di Antonio Pasquale.
Una pagina bianca su cui ciascuno potrà dare voce ad una riflessione catartica, tornando a casa dopo l’intensa partecipazione alla pièce teatrale.
La Ferocia, tratta dall’omonimo romanzo dello scrittore barese Nicola Lagioia, regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà, portato in scena al Teatro Politeama Italia di Bisceglie, il 26 febbraio all’interno della Rassegna Puglia Culture 2024/25.
Nicola Lagioia
Cura del dettaglio, scenografia perfettamente eloquente e in perenne dialogo con ogni dimensione dell’atto teatrale e monologhi accurati possono costituire solo alcune delle cifre interpretative della performance.
Un dramma familiare, in cui non solo l’istituzione della famiglia è posta in crisi, ma ciascun interprete ha reso magistralmente la propria prospettiva e testimoniato le motivazioni endemiche dell’efferatezza del proprio vissuto.
Nessuno ne viene fuori incolume, ciascun personaggio dà forma alle proprie ragioni, nella misura in cui ogni a parte converge nella figura di Clara Salvemini, sempre presente in scena, nonostante non compaia tra le interpretazioni attoriali.
Michele Altamura
Clara Salvemini, figlia, donna, amante, desiderosa di vita, di emancipazione dai retaggi della famiglia, fagocitata dalla logica del potere, diventa rivelatrice della brutalità di un sistema sociale imploso nella sua stessa torbida e irreversibile ascesa.
La maestria del progetto (mi piace sottolineare tale termine per definirne l’ampiezza qualitativa) si delinea in un trait d’union tra la fedeltà alla parola scritta e pronunciata e la sacralità del Teatro, con un’apertura attenta, delicata ed efficace ad un taglio cinematografico, pienamente calzante.
Non era semplice trasporre in teatro l’opera di Lagioia – pur con il tocco unico della visione performativa – e risultare “perfetto”, nel valore etimologico del termine ovvero “completo” nel suo messaggio, con un intenso riscontro del pubblico in sala, parte integrante dello spettacolo.
Michele Paolocà
L’interazione osmotica tra pubblico e testimonianza attoriale si evidenzia a partire dal contatto cercato dalle voci narranti, forti al punto da entrare in ciascun fruitore e coinvolgerlo nella sua forte carica emozionale.
La rottura della prassi scenica è divenuta confronto e restituzione al termine della rappresentazione, grazie al tempo dedicato dai registi ad accogliere le riflessioni del pubblico in sala, input prezioso, che ascrive un
significativo merito alla Compagnia teatrale.
L’immediata curiosità mi porta a voler decifrare la saga dei Salvemini de La Ferocia, attraverso la lettura o rilettura del romanzo omonimo dello scrittore barese, edito da Einaudi nel 2014 e insignito del Premio Strega e Mondello nel 2015, innestando un circuito virtuoso e stimolante di decodifica di linguaggi comunicativi differenti, ma in perenne dialogo e attento ascolto.
Un progetto di importante valorizzazione del talento pugliese, che è contemporaneamente espressione di innumerevoli e trasversali realtà anche oltre i confini nazionali, nato dallo studio e dalla prospettiva lungimirante dei due talentuosi registi e dell’abnegazione dell’intera Compagnia, che ha testimoniato le evoluzioni della brutalità umana, il suo vortice distruttivo con la possibilità, concessa allo spettatore, di coglierne il portato, le sfaccettature, lasciandone traccia e ampi momenti di rielaborazione e autentica riflessione.
Antonio Pasquale