di Gianni Pantaleo.
Peggy Anne Freeman, nacque in un sobborgo di Detroit il 31 agosto del 1945. Dichiarava di avere madre messicana, nonna irlandese padre…sconosciuto soprannominato Luna. Non parve molto equilibrata la bimba. In quegli anni la disparità di razza era accesissima e scontri tra bianchi e neri erano violenti risse quotidiane. Non sembrava granchè interessata ai giochi delle bambine. Con i maschietti erano baruffe nei cortili. Per essere una ragazzina, siamo all’età dei 14 anni circa, era altissima, magrissima da pelle e ossa. Capelli fluentissimi, lunghissimi che le accentuavano un viso spigoloso e occhi enormi. Mani e piedi grandi. Insomma, non proprio un’immagine della ragazzina sbarbina e monella. Per giunta di colore. Asseriva sin da giovane di essere un’artista. Non proprio emarginata, frequentava gallerie d’arte, performance urbani, artisti di strada. La notò uno sconosciuto stilista degli anni ’50, Vincenzo Ferdinandi, immigrato italiano, precursore del fashion.
Donyale Luna, modella.
Vincenzo Ferdinandi fu il fondatore dell’alta moda. Nel 1953 Peggy Anne Freeman, sfilò per lui. Fu la prima modella di colore a camminare su una passerella di Detroit. Presente alla sfilata, un fotografo, David McCabe, notò la ragazza proponendole di trasferirsi a New York. Alta 190 cm. e magra di un peso di 50 kg, la impose nel difficile mondo della moda. La sua figura così lontana dall’immaginario femminile degli anni ’60, fu insistentemente proposto per la sua indubbia capacità di sorprendere. Le foto del McCabe erano ormai pubblicate sui giornali e la stampa, molto incuriosita dalla figura della ragazza, si interessò a lei più come fenomeno di donna che come immagine di donna. Alla prima di una mostra fotografica, si presentò come Donyale Luna. Colta, altera, algida, Donyale Luna conquistò la stampa che la presentò al grande pubblico. Una modella afroamericana nel bel mondo delle bionde, slanciate amazzoni che calcavano le scene dei grandi stilisti dell’epoca. Se ne occupò il Time, nel 1966, dedicandole una cover come donna dell’anno. Non solo, Donyale Luna apparve nelle copertine di Harper’s Bazaar e Vogue britannico ritratta dal fotografo David Bailey. La moda si interessò di lei ormai nota in America ma soprattutto nella storica Europa. Numerosi furono i fotografi che si proponevano a lei. Richard Avedon, tra i massimi fotografi di moda degli anni ‘60/’80, la “costrinse” con un contratto in esclusiva per lui per un anno. Vorrei sottolineare quanto “l’anomalia” femminile di Donyale Luna, non ha nulla di paragonabile alle colleghe modelle. La sua peculiarità estetica, ben consapevole di quanto lei fosse così “diversa”, era più collegabile ad un’astrazione fisica femminile umana.
Riporto ciò che disse di lei Nancy White, direttrice di Harper’s bazaar: “è alta quasi 190 cm ma non pesa neanche 50 kg, ha il seno piattissimo, con le ossa visibili sotto la pelle come in una radiografia, le gambe che sembrano di una scultura di Giacometti e le dita delle mani estese come in un ragno, la pelle color caramello, le labbra piene, la faccia ovale e gli occhi a mandorla”. E’ molto probabile, come lei stessa dichiarava, che le sue origine africane, irlandesi, spagnole, avessero influito su questo straordinario “corpo” apprezzato dalla moda più come opera d’arte che come modella. Donyale Luna “dominava”, dall’alto della sua statura, in tutti i luoghi dove l’arte si presentava, sapendo di essere “diversa”. Parrucche bionde, lenti a contatto multicolor, Donyale Luna faceva del proprio corpo un’opera d’arte vivente. Ogni sfilata, ogni servizio fotografico, era uno spettacolo. Sapeva “indossare” un vestito dandogli un contesto artistico che poche riuscivano a fare. Questo perché dichiarava sempre di essere un’artista. Furono creati manichini con le sue fattezze. Nei negozi di alta moda delle città europee, le vetrine erano “vestite” di lei. Il fenomeno Luna fu ambito dai più importanti stilisti d’epoca: Dior, Balenciaga, Cardin ma di lei si interessò anche il cinema. In un decennio, registi quali Federico Fellini, Otto Preminger, Groucho Marx, vollero e ottennero le sue partecipazioni in numerose pellicole.
Tra le interpretazioni più affascinanti, “Satyricon” (1970) dello scrittore latino Petronio, diretto da Federico Fellini. Nel film Donyale Luna interpreta Oenothea, bellissima maga prigioniera di un vecchio stregone, costretta a custodire il fuoco tra le sue gambe e quindi a essere allontanata dagli uomini. Una bellezza aliena è l’ancella di Erode ne la “Salomè” (1972) di Carmelo Bene, da testo riadattato di Oscar Wilde, lungometraggio psichedelico con le musiche di Brahms, Schubert, Sibelius, R. Strauss dove recita, non doppiata, completamente calva e nuda per l’impossibile essere di questo pianeta. Due matrimoni falliti, un grande amore con Klaus Kinski, naufragato da droghe e alcool e una figlia avuta da un noto fotografo italiano, Luigi Cazzaniga.
Una vita breve quella di Donyale Luna, riservata, silenziosa, misteriosa, sapeva di avere un valore artistico innato. Quella bambina così anomala era veramente figlia degli dei. Il cambiamento portato nel modo di “pensare” la moda, una donna di colore, afroamericana, assolutamente “bella”, sconvolse e non di poco, tutto il firmamento artistico che vide in lei un riscatto delle donne nere spesso tenute ai margini dello spettacolo e del cinema. Le chiesero se era ben consapevole che la sua figura di nera, avrebbe favorito il modo di vivere delle donne afroamericane, rispose che se si fosse resa utile per questo, sarebbe stata felice, altrimenti non le avrebbe importato nulla, perché non era importante per lei, essere un esempio per le donne nere: lei non apparteneva a nessuna delle donne terrene. Morì di overdose di eroina a Roma il 17 maggio 1979, aveva 34 anni.
Gianni Pantaleo.
One comment
Pingback: Anna Magnani, breve ricordo di un'attrice