiamo percorso gli esordi della tua carriera e arriviamo alla collaborazione con il Teatro “Alla Scala”. Vuoi raccontarci come e quando è incominciato?

Ricordo che è iniziato nella stagione 1986- 87. Sono stato il responsabile organizzativo più giovane del mondo, avevo trentadue anni, e mi sono occupato di tutte le produzioni, compresa l’organizzazione della Filarmonica del teatro “Alla Scala”. La difficoltà è sempre stato incrociare perfettamente tutte le prove e gli eventi tra Stagione Operistica e Concertistica, perché i Professori d’Orchestra sono gli stessi e ci sono mediamente circa 45 concerti da fare anche all’estero. Non è finita qui, perché c’è anche l’Accademia del teatro “Alla Scala”, che pur avendo uno staff autonomo, deve incrociare gli eventi con le precedenti realtà artistiche. In tutti questi anni ho affiancato sette Sovrintendenti e nove differenti Direttori artistici. Trentacinque anni di lavoro, in cui ho avuto il piacere di lavorare per diciannove anni con il Maestro e amico Riccardo Muti. La mia carriera è iniziata con il Sovrintendente Carlo Maria Badini e si concluderà con Dominique Meyer.

                  Andrea Valioni e Francesco Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana.

Hai lavorato solo in Italia o anche all’estero?

Sono responsabile organizzativo di tutto ciò che succede in teatro in sede e fuori sede. La programmazione prevede circa il 30% delle rappresentazioni all’estero. Abbiamo fatto tournée in tutto il mondo: Australia, Cina, Stati Uniti, Messico, America latina, Europa, Russia e perfino in Ghana. Nel 2015, per aggiudicarci l’Expo di Milano, andammo ad Accra ad eseguire la Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven diretta da Daniel Barenboim, per un Convegno degli stati Africani sud Sahariani. Ricordo che ci fu chiesto di realizzare tutto in nove giorni. Davvero una follia incredibile! Se ripenso alle vaccinazioni obbligatorie di tutto lo staff artistico e organizzativo per poter partire, nonché l’organizzazione logistica quando arrivammo. Un incubo! Trovammo un caldo torrido pazzesco e non trovammo neppure il palco pronto. Noi avevamo chiesto le gradinate e trovammo cinque gradini (Ride divertito). Purtroppo sono gli inconvenienti di questo mestiere. Morale: montammo in una notte un palco che doveva contenere tantissima gente: circa 220 persone.

Ho conosciuto tua moglie Elena Rizzi, una donna davvero molto bella, dolcissima e allo stesso tempo determinata e appassionata del mondo musicale. Ho saputo che lavorate insieme. E’ esatto?

Si, si giustissimo! Mia moglie Elena mi affianca nel mio lavoro da tanti anni, lei è la Responsabile Amministrativa del corpo di ballo del Teatro “Alla Scala”. Fino a qualche anno fa anche Elena accompagnava gli artisti in tournée e, come me, si è trovata a vivere situazioni davvero incredibili e a volte esilaranti.

                                                Andrea Valioni e Robert Carsen, regista.

A proposito di situazioni divertenti, ci racconteresti qualche aneddoto, legato a qualche personaggio famoso, con cui hai lavorato?

 (Ride divertito) Sicuramente scriverò un libro dopo la pensione, ce ne sono così tanti… Per citartene una, ricordo che fummo ospitati all’hotel Sheraton di New York nel 1992 (in occasione dei cinquecento anni  dalla scoperta dell’America); in programma c’era il Requiem di Verdi con il Coro e Orchestra del Teatro “Alla Scala” diretto da Riccardo Muti. Arrivammo ora italiana alle 19, ma con il fuso orario era l’una di notte. Passò meno di un’ora e scattò l’allarme anti incendio dell’hotel. Scendemmo tutti lungo le scale, perché non si potevano usare gli ascensori per sicurezza. Ricorderò per tutta la vita il Maestro Riccardo Muti con il pigiama a righe e in ciabatte, le coriste in camicia da notte e i coristi in pigiama, una situazione davvero comica… Arrivarono i pompieri, che ispezionarono tutto l’hotel e dopo ci dissero che non avevano rilevato nessuna anomalia, era tutto tranquillo e che potevamo tornare a dormire. Ritornammo nelle nostre camere dandoci di nuovo la buonanotte…Dopo circa venti minuti scattò l’allarme e di nuovo tutti giù con il maestro Muti e con gli altri artisti: stessa situazione di prima. I pompieri arrivarono e non trovarono nulla. Incominciammo a spazientirci perché pensammo che fosse un difetto dell’impianto di sicurezza. Dopo 15 minuti scattò di nuovo l’allarme. In realtà questa volta scesero meno persone. Stessa scena, sembrava una barzelletta. Scesi per protestare… Ed ecco il colpo di scena: arrivò il Servizio di Sicurezza dell’hotel che avevano scovato i colpevoli. Due artisti del Coro che stavano cucinando gli spaghetti con il sugo e avevano portato dall’Italia il fornelletto da campeggio, che era in corrispondenza con il sensore antifumo, che faceva scattare l’allarme. Non avevano collegato le due cose e ogni volta che tornavano su, sempre più adirati, accendevano il fornelletto per poter cucinare e mangiare gli spaghetti in santa pace… (Ridiamo pensando all’accaduto). Te ne racconto un’altra davvero esilarante: eravamo in Giappone nel ’95, rimanemmo per 45 giorni. L’ultimo giorno dopo i saluti, salimmo sul pullman, a un tratto uscì il direttore dell’hotel con il responsabile della tournée giapponese, che ci fecero segno di scendere. Scesi dal pullman e mi avviai alla reception. Secondo me i giapponesi sono meravigliosi, perché anche se sono furiosi, non danno mai la parvenza di esserlo. Lì ci spiegarono che tutti avevano saldato il conto tranne un signore dello staff che non aveva saldato il conto telefonico. Pensai fra me: Tutta questa manfrina per il conto del telefono e quanto sarà mai? Mi risposero:«Un milione e ottocento mila lire». Rimanemmo basiti. Chiamammo il macchinista in questione, e gli chiedemmo di spiegarci cosa fosse accaduto. Quest’ultimo rispose seraficamente che stavano dicendo stupidaggini, poi salì sul pullman e tornò con un telefono di quelli bianchi col filo e aggiunse:«L’ho comprato al mercato e ho usato il mio telefono». (Ride divertito) Ti spiego: aveva tolto il telefono dell’hotel ed era convinto che mettendo il suo, non avrebbe pagato nulla… Alla fine il Direttore Generale della Scala pagò come Fondazione e nei mesi successivi il signore del telefono bianco restituì i soldi. Questo per farti capire cosa puo’ succedere…

Di tutte le produzioni passate qual è quella che non dimenticherai mai? E Perché?

Certamente il Don Giovanni di Giorgio Strehler con la direzione di Muti, che ha rappresentato la prima inaugurazione della mia lunga carriera. Era la prima volta che vedevo Strehler lavorare. Lo avevo conosciuto qualche anno prima, quando veniva al “Piccolo” per fare lezione, ma la situazione era completamente differente. Sicuramente nulla al confronto con il suo modo di fare regia, davvero stravolgente. Pensa che Thomas Allen, prima di andare in scena, provò da ottobre al 7 dicembre per ben 65 giorni e finì senza forze cantando tutte le recite. In tutti i suoi gesti, non c’era nulla d’improvvisato. Luci meravigliose, tutto perfetto… E’ stato un lavoro che è rimasto nella storia del teatro. Purtroppo, circa dieci anni fa, fu venduto a Cagliari, ma lì hanno provveduto a sezionarlo e farlo a pezzi. Un vero peccato! Sono tanti gli spettacoli bellissimi che porterò sempre con me nel cuore. Ho lavorato tantissimo con Luca Ronconi, al quale devo, tutto sommato, l’affezione della regia; ricordo che ero ancora studente e sono fuggito per tre giorni, per andare a vedere un suo spettacolo a Prato: l’Orlando furioso e, sinceramente, questo ha segnato la mia vita e la mia storia. Lavorare insieme è stato meraviglioso, perché persone che per te sono dei miti, diventano amici e collaboratori ed è un sogno che si realizza. Ho anche bei ricordi degli spettacoli splendidi che abbiamo prodotto con Carlo Fontana, Sovrintendente del Teatro “Alla Scala” dal 1990 al 2005. (Improvvisamente si incupisce e aggiunge) Ciò che mi turba di più è che stanno sparendo le persone con cui ho lavorato e collaborato per tanti anni, da reputarli dei padri putativi come Franco Zeffirelli, Lorin Maazel, Georg Solti, Graham Vick…

                            Andrea Valioni, Maestro Riccardo Chailly e il regista Davide Livermore

Sono sempre stata un’assidua frequentatrice di teatri e il Covid ci ha tolto il piacere di tutto ciò che faceva parte della nostra vita e, allo stesso tempo, ci ha fatto apprezzare cose che davamo per scontato. La tragedia è che ha segnato un momento tragico per il settore Cultura già fortemente penalizzato nel nostro paese e, di conseguenza, ahimè! Per tutti coloro che lavorano nell’ambito teatrale.  In che modo siete riusciti a contrastare la pandemia e a trovare delle soluzioni?

Obiettivi fondamentali erano due: la salute dei lavoratori in primis. Purtroppo per i ballerini era complicato perché loro non fanno altro che avere un contatto continuo, il coro improponibile per motivi che sono facilmente comprensibili, i fiati perché nell’emissione del fiato possono diventare veicolo di contagio. Puo’ sembrare un paradosso, ma quello dei professori d’orchestra e dei ballerini è diventato il lavoro più a rischio a causa del Covid, più di chi lavora in miniera. Abbiamo definito una zona rossa, e cioè una parte del personale artistico che doveva essere sempre tenuto sotto osservazione. C’erano anche zona gialla e bianca. Abbiamo mantenuto una totale osservanza per le disposizioni ministeriali e, di conseguenza, istituito un Comitato per il protocollo interno, presieduto dal Direttore della sicurezza, e composto dal nostro Medico del lavoro, dal nostro otorino laringoiatra e dai rappresentanti sindacali, affinché ci fosse una scelta non forzata, ma bensì condivisa dalle parti. Il secondo obiettivo, come puoi immaginare, era il pareggio di bilancio, mantenuto per trent’anni. Negli equilibri del bilancio del teatro “Alla Scala” il 30% è rappresentato dal contributo pubblico, il 35% dalla biglietteria e infine l’altro 35% dagli sponsor privati. Non avere pubblico voleva dire rischiare di perdere il 70% dei contributi. Siamo riusciti a mantenere tutti gli sponsor privati e, attraverso la Cassa Integrazione, in parte fornita dallo Stato (del 40% )e in parte dal teatro (altro 40%),  siamo riusciti ad assicurare a tutti l’80% dello stipendio. Chiaramente non producendo abbiamo abbattuto costi delle produzioni soprattutto sugli allestimenti. Abbiamo trovato un meccanismo di compensazione con i contratti degli artisti che ha permesso loro di poter vedere riconosciuta almeno una parte dei cahet perduti nella cancellazione delle recite in programmazione. Tutto questo ci ha creato enormi problemi perché siamo riusciti ad arrivare a fare per ben tre volte le Prove Generali con artisti, che ad esempio erano risultati positivi al Covid e, di conseguenza, siamo stati costretti a bloccare gli spettacoli. Per non parlare della quarantena degli artisti che venivano dall’estero… una follia! Bisognava farli arrivare quindici giorni prima delle prove stabilite, con un aggravio notevole dei costi. Abbiamo installato all’interno del teatro anche un monitoraggio con l’Ospedale Sacco, attraverso controlli sierologici e tamponi continui. A parte il tampone settimanale che facevamo di routine, per chi doveva togliere la mascherina per poter svolgere il proprio lavoro, era obbligatorio fare tre tamponi a settimana. Morale: abbiamo speso in un anno milioni di euro in tamponi, per non parlare dell’acquisto di mascherine per tutti, dei rilevatori della temperatura ad ogni angolo del teatro… Un incubo! Per fare tutto questo l’impegno è stato mostruoso soprattutto per montare e smontare le programmazioni. Tutto lo sforzo era finalizzato ad andare il più possibile in streaming non solo con la RAI. Infatti abbiamo installato un nostro collegamento streaming con l’Università IUML per poter essere presenti sul sito del teatro e non perdere il rapporto col pubblico. Aggiungo che, paradossalmente, dieci anni prima, leggendo una disposizione ministeriale avevo appreso che alla dichiarazione di guerra del 1940, la prima disposizione immediata fu di chiudere cinema e teatri, per il rischio dell’assembramento delle persone più facilmente bersaglio dei bombardamenti e infine la stessa ordinanza concludeva dicendo che i luoghi di cultura, sarebbero stati gli ultimi a riaprire, perché non erano strettamente necessari. Purtroppo è il karma del nostro paese, dove si è sempre pensato che con “La cultura non si mangia” (come diceva un ministro leghista). Tuttavia non ci siamo arresi. Abbiamo rilanciato gli abbonamenti per il prossimo anno e siamo rimasti allibiti per la notevole adesione da parte del pubblico. Tutto ciò perché le persone sono affamate di cultura dopo un anno e mezzo di chiusura totale. Devi sapere che il legame tra Milano e il teatro “Alla Scala” è stato sempre fortissimo. Per far comprendere ai lettori, l’11 maggio del 1946, tra le macerie della Seconda Guerra mondiale, la prima cosa che fu ricostruita nel raggio di otto mesi (evento eccezionale per l’epoca), fu il teatro “Alla Scala”, che aveva subito violenti bombardamenti ed era stato in parte distrutto e fortemente danneggiato. Il concerto d’inaugurazione fu diretto da Arturo Toscanini. Nel 2000 facendo dei lavori sotto la platea, abbiamo trovato tutte le macerie che per la fretta erano state messe nella parte sottostante; materiale che aveva creato, nel corso degli anni, non pochi problemi all’acustica. Abbiamo dovuto svuotare tutto. L’11 maggio del 2021, ben 75 anni dopo, è stato rappresentato un Concerto inteso come il segno della rinascita.

                                    Andrea Valioni e Elio delle Storie Tese

Che progetti ci sono per la produzione prossima del teatro “La Scala, se puoi parlarne (Covid permettendo)?

Prossimo settembre saremo circa trentacinque giorni in Giappone, dove produrremo due opere e tre concerti. Tuttavia il teatro non potrà rimanere chiuso e, pertanto, ci sarà al suo interno l’attività dell’Accademia.  In quella occasione, come spiegavo prima, l’Orchestra dell’Accademia, con il Corpo di Ballo del teatro, prenderà il posto dell’altra. L’Accademia andrà, inoltre, anche in Oman e all’Expo di Dubai. E poi, ci saranno tanti altri appuntamenti in cartellone incominciando dall’inaugurazione del 7 dicembre con Macbeth. Al momento abbiamo la certezza di avere circa 900 spettatori che, su più di due mila, fa capire che ogni volta che apriamo il teatro, si perde una quantità di danaro notevole, ma siamo sempre tutti molto positivi e fiduciosi e continueremo ad esserlo.

Quali sono, invece, i progetti di Andrea Valioni per il futuro?

(Sorride ironico) Bella domanda! Come diceva Eduardo tenendo in mano un cornetto rosso:«Non vorrei essere troppo superstizioso». L’unica cosa certa è che, nonostante mi sia stato proposto di rimanere fino a quando avrei il piacere di farlo, il primo gennaio del 2023, concluderò la mia collaborazione con il teatro “Alla Scala” di Milano. Ciò che succederà dopo, come diceva un grande artista:«Lo scopriremo solo vivendo….».

Patrizia Gesuita.

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