giovedì, 18 Aprile, 2024 9:13:03 PM

L’ultima riflessione di quest’anno

di Vittoria Loiacono.

Umilmente, questa che segue, è una mia personale riflessione che voglio esternare per chi avrà pazienza di leggere. Non sono giovanissima, anzi, dall’alto della mia età, credo di avere facoltà di fare considerazioni anche avventate, perché, tanto, ad una certa età pare tutto sia perdonabile.

Forse questa tolleranza è anche dettata dal fatto che dopo molti anta, a noi…anziani, gli si dà del rincogl….. e quindi li si lascia dire.

Allora ne approfitto! Ho vissuto gli anni del grande benessere. Economico e sociale. Gli anni ’60 e le minigonne, poi i cortei degli anni ’70. I movimenti studenteschi. Il diritto all’aborto, le pari opportunità, i cortei per il divorzio.

E poi gli anni ’80, le luci delle discoteche, il Raimbow, lo Snoopy, il Divinae Follie, il Blue Note, il Neo, il Renoir il Merendero… E poi il bar Pellecchia, scalcinato baretto sul lungomare di Bari, il mitico Baraonda, ritrovo delle comitive alternative.

Il Maltese, lo Zum Zum, il Pellicano, Re Artù, PO Box, lo Stravinsky primi pub di quartieri borghesi della città. E il mitico Fortino. Una Bari…da bere. Insomma: ho vissuto, divertita, divertendomi senza mai preoccuparmi o preoccuparci che quello che accade oggi, sarebbe mai accaduto.

Certo, erano gli anni dell’Aids, tra gli ’80 e gli anni ’90, un po’ di amici non li vedemmo più. E’ vero, lo ammetto, si fumacchiava, si cercavano le Rizla, i filtri ricavati da cartoncini delle sigarette, dai bigliettini da visita. Gin e ananas era un rito.

E i Deep Purple, i Jethro Tall, per poi a “fulminarci con “The dark side of the moon”. La prima disco “gay” in via Piccinni: il Number One. Non era una discoteca “solo” per gay.

Nel giro di poco tempo, divenne la discoteca di chi della libertà di genere, maschile e femminile, fondeva un unico genere: quello umano.

E Donna Summer, Giorgio Moroder, e quando i dj di quel tempo mettevano sul “piatto” Kim Carnes, anche chi non ballava, si scatenava con “Bette Davis eyes”.

La mattina si studiava nei licei, a parte le x a scuola ma c’era chi invece già lavorava. Una generazione a Bari, direi, sana. Tutti stretti se qualcuno di noi aveva bisogno di aiuto.

O chi si “ammalava” per sostanze un po’ più pesanti delle “foglie” essiccate. Non lo si rimproverava, non lo si compativa, nessuno faceva la morale. Nessuno si permetteva di dire: “Te lo avevamo detto!”. Le proprie scelte non erano discusse.

Non c’erano i telefonini. Chi aveva la macchina, sapeva che la sera del sabato, caricava anche dieci amici su e si andava.

La movida esplose. Gli anni ’90 furono un brillare di locali e discoteche iper tecnologiche. Stipati come sardine, tutta la Puglia era uno scatenare la vita. Simple Minds, U2, Depeche Mode, Soft Cell, Siouxie and the Banshees, i Cure…imperversava il genere New Wave.

Nessuno avrebbe mai pensato a quello che sarebbe accaduto oggi. E mi ritrovo a settant’anni, con la visione di una generazione, quasi quarant’anni dopo la mia, già privata del dono della parola, sostituita dagli asettici messaggini, dal “silenzio” verbale di gruppi di adolescenti tutti insieme separatamente condivisi da uno strumento che ha zittito la convivialità.

E le notti di Natale, scappati dalle cene dei parenti, ci si ritrovava gonfi di quel piacere che era di stare insieme per il piacere di stare insieme.

Provavo un profondo senso di affetto per i miei amici. Aspettavo trepidante, l’ora di vederli. Eppure queste emozioni io le ho vissute. Emozioni senza filtri, senza timori, nessuna paura nemmeno dei diversi.

Costretti dalla pandemia, inimmaginabile realtà che nessuno avrebbe mai pensato accadesse, mi dispiaccio che quelle emozioni, non siano le stesse provate dai giovani di oggi.

Prodotti in serie, non hanno bisogno di scendere in piazza, non hanno necessità di gridare la loro libertà. Forse sono la generazione cresciuta nel disagio che non è percepito come disagio perché ai loro occhi, è naturale il senso di disagio. Terribile!

Non c’è metro di misura per poterlo paragonare ad un benessere interiore vissuto da altre generazioni. Come per la mia generazione, figli di quella che usciva dalle privazioni della guerra, non conosceva quella dimensione umana.

Ogni venti anni, cambia tutto. Come se tutto fosse un processo sistematico, previsto e dunque ogni generazioni vive il suo tempo.

Questa pandemia, in questi giorni di feste natalizie, forse quelli del mio tempo la vivono con un tantino di nostalgia. Non dei tempi andati, ma di quanto quella felicità giovanile vissuta, non è la stessa che avremmo sperato per i nostri figli o i nostri nipoti.

Così come i contemporanei, spereranno per i loro figli o i loro nipoti nel gioco del tempo infinito.

Vittoria Loiacono.

Supervising Anna Landolfi.

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