Di Anna Landolfi.
Nicola Agus, musicista.
La prima domanda rompe il ghiaccio: a chi è Nicola Agus, potrei rispondere io? Ho visto i suoi video e potrei rispondere che Nicola Agus è un musicista dei sogni. I sogni non hanno spazio, sono dovunque. Lei è sardo, se non lo sapessi, direi cittadino del mondo. Sbaglio?
Non sarebbe difficile rispondere, ho una visione che nasce da dentro. La musica è soggettiva, la musica è ciò che deve dare tutto quello che sogniamo. Io stesso sogno e se la musica che faccio dà questa possibilità di sognare vuol dire che trasmetto ciò che sogno anche io nel momento in cui eseguo.
Nicola Agus e le launeddas: scelta legata alle origini sarde dello strumento o scelta culturale del territorio?
Nessuna delle due. Per me sono un semplice strumento musicale senza parlare di territori, senza parlare di Sardegna ma solo di strumento musicale.
Intendo quindi che lei và oltre i confini:
Sì esatto.
Le origini delle launeddas. Ci spieghi…
Non voglio pensare alla sua storia. Non ci sono documentazioni scritte delle sue origini, ci sono soltanto dei testi che citano questo strumento fatto di canne, ma della sua storicità il mio interesse è relativo: mi interessa solo suonarlo portando una visione nuova dello strumento senza legarlo necessariamente alla Sardegna, né parlare solo della Sardegna ma dello strumento musicale.
Come ha scoperto questo strumento?
In una bancarella. Non ero a conoscenza di questo strumento. L’ho preso in mano e da lì è nato il mio percorso da solista senza avere contatti con quello che definiamo tradizioni. Le launeddas le ho prese per fare quello che ho sempre voluto fare: la musica che ascoltavo.
L’ hanno affascinata per la loro sonorità?
Non le ho mai sentite suonare, mi avevano colpito il fascino che sono due pezzi di canne. Poi pian piano il suono mi ha completamente affascinato e studiandolo l’ho modificato completamente, diversamente dal suono tradizionale. La mia ricerca non era tradizionale. Se le sentivo suonare a nel contesto tradizionale, io cercavo suoni più articolati, quindi dallo strumento semplice, potevo riuscire a trovare qualcosa di più complesso.
“Adonai”: Questo brano è il percorso di uno stato emotivo. Rispecchia la sua interiorità?
Sì, nel senso che Adonai è una preghiera composta con lo strumento il Ney che ha origini orientali, dal mondo arabo, esattamente persiano, un flauto antico ampiamente documentato e testimoniato da reperti scoperti nelle piramidi egizie, ancora oggi utilizzato sia nella cultura popolare del medio oriente che in composizioni contemporanee, come la new age. Quello che ho fatto è una composizione che nasce dal profondo dell’anima, una preghiera, Adonai è una parola ebraica recitata nel periodo di Quaresima e componendo questo brano con questo antichissimo strumento, ho cercato di inneggiare alla spiritualità.
“Light source” Coraggiosa esecuzione di strumenti: le launeddas, il guanzi. Due culture lontane. Cosa le ha colpite dei due strumenti?
Innanzitutto faccio uno spettacolo che si chiama “Viaggio intorno al mondo” con circa ottanta strumenti. E’ più facile oggi fare sì che siano gli strumenti ad avvicinare le culture che non noi stessi. Ho cercato che si incontrino in uno stesso spazio, culture e popoli senza che perdano le loro identità e riproducendo con lo strumento le mie capacità, le mie sensazioni tirando fuori quelle doti che lo strumento stesso produce attraverso le mie mani. Quindi mi ha sempre incantato la cultura strumentale e non l’aspetto folkloristico, ma l’identità stessa dello strumento utilizzato anche per le composizioni moderne. Quello che purtroppo succede con le launeddas che in Sardegna, sono utilizzate soprattutto nel contesto folkloristico. Io tendo a utilizzarle per una mia interpretazione della cultura della mia Sardegna. Una mia identità che unisce composizione moderne e storia in musica.
L’ho vista su una spiaggia con le canne lasciate dal fiume, trasformarsi in strumenti, poi con dei rotoli di carta comune, e poi con una patata. Straordinario. Capisco però che da oggetti comuni si può fare musica. Lei però ha un valore che non tutti possediamo: è un creativo delle note: per comporle ha bisogno però di ricavarle uno strumento. E’ una dote naturale, certo, ma c’è anche molto studio. Lei è un creativo dello strumento?
Diciamo che nel tempo abbiamo perso la voglia di ricercare. La pianta non nasce strumento musicale, ma dalla pianta abbiamo ricavato violini, abbiamo ricavato chitarre, abbiamo ricavato tutto, quindi si è perso quel senso di ricerca. Tutto è musica, tutto si piò suonare, basta semplicemente cercare nei posti dove noi vogliamo cercarla, io l’ho trovata dentro un rotolo di carta igienica, dentro un rotolo di carta da cucina, in un qualsiasi oggetto si trova la musica. Noi siamo fatti di musica, il mondo è fato di musica, gli stessi uomini primitivi hanno fatto così: cercando, hanno trovato la musica.
Le sue composizioni sono ben oltre la tradizione di una cultura. Si chiama evoluzione.
Non c’entro nulla con la cultura, con la terra legata alla “tradizione”, Sono solo un musicista che ha dei pensieri che trasforma in musica. La tradizione popolare, il folk con me non c’entrano nulla. La mia è ricerca. Non parlo di Sardegna, non parlo di territorio: parlo di strumenti musicali.
Nicola Agus guarda oltre…cosa vedono gli occhi di Nicola Agus che noi non vediamo?
Non si tratta di vedere oltre. Il primo passo è sempre accompagnato da un secondo. Come nella musica, nota dopo nota. La nostra visione è sempre quella di guardare avanti. Quando vedi il mare non ti soffermi a vedere la riva, ma vai all’orizzonte e quando vedi l’orizzonte sai sempre che quello che c’è oltre, non è solo l’infinito, oltre l’infinito c’è una terra e in una terra trovi popoli, culture, tradizioni e non ti appropri delle loro culture, anzi, le studi, le evolvi, le crei con i loro mezzi, i loro strumenti cercando sempre oltre l’orizzonte.
Un’ultima domanda e questa è mia personale: questa emozione che trasmette, è frutto della sua sensibilità non solo di musicista, ma di uomo. Quindi Nicola Agus è un uomo che trasmette emozioni attraverso le note?
Ognuno di noi percepisce emozioni dalla propria esistenza e la trasmette con i propri strumenti. Trasmette, percepisce e poi ne trae suggestioni. La musica è un viaggio. Quello che faccio io è trasformare la propria esperienza, la mia vita è in un brano musicale e quello che trasmetto non è detto che sia percepito come la sento io. La musica è soggettiva. Forse la sensazione di un’emozione è quella di riuscire a fare mettere fuori dal proprio io quello che realmente è, ciò che prova, che percepisce. Il mio compito è riuscire a fare scavare nel profondo di ognuno di noi, quello che più ci rende unici nell’universo: la nostra anima.
Un terzo brano musicale, è suggerito all’ascolto: è magia. E’ stata forse una scelta personale. Ma non potevo non condividere le emozioni provate, con voi. Il titolo è “Pacific”.
Terminata l’intervista e ritornando alle parole di Agus, riesco a provare quella serenità avuta sentendolo parlare. Riconosco la forza del suo pensiero non solo ascoltando le sue composizioni. Ammetto di essere rimasta sorpresa e incantata dalla voce. Un professionista di questa abilità umana, è senza alcun dubbio un essere speciale.
Anna Landolfi.