di Anna Landolfi.
C’è un tempo per tutte le cose. Possedere il tempo è saperlo occupare. Guai ad avere tempo e lasciarselo scappare. Il tempo non si ferma. Mai.
Riflettendo su quanto tempo ha la nostra vita, è naturale capire che non è mai abbastanza. Il momento storico resterà nella memoria dei contemporanei.
L’enorme difficoltà del quotidiano causato dall’inaspettata, nè prevedibile angoscia umanitaria provocata dall’invisibile male, è un monito affichè il dolore provocato, migliori la nostra vita.
Guardando dentro le altre e non solo la propria. Perchè nessuno è un individuo a sé e guardarsi intorno, ci renderà migliori. Appagano le Lettere. Appaga la lettura.
Non sottovalutiamola, nè, saccentemente, consideriamola superata, tediosa, vetusta. Leggiamo. Due proposte ai lettori: Patrizia Gesuita, scrittrice, musicista, ricercatrice di Storia del Rinascimento e Giuseppe Vignolo, praticante della scuola per attori “Allievi Fulvio Fo” di Sinnai (Ca) e diretta da Maria Assunta Calvisi, regista e attrice.
Entrambi professionisti delle Lettere, sono i poeti selezionati per questa edizione della rubrica “Poesia non di…autore” che presenta artisti della parola scritta non ancora nota e di forte impatto emotivo.
Patrizia Gesuita
Luna.
Luna! Così lontana,
ma allo stesso tempo vicina
e, da sempre, testimone dei miei più intimi desideri.
Nel corso dei millenni ciclicamente diversa
nelle sue metamorfosi: dal sorgere misterioso
e impenetrabile di Luna saracena
a meravigliosa sfera di fuoco.
Circondata nelle notti stellate
dal lucente Giove, il vermiglio Marte e
da Deneb, Altair e Vega come in una melanconica danza.
Col suo magico e affascinante riflesso sul mare,
ricordo di estati spensierate, romantiche e felici.
Non è sorprendente quanta suggestione provochi Patrizia Gesuita, che dosa e compone le parole in un’ode all’astro che da sempre incanta gli uomini.
Scrittrice e musicista, ha l’esperienza della professionista che si dedica anche alla didattica, attività artistiche che coinvolgono pubblico, studenti e lettori. E’ un “canto” senza tempo.
Un canto come le odi di Omero e Saffo, un canto alla celeste volta che ha ispirato e ancora ispira, dolcezza di immagini semplicemente trasmesse con il linguaggio del poeta.
La composizione lirica scorre, è leggera. Adotta pause di lettura per carpirne, nell’immaginaria interpretazione, l’infinito universo che la logica non permette di spiegarne l’esitenza, ma solo emozione.
Giuseppe Vignolo.
Era un carcerato.
Camminava avanti e indietro.
Tre metri avanti e tre indietro
Spazio vitale di un reietto.
Le parole erano sempre più mute.
Il linguaggio del silenzio era il suo verbo.
Le sbarre dividevano il mondo a pezzi.
Oggi l’ho trovato li, sulla sua branda
Gli occhi persi nel vuoto.
Si è vestito da signore
Una cravatta intorno al collo
Era Il suo lenzuolo, bianco come la sua anima,
Lo ha strappato alla gabbia del suo corpo.
Ora è libero, vola leggero tra i colori dell’arcobaleno
Le rondini lo prendono per mano.
Finalmente è primavera.
In eterno.
Non è un giudice Giuseppe Vignolo, nè si erge a ufficiale giudicante un uomo. Non è un uomo che condanna o assolve un altro uomo.
Il poeta non ha un ruolo, né un compito: è solo un uomo. Un uomo che prova compassione per un altro uomo. Qualunque sia stata la colpa dell’uomo.
Le variabili di un peccato sono vastissime e giudicare non è compito terreno. Prim’ancora che sia giudicato, un uomo espìa il suo crimine con un gesto coraggioso.
Non possiamo giudicare. Giuseppe Vignolo, descrive con parole semplici, l’emozione di una lacrima di pietà verso un suo pari e con indulgenza, felice, spera con lui, di vivere un altro mondo senza errori e lacrime.
Parole misurate, periodi brevi. La struttura della sintassi, ha contenuti di sincera emozione provata. Metafore coraggiose: il poeta non poteva adottare un lessico astratto.
Il dolore del suicidio prende forma di liberazione dell’anima.
Anna Landolfi.
https://dueminutidiarte.com/2016/01/16/rene-magritte-biografia-opere-riassunto/
https://www.festivalmousikebari.com/
In copertina: Renè Magritte (1898-1967): L’homme au chapeau melon, 1964.