venerdì, 8 Novembre, 2024 12:36:20 AM

Orazio Caiti, back from time

di Gianni Pantaleo.

Orazio Caiti, ballerino, coreografo.

Si ha una sensazione di profonda riverenza quando sei di fronte ad un artista che ha molto dell’uomo. Orazio Caiti, danzatore di forte suggestione onirica, trasmette questa emozione. Difficile “scindere” l’uomo e l’artista. Deduco, quindi, che Orazio Caiti non è un uomo che per lavoro fa il danzatore: Orazio Caiti “è” un danzatore. Di solito, gli artisti, fuori dal palcoscenico, sfuggono. Probabilmente “tutelano” una loro intima “umanità”. Caiti è lo stesso: fuori e dentro un teatro, è sempre sé stesso.

La sua professione di danzatore nasce con un salto di qualità quando lasciò Bari per il Teatro Nuovo di Torino e poi per l’Accademia di Danza Classica “Principessa Grace” di Montecarlo. Facciamo insieme un percorso nel tempo: ci racconta?

Tutto é iniziato con la voglia di imparare il rock and roll acrobatico, ma non trovando una scuola, con mia madre andando a casa di mia nonna, passammo davanti una scuola di danza, la “Rossana” ed entrammo. Senza dilungarmi mi iscrissi immediatamente, con impaziente voglia di iniziare il corso a Era il 1980, volevo fare solo jazz, ma sotto il consiglio della direttrice provai la danza classica, e da lì in poi non ho mai smesso senza chiedermi se mi piacesse, era tutto così’ naturale. Ebbi la grande fortuna di incontrare una giovane e meravigliosa insegnante inglese, Diane Durant, sin da subito fu capace di trasportarmi in un mondo, quello della danza, quella vera. Fu la sua mamma, vedendomi danzare per il mio primo saggio, lei stessa era una ballettofila, mi regalò uno stage in Inghilterra (Leeds) con il Royal Ballet. Si chiamava Shirley e ad oggi rappresenta per me l’invito più grande che mi permise di entrare nel mondo della danza classica. Con gli occhi di oggi questi ricordi li posso riconoscere ed apprezzare come la vera ed unica ragione capendo che era nel mio dna l’amore per questa professione che mi aveva aperto la mente dandomi la possibilità di rimanere in Inghilterra per due mesi. Il primo spettacolo di danza che vidi, fu al Convent Garden, del Royal Ballet School ed ebbi occasione di fare lezione con una delle stelle internazionali della danza con Alicia Markova, lezioni che hanno segnato molto la mia professione. Da lì la necessità di aprire gli orizzonti, e grazie alla mia famiglia, mi trasferii  a Torino,per poi passare dalla grande Marika Besobrasova, insegnante all “Accademia Principessa Grace”  e iniziare così le prime esperienze professionali al Teatro Nuovo di Torino. Avevo 15 anni. Senza dimenticare la quantità’ di spettacoli visti a Vignale danza, dove il mondo della danza passava con numerosissime produzioni coreografiche. Proprio lì nacque il mio desiderio di entrare nell’ AterBalletto, una sogno quello che cercavo di realizzare con lo studio, infatti chiamai il direttore Amedeo Amodio. Data la mia giovanissima età, avevo 14 anni, mi disse di aspettare almeno altri 3 anni. E così fu.

Nel 1987 entra come solista in una delle compagnie più rappresentative della danza italiana nel mondo: l’AterBalletto. Come accadde e chi sostenne la sua presenza in compagnia?

Come per magia, dopo tre anni di studi, durante la stagione al Nuovo di Torino per le recite di “Coppelia”, il ruolo di Franz, ballato da Raffaele Paganini, per alcune date fu sostituito da Mauro Bigonzetti, danzatore dell’AterBalletto. Ricordo ancora quel momento in cui mi disse “ma che stai a fa’ qua?” con un’ accento romano che diventava per me una poesia, un sogno, quindi con l’aiuto costante di mio padre, aspettai il ritorno in Italia della compagnia dalla tournée Americana e Mauro mi organizzò un’audizione a Reggio Emilia, facendo così lezione con la compagnia in presenza di Amedeo Amodio, direttore all’epoca, figura unica e fuori dal comune con una visione artistica totale che portò la compagnia a livelli tecnici e artistici di alta qualità dando le opportunità di danzare un repertorio internazionale. Ogni creazione con lui, era un viaggio nella storia della danza contemporanea. Ancora oggi riconosco la sua grande sensibilità nei confronti di un giovane e verde danzatore che ero. Quindi il mio padrino artistico fu Mauro Bigonzetti. Posso dirti che in questo senso ho avuto fortuna. Un latro mio mentore fu Guy Poggioli solista della immensa compagnia di Maurice Bejart. Insomma entrai dove desideravo ballare e dove vedevo una compagnia di balletto che mi ispirava il volerla vivere, lì c’ero io. Un carrozzone di artisti in viaggio con un repertorio internazionale, che in quel periodo poche compagnie avevano. Ad oggi dico sempre grazie per aver potuto vivere la danza così.

Lei ha conosciuto e ballato coreografie di William Forsythe, Alvin Ailey, Michele Abbondanza, Antonella Bertoni, Amedeo Amodio, i nomi sono tantissimi. Con gli occhi di oggi: quali i maestri che più hanno influenzato il suo futuro di coreografo?

Eh si. Ho potuto acquisire un bagaglio di esperienze pazzesche con questi grandi maestri e a parte quelli da lei nominati, se ne potrebbero aggiungere molti altri, un bagaglio d’informazioni che continuano ancora oggi a mantenere acceso il fuoco dell’amore per la danza che ho. E’ il totale di queste esperienze ad influenzare il mio percorso coreografico, vissuto in modo libero e senza obblighi. Spero di essermi spiegato, so che ha una conoscenza e una sensibilità per capire cosa sto dicendo.

“Schiaccianoci”, “Coppelia”, “Romeo e Giulietta”, ha ballato famosi repertori della danza classica. Sono titoli raramente rappresentati nei teatri di oggi. E’ d’accordo quando si dice che la ricerca deve andare avanti e magari “lasciare” un po’ in sordina queste grandi produzioni coreografiche? Dopo tutto, questa è storia della danza…

Comunque si continuano a produrre e vedere tante versioni di questi importanti titoli di repertorio, credo che in questo periodo, la ricerca deve andare avanti ma con la conoscenza della storia e avendo la capacità di fare qualche passo indietro, come una rincorsa per effettuare un salto in avanti. Sono titoli che raccontano quello che c’era ieri, quello che c’è oggi e probabilmente quello che ci sarà domani. Temi che non muoiono mai, balletti che restano per sempre e che dobbiamo rileggere con gli occhi di oggi, usufruendo del passato come una delle tante isole di un arcipelago che è la vita.

Orazio Caiti e Sylvie Guillem 

Domanda questa, che rasenta il “gossip”: Sylvie Guillem  è stata un punto di riferimento di moltissime giovani ballerine. Nel 2000 “Passo Text”, partner con lei, ètoile dell’Opéra de Paris: emozioni provate?

Posso solo dire che ballare con una stella come la Guillem, è stato un momento incredibile, e non per la sua popolarità , ma per la sua grandezza artistica ed emotiva. Bellezza pura. In più con una coreografia che adoro come “Step text” di quel genio di Forsythe.

Cristina Amodio e Orazio Caiti Jekill” 2009

Il 1997 per AterBalletto, è coreografo di ben tre suoi lavori: “Circus”, “Ricreazione” e “Nove Ritratti”. In quale occasione? Ce lo ricorda?

Come raccontavo prima, ho sempre avuto l’ impulso per la creazione. La creatività e’ stata molte volte la mia forza per farmi scegliere dai coreografi. Poi é arrivò il momento in cui mi è stata data la possibilità d’ iniziare, aiutato e spinto dallo staff e dagli stessi colleghi, per poi continuare sotto la direzione artistica di Mauro Bigonzetti.

I musical. Faticosissime opere dove un professionista è tutto: interprete, cantante, attore, ballerino. “Un americano a Parigi” con Christian De Sica e coreografia di F. Miseria, “Tosca – Amore Disperato” su musiche di Lucio Dalla e coreografia di Daniel Ezralow, poi “Zorba il Greco” con la coreografia di Faust Frey. Quali sono le “altre” attitudini richieste ai danzatori per opere così imponenti?

Devo essere onesto, sono opere dove mi hanno chiamato , ma non ho avuto la necessità di cantare. Come dicevo prima, la mia creatività attirava i coreografi sapendo che potevano contare sula mia capacità di muovermi in contesti anche come i musical. Però chiaramente per il musical la preparazione é totale, ballare, cantare e recitare. Per me é stato un po’ diverso.

“Coccodrilli in abito da sera” 1980 coreografia di Amedeo Amodio

“Un progetto nasce da una comune emozione. “Actor Dei” nasce dall’amore per un uomo”. Questo dichiarò in occasione del 50° anniversario della fondazione della “Casa Sollievo della Sofferenza” e coreografa “Actor Dei”, musical rock di profonda spiritualità e presentato anche nella “Sala Nervi” in Vaticano a Roma. Ci sono momenti della vita di un professionista come lei, che ha girato il mondo, ballato in importanti teatri, presenza costante in numerose compagnie di danza, sentire il bisogno di mettere su un’opera che ci avvicini al Supremo?

“Actor dei” è stata un’esperienza artistica, mistica ma soprattutto umana di una profondità e verità ancora viva nell’anima. Attilio Fontana, direttore artistico del progetto, vedendo un mio spettacolo per Cinecittà Campus, mi disse: “Proprio il coreografo che stavo cercando per questo viaggio”. Accettai subito, anche perché conoscevo Attilio Fontana, per il quale nutro una profonda stima, lasciandomi trascinare in questo viaggio. Creammo un’opera rock, raccontando Padre Pio non come il “santo” ma come uomo. Un rivoluzionario come Gesù, riportando in scena il suo più grande miracolo: la Casa Sollievo della Sofferenza, l’ospedale a San Giovanni Rotondo. Il racconto di un paese, di persone che hanno amato e difeso quest’uomo. Con tutto il cast abbiamo vissuto e creato qualcosa di unico e ad ogni rappresentazione, era una emozione diversa, più intensa, più intima che sfociava alla fine in un applauso fragoroso e standing ovation tanta era la commozione suscitata nel pubblico. “Actor dei” lasciò un segno indelebile in tutto il cast. Una produzione dove il bene e il male si sono manifestati in molti modi e in diverse occasioni. Il Supremo esiste.

Orazio Caiti e Domenico Iannone

“Burning Down the House”, del 2016 presentato a Bari, è un lavoro di eleganza stilistica che caratterizza le sue coreografie. E’ un lavoro di maturità artistica. Ci spiega le ragioni del titolo e la sua realizzazione? C’entrano qualcosa i mitici Talking Heads?

Questo momento importante ha avuto un prima e un dopo. Devo il merito a Domenico Iannone che ringrazio per avermi riportato sulla strada in un periodo in cui ero un po’ sperduto. Il m° Iannone ha rare qualità umane: onestà e lealtà. Con la sua compagnia (AltraDanza n.d.r.), mi ha dato la possibilità di creare “Burning down the house” che è stata la coreografia della rinascita personale. Questa la ragione del titolo “bruciare una casa per poi ricostruirla” e con le musiche dei Talking Heads, mitico gruppo degli anni ’80. Questo ritorno sulla scena, ha realizzato il sogno della rinascita, della creatività, di un futuro fatto di strade nuove. Mi piacerebbe riprendere questo spettacolo, vediamo. Magari dopo questo periodo di “clausura” obbligata.

Prove “Burning Down the House” tenute presso l’Accademia dello Spettacolo UNIKA, Bari.

Per la rassegna DAB17, Danza a Bari, stagione interamente dedicata alla danza contemporanea nel contesto di “Esplorare_generazione contemporanea” organizzata dal Comune di Bari e Teatro Pubblico Pugliese, coreografata da Domenico Iannone, con la Compagnia AltraDanza interpreta Prospero ne “La tempesta” di William Shakespeare. Un balletto di forte spessore culturale e di ricerca coreografica. La sua interpretazione è stata magnifica. Ha percepito una profonda sensazione esoterica per interpretare Prospero, mago e manipolatore di anime?

Qui ritorna di nuovo la figura del maestro Iannone. Dopo la pausa del mio ritorno in scena, riesce a coinvolgermi con una proposta interessante e allettante artisticamente. Impossibile perdere questa occasione: interpretare Prospero ne “La tempesta” di William Shakespeare. “La tempesta” è stato veramente un viaggio esoterico capace di portarmi in altre dimensioni. Un personaggio quello di Prospero al quale non potevo rinunciare, soprattutto a come lo aveva pensato Iannone e a come interpretarlo. Mi riconosco nella “magia” di Prospero, nel suo potere di agire sugli uomini. Naturalmente nella tragedia shakespeariana Prospero incarna il male. In questo non mi riconosco. Se avessi questo potere, credo che tutti vivrebbero meglio.

Ph. Gennaro Guida.

Ph. Gennaro Guida.

Ph. Gennaro Guida.

Ph. Gennaro Guida.

2018, “Come back to Italy” per la trilogia di balletti di coreografi tra i quali Ana Presta e Domenico Iannone, lei presenta “D”. Portato in scena per una rassegna di danza contemporanea, lei spiega: “La “bellezza” del bello. Nessuna “ricerca”, nessuna “scoperta”, la coreografia è svincolata dal pensiero, è libera. Come libera è la danza”. Sempre convinto che non è necessaria una drammaturgia, una storia, che spieghi un balletto?

“D” è stata una “necessità”. Un ritrovarsi con la danza. Il sodalizio con Domenico Iannone e la sua Compagnia AltraDanza, è continuato in questo lavoro che è parte di altre due coreografie, un trittico dal titolo “Come back to Italy”. Attraverso “D” ho voluto trasmettere bellezza e sensualità, senza contenuti drammaturgici. E’ una libertà dei corpi che vivono nello spazio di un palcoscenico. Scatenare le emozioni dando allo spettatore la libertà di interpretazione. In questo lavoro, come del resto ne “La tempesta”, ho avuto ancora una volta Grazia Bonasìa, che ha composto le musiche di entrambi i balletti. Speciale musicista di attenta ricercatrice di storia della musica. Con questo non nego che una drammaturgia sia essenziale nel “raccontare” con la danza, una storia. Ma “D” nasce con questo profilo: un “respiro” di libertà interpretativa. E’ stato un momento dove per onestà andava creato così, un atto d’amore per la danza senza troppe spiegazioni.

“D” 2018

“D” second part: Serena Pantaleo.

L’ultima domanda è del tutto personale: “Lontanemete”, è tra le sue coreografie, quella che più mi emoziona. Un ultimo sforzo, la prego: mi coinvolga come e quando l’ha pensata e chi sono i tre danzatori.

Mi fa piacere che “Lontanemete” è tra i suoi preferiti. Le creazioni di ogni spettacolo sono sempre legati a delle emozioni. Anche a dei particolari momenti della vita di un coreografo. Esso nasce per il Festival Giovani di San Quentin a Parigi. In quel momento si stava chiudendo la mia vita professionale con AterBalletto. Una professione cominciata a 17 anni e arrivati i 30, volevo lasciare con una testimonianza, un pensiero. Leggendo un libro di J. Conrad: “La linea d’ombra”, restai sorpreso della consapevolezza che ogni volta che arrivi ad una meta, ti accorgi che questa non è l’ultima, che un’altra meta è prossima e questo all’infinito. Intendo che la maturità di un uomo non arriva mai ad un punto massimo, che il tempo, le esperienze, continuano a passarci fino a quando c’è vita. Non si arriva mai…”Lontanemete” fu creato per tre miei colleghi sublimi: Loris Zambon, Omar Gordon e Thibault Cherradine. Lontani ricordi…e tutte belle avventure. La vita che passa ci permette di essere quello che siamo. Ringrazio per avermi fatto viaggiare nel tempo.

“Circus”   “Fuga naturale”   “Lontanemete” di Orazio Caiti.

Resto basito. Potrà sembrarvi buffo, ma ci siamo entrambi commossi. E’ stato un reciproco riflettersi l’un l’altro mentre alle domande, rispondeva con gli occhi lucidi. La memoria…i ricordi…e tutto ciò che provoca il tempo che passa e tutto ciò che non ritorna e che comunque è stato vissuto. A ringraziare sono io e tutti noi, che leggendo, gli siamo grati per l’emozione provata.

Gianni Pantaleo.

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