martedì, 16 Aprile, 2024 4:13:48 PM

CAV Bari-Comune di Bari Assessorato al Welfare-Compagnia AltraDanza: l’arte al servizio sociale

di Anna Landolfi.

L’arte è un mestiere di servizio. L’arte è lo strumento per comunicare, rivoluzionare, sovvertire società accecate dal consumismo, dal benessere disparitario, da giudizi e pregiudizi di comportamenti di massa complessi da scardinare. Blindati da secoli di premeditati ruoli sociali, nel tempo la ragione sovrasta ai diktat della quasi normalità di genere nei quali i ruoli sono ben tracciati, scontati e questo ribalta il pensiero per cui ogni essere umano ha un suo “posto” nella società: le caste. Collocare le donne in uno specifico ruolo è un’astrazione di genere. Se pensassimo, per puro parossismo ideologico, che ogni donna abbia una sua ben definita collocazione all’interno di una società, rasenteremmo la blasfemìa. Madre, moglie, amante. Troppo poco! Semmai: si è anche madri, mogli e amanti e questo non rende figlie di un Dio minore, le donne che da tutto questo ricevono disprezzo. Al che, se la parola non è recepita, l’arte si fa spazio e nascono idee per le quali menti evolute si associano e collaborando, programmano un evento quale quello che si presenta al Teatro Kismet OperA di Bari con il Centro Antiviolenza  dell’Assessorato al Welfare del Comune di Bari, gestito dalla Cooperativa Comunità di S. Francesco e il coreografo Domenico Iannone, con uno dei suoi ultimi lavori di forte impatto artistico: “Credevo mi amasse”, esplicita messa in scena della condizione delle donne nel loro mal vissuto quotidiano, con la partecipazione di Teresa Ludovico, che dà parola a quelle donne alle quali sono state strappare le parole. Con una colloquiale Marika Massara, coordinatrice del Centro antiviolenza, quella che segue è l’intervista che ospita questo servizio.

E’ una collaborazione mirata alla sensibilizzazione del tema della violenza sulle donne, con una delle compagnie meglio rappresentative della scena coreutica. Tra le innumerevoli attività di aiuto del CAV Bari, l’invito del pubblico a essere presente a “Credevo mi amasse” è una novità per il Centro?

Da sempre il Centro Antiviolenza dell’Assessorato al Welfare del Comune di Bari, gestito dalla Cooperativa Comunità S. Francesco, ha creduto nell’importanza delle iniziative di sensibilizzazione in favore della cittadinanza del territorio, anche attraverso le iniziative di “Generare culture non violente”. La violenza di genere ha radici culturali e soltanto rendendoci promotori di una cultura in favore della parità di genere potremo sdradicare questo drammatico fenomeno. In particolare avendo avuto l’opportunità di conoscere lo spettacolo “Credevo mi amasse” abbiamo ritenuto potesse essere un’ottima occasione per arrivare alle cittadine ed ai cittadini con un linguaggio più diretto e penetrante, che possa smuovere la consapevolezza di ciasuno.

Il favorire alla visione di questo spettacolo, è un ulteriore contributo perché l’argomento trattato sia meglio compreso dalle giovani generazioni. Il CAV Bari, interviene anche con laboratori artistici per le vittime di violenza?

Proprio in occasione dello spettacolo le operatrici, psicologhe psicoterapeute, assistenti sociali ed educatrici proporranno un workshop a mediazione artistica sugli stereotipi di genere. Attraverso un percorso di disegno, scrittura, tecniche teatrali e di consapevolezza corporea, cercheremo di capire come il linguaggio che utilizziamo e la cultura nella quale siamo immersi orientano e condizionano le nostre scelte. Oltre a questo percorso, il Centro Antiviolenza ha attivo stabilmente un laboratorio “La Bottega delle donne” dove le stesse hanno la possibilità di creare con l’aiuto di una maestra d’arte, manufatti e oggetti che nascono dalla loro creatività. Hanno così la possibilità di esprimere ciò che hanno dentro in forme artistiche ed espressive.

Deduco che l’arte aiuta. Sono in errore?

L’arte aiuta da quando è nata l’umanità. Ogni forma espressiva, dal canto alla musica, dalla poesia al teatro, dalla danza alla pittura e alla scultura hanno aiutato l’essere umano ad esprimere contenuti difficilmente evocabili e rappresentabili a parole.

Lei coordina le attività del CAV insieme al Comune di Bari, con l’Assessorato al Welfare. Senza approfondire il tema, indubbiamente doloroso e purtroppo di immane diffusione in tutti ceti sociali, la partecipazione di artisti nel contesto di aiuto, potrebbe giovare anche a chi è autore di crimini?

Sicuramente l’arte e gli artisti possono aiutare moltissimo a veicolare messaggi culturali alternativi alla cultura ancora dominante che deriva dal patriarcato e alla disparità, ancora oggi presente, tra uomini e donne.

Non vorrei lanciare un messaggio errato, le chiedo, da donna: ma l’uomo amato che credevo di amare, parafrasando il titolo dello spettacolo di Domenico Iannone, può essere egli stesso vittima di se stesso? La prego di non fraintendermi, né vorrei sembrarle giustificatrice, ma le leggi…mi perdoni, sembrano, quasi sempre, piuttosto tolleranti con i criminali.

Oggi abbiamo delle normative più stringenti e meno tolleranti con gli autori di violenza contro le donne. Certamente in questo tipo di reati esiste un altissimo tasso di recidiva, quindi certamente la condanna non basta. Dobbiamo sempre ricordarci la funzione rieducativa della pena che comprende percorsi trattamentali individualizzati sia all’interno degli Istituti di pena che fuori, anche ai sensi dell’art. 16 della Convenzione di Istanbul.

Le leggi ci sono. Spesso scendiamo nelle piazze, reclamando leggi. Ma ci sono. Buoni governi ne hanno fatte di ottime. Perché ci sembra non vengano applicate? Da più parti, i governanti dicono “…le leggi ci sono, non vengono applicate”. Cosa le rende farraginose?

Le leggi si sono evolute nel corso degli anni. Siamo passati dal delitto d’onore e dal matrimonio riparatore al codice rosso. L’evoluzione c’è, ma come sottolineavo prima c’è un discorso culturale che va fatto chiaramente e in modo incisivo, sin dalle più giovani generazioni. Per chi ha la possibilità di approndire suggerisco di leggere “La risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia. Analisi delle indagini e delle sentenze. Il biennio 2017-2018” della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul femminicidio, nella parte relativa al linguaggio nelle sentenze. Basta in questo contesto citare solo questo breve estratto:

“Il linguaggio con cui si manifesta un pensiero non è neutro perché riflette, e allo stesso tempo produce o disarticola, gli stereotipi culturali radicati in chi si esprime. La parola è lo strumento che organizza conoscenza ed esperienza partendo da un terreno di sistemi simbolici e valoriali inevitabilmente impregnati di pregiudizi culturali, primi tra tutti quelli nei confronti di donne e uomini. …Molte sentenze non assumono un’analisi di genere e tale mancata prospettiva rappresenta uno dei limiti riscontrati in molte delle sentenze esaminate. Ad esempio, le vittime di femminicidio vengono spesso chiamate per nome, mentre gli imputati per cognome, così generando una discriminazione, anche linguistica e simbolica, non giuridicamente giustificabile; le vittime di femminicidio non sono descritte rispetto al loro contesto sociale e/o professionale, ma sono indicate come madri, mogli e figlie, cioè rispetto al loro ruolo familiare; le vittime di femminicidio quando svolgono attività di prostituzione vengono chiamate prostitute e non con nome e cognome, così vittimizzandole e stigmatizzandole.”

Deduco, quindi, che importanti centri come i CAV, disseminati su tutti i territori e che supportati dai Comuni, tutelando e proteggendo le vittime delle barbarie di alcuni uomini, sono importanti risorse di aiuto. Devo pensare che le Istituzioni non ce la fanno a “controllare” la follìa di molti criminali?

Oltre alla dimensione culturale esiste una dimensione politica. E’ necessario agire con politiche integrate, da quelle lavorative ed economiche a quelle abitative, oltre a quelle educative e culturali. Questo perchè anche se riusciamo ad intervenire aiutando una donna vittima di violenza, con eventuali figli, ad allontanarsi dal partner maltrattante, abbiamo difficoltà sul dopo. Una donna vittima di violenza non può restare collocata in una Casa Rifugio o in una struttura, è necessario che possa essere reinserita nell’ambiente sociale e lavorativo e possa riprendere in mano la sua vita. Diversamente appare come una punizione nei confronti della donna che invece ha avuto il coraggio di denunciare e di fuoriuscire dalla situazione di violenza. Ad oggi, con il sostegno dei Comuni e della Regione, stiamo implementando progetti di sostegno abitativo e borse lavoro per l’autonomia lavorativa. Contributi per le spese in favore dei figli piuttosto che buoni spesa in collaborazione con i supermercati locali. Le donne hanno molti bisogni, non soltanto quello di essere allontanate dalla violenza del partner o dell’ex-partner.

   La sede della Cooperativa S. Francesco a Bari-S. Giorgio

C’entra la maternità con questo archetipo?

La donna da sempre è relegata al ruolo di cura della casa e dei figli. L’immagine rassicurante del focolare domestico. La donna nella pubblicità con in braccio un bambino e nell’altra mano un detersivo per il bucato. La donna oggi è colpevole se lavora, è colpevole se resta a casa, è colpevole se sceglie di lasciare il lavoro per prendersi cura dei figli ed è colpevole se sceglie di non concepire figli perchè pensa alla carriera. Questo è un paradosso. E sono proprio questi gli stereotipi di genere ed i pregiudizi che dobbiamo sdradicare.

                                  Teresa Ludovico

             Silvia Di Pierro da “Credevo mi amasse”

Arte e società: forse sono la chiave corretta perché il lavoro dei CAV possa essere meglio compreso dal pubblico. Educare con le arti le future generazioni a riconsiderare la “donna” un essere umano senza disparità di genere, è una proposta di intelligenza evoluta. L’ultima domanda: all’amore frainteso, la risposta di voi operatrici dell’animo ferito di una donna, è l’amore?

All’interno del Centro Antiviolenza lavorano solo operatrici donne: psicologhe, assistenti sociali, legali ed educatrici. La relazione che cura è la relazione di genere. Basata sull’accoglienza e il non giudizio. La donna viene da noi in anonimato, tutelando la sua privacy. Ha necessità di essere creduta perchè troppo spesso ha chiesto aiuto ed ha continuato ad essere svalutata e sminuita. Noi siamo al fianco delle donne senza giudicarle proprio perchè tutte le donne in qualsiasi momento della loro vita potrebbero essere vittime di violenza psicologia, fisica, economica e sessuale, senza distinzione di età o di classe sociale. E’ la relazione tra donne la cura ed è attraverso l’educazione e la sensibilizzazione delle giovani generazioni, di bambine e bambini, che possiamo generare una cultura non violenta ed inclusiva ed accogliente verso le differenze.

Anna Landolfi.

L’evento sarà a ingresso gratuito. Per chi desiderasse partecipare, questo il link:

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSd3BzKyxb_xma8ERSD4TEL3vYRvHR3dHYK72QcF7CssNrSvNg/viewform

“Credevo mi amasse”, coreografie di Domenico Iannone

Teatro Kismet OperA, Bari, 15 febbraio 2022, h. 21:00

https://www.centroantiviolenzabari.it/

https://www.teatridibari.it/

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