venerdì, 15 Novembre, 2024 2:30:33 AM

Cagliari – Marta Proietti Orzella, interprete delle vite delle donne

di Anna Landolfi.

Le parlo come avessi di fronte un’amica di sempre. Eppure potrebbe essere amiche di tutte, perché nel suo percorso di attrice, Marta Proietti è tante donne e molte di noi.

Pur restando se stessa, ha la capacità di non confonderti con “altre” che interpreta. Sai sempre che stai parlando con lei.

Questa considerazione nasce dalle risposte che l’attrice mi ha cortesemente concesso, intervistandola. Una necessità, la mia, di conoscere “questa” donna che di mestiere fa l’attrice e che interpreta, ognuna delle donne rappresentate, come parte di se stessa pur restando sempre Marta Proietti.

Quella che segue, è la piacevole esperienza vissuta con l’attrice.

Marta Proietti in “Cyrano de Bergerac”

Nasce attrice. Considero quindi non una “scelta” bensì un “destino”. Per molti suoi colleghi la recitazione è un traguardo da raggiungere. Da quanto documentato, lei si insedia immediatamente in una delle più antiche arti umane: il teatro. Convinta sin da bambina?

Da bambina ero timidissima ma la mia prima maestra elementare mi faceva esibire davanti a tutta la classe recitando poesie.

Mi divertivo a scrivere, interpretare e mettere in scena storie, con la complicità di mia sorella e di qualche cugino. D’estate, nella casa al mare di mia zia, mi divertivo a organizzare spettacoli per gli ospiti (paganti!).

Per me era un gioco (serio) e quando recitavo vincevo la timidezza e viaggiando con la fantasia mi sentivo a mio agio.

“E se i topolini scoprono i tombini?”

“Tutto tranne Gramsci”

E’ una presenza costante in produzioni teatrali. Comincia, se non sono in errore, già dal 1995. Sa che considerazione traggo? Che è brava. Ho ragione di pensare che un’attrice di spessore interpretativo, se convocata in molte produzioni, ha qualcosa da dare al pubblico. Ne è consapevole?

A questa domanda non saprei rispondere. Mi dicono che sono versatile, io mi diverto a spaziare da un registro all’altro, credo che un attore debba misurarsi con il maggior numero di personaggi/generi/esperienze e collaborazioni possibili.

Ogni nuovo spettacolo, ogni nuovo personaggio per me è una sfida continua e un’occasione per crescere e per mettermi alla prova.

C’è un’altra personale considerazione che mi permetto di esternarle: ha una vastissima presenza in laboratori, master, corsi di recitazione e corsi di formazione. Non solo: è docente, giornalista e coordinatrice di programmazioni artistiche. Tutto ciò conferma la domanda precedente: con un percorso così articolato, non può non “trasmetterci” emozioni quando è in scena, le pare poco?

Il mestiere dell’attore è piuttosto articolato: si nutre di tante esperienze collaterali alla recitazione. Dopo il diploma all’Ecole Florent ho voluto intraprendere l’esperienza della formazione e insegnare recitazione, dizione, lettura espressiva a aspiranti attori.

Questa esperienza poi si è allargata alle scuole di ogni ordine e grado, ai progetti contro la dispersione scolastica e soprattutto al cosiddetto teatro sociale che per me occupa un posto di primo piano.

Ogni incontro che avviene nei miei laboratori e in tutte le esperienze e i progetti collaterali al mio lavoro di attrice, non può che nutrire la mia sensibilità quando affronto il personaggio e soprattutto il pubblico.

“Matte maschere maccus”

“Ridi che ti passa”

Quindi, deduco, che lo studio è importantissimo per una professione complessa come la sua. Lei crede ai talenti?

Lo studio è tutto: spingo qualsiasi allievo a approfondire con esperienze di formazione tentando l’ingresso nelle accademie in Italia o all’estero come ho fatto io.

Credo nei talenti e ho seguito e spinto diversi allievi che poi sono riusciti a coltivare la carriera altrove, molti di loro lavorano stabilmente con realtà consolidate nazionali e internazionali.

“Chicchi di riso”

La formazione: partecipare ad un corso di formazione ha necessità di un background di studio. Sono studi mirati di alta qualità tecnica. La sua esperienza di docente: c’è questa preparazione dei giovani a questi corsi di formazione? Il “mestiere” dell’attore è tra i più difficili e complessi del mondo delle arti…

La preparazione è importante quanto la passione. Ho avuto degli allievi appassionati che hanno dimostrato in poco tempo di essere vere e proprie spugne e di mettere subito in pratica indicazioni e consigli.

E’ tutto relativo: la carriera di un attore è molto variegata in quanto a esperienze/formazione/incontri. Aggiungerei anche un pizzico di fortuna, che non guasta mai, soprattutto rispetto alle occasioni per lavorare con maestri e registi validi.

“Chi ti credi di essere?”

“Gramsci Antonio, presente!”

Festival Internazionale del Cinema di Roma (2014), precedentemente Premio Regionale “Francesco Masala” e vince come attrice professionista (2007). Numerose partecipazioni arrivando finalista. A parte il capo “cinto” o no di lauro, tutte queste sue presenze, confermano l’amore per la recitazione. Ho la sensazione (certa) che più che alla “gloria”, lei miri a trasmettere l’interiorità di un personaggio che interpreta in scena. Questa è dignità. Sono in errore?

In ogni personaggio cerco innanzitutto di ritrovare me stessa e, quanto più mi è possibile, di scavarne interiorità, obiettivi, passioni…

Il testo/l’autore è certamente una guida, così come il regista che suggerisce all’attore la sua chiave di lettura, ma credo che ogni interprete debba comunque approcciare il personaggio in modo personale e assolutamente intimo, cioè debba avere una sua propria idea/ispirazione.

Essendo anche autrice e interprete di me stessa nei miei one woman show mi diverto a alternare autenticità e caratterizzazione dei personaggi che invento (e che comunque si nutrono del mio vissuto).

Posso farle una domanda fuori dal “contesto” professionale ma che è, forse, “parte” della professione dell’artista? Il mio lavoro mi permette di conoscere una vastissima “umanità”, tutti professionisti delle arti e la “vanità” pare sia un requisito indispensabile per raggiungere gli obiettivi della carriera…Cosa pensa della vanità?

La vanità è sicuramente una dote innata che aiuta la carriera. Devo ammettere di essere invidiosa nei confronti di chi ce l’ha più di me… Intendo dire che desidererei essere più vanitosa.

L’autostima è fondamentale ma se non ce l’hai di base puoi esercitarla, basta volerlo. Ritengo comunque che vanità e umiltà debbano andare a braccetto.

“Spogliarello”

Leonardo Pieraccioni, Cesar Brie, Davide Iodice, cinema, teatro, lei stessa regista e autrice. E’ il fermento della creatività, mi permetta, frutto del pensiero di una donna. Affronta ruoli drammatici e poi “entra“ in quelli meno complessi, che strappano risa. Notevoli cambiamenti psicologici di donne, sono faticosi. Che lavoro fa con se stessa per “vestirsi” di tante donne in scena?

Devo ammettere che questo gioco non mi viene difficile: per me è molto divertente. Spesso faccio i paragoni tra i miei personaggi, li metto in connessione tra di loro stando attenda a non confonderli: è come una grande famiglia!

Comunque, ogni volta che affronto un nuovo spettacolo e un nuovo personaggio mi predispongo ad un reset totale per accoglierlo e costruirlo ex novo.

Con le prove e soprattutto le repliche il personaggio cresce, ti ci affezioni, non finisce mai di stupirti.

“Unghie e crisi”

C’è un lavoro teatrale, del 2020, che mi ha colpita molto: “S’accabadora” di Susanna Mameli. Il lavoro teatrale riceve anche un importante premio per la migliore drammaturgia del Fringe Festival di Roma. Un lavoro di tradizione popolare ma soprattutto di cultura sarda. E’ magia? E’ mistero? Siamo nel mondo delle streghe o delle fate? Non ho documentazione storica, ho curiosato un po’ nel web e lei che è stata protagonista con Annagaia Marchioro, che donna è l’accabadora? Mi affascina, non lo nego, non perché sia strega o fata, ma si parla della Morte, non so come pormi…provo un disagio riverente per questo lavoro. Che lavoro è stato interpretarlo? Dentro di sé intendo…

S’accabadora è un ruolo importante e delicato, non solo perché intorno a questa figura c’è molto mistero. Mia nonna raccontava di una donna che arrivava di notte e di cui nessuno o pochi conoscevano l’identità.

Era una figura che poteva dare la vita (era anche levatrice) e la morte cosiddetta “pietosa”, per alleviare le atroci sofferenze, quando non c’era più niente da fare, quando la minestra non bastava per tutti e un malato terminale era un peso per la famiglia…

Una figura ambigua: quando “operava” recitava le preghiere ma spogliava la stanza delle croci, delle reliquie, breviari…

Nell’adattamento di Susanna Mameli il personaggio S’Accabadora vive con sua sorella con cui stringe un rapporto molto particolare che richiama quelle delle “Serve” di Jean Genet.

E’ un lavoro forte, che mi emoziona (anche grazie alle colonne sonore di Paolo Fresu) e che molti definiscono un pugno nello stomaco.

“S’accabadora”

Lockdown. La guerra… Ho stima per lei e dunque dalla sua esperienza di attrice che impersona molte “vite”, le chiedo: noi lettori, a noi lettori, così come ci dà emozione dal palcoscenico, noi che “viviamo” solo il nostro unico ruolo di umani, come dobbiamo porci con il futuro?

Non sono assolutamente in grado di dare ricette su come ci dobbiamo porre con il futuro, specialmente dopo i recenti e attuali fatti che hanno investito e letteralmente scioccato tutti…

Posso solo dire che il teatro insegna tante cose utili e che potrebbero cambiare il mondo: il rispetto, l’ascolto, il “qui e ora”, il gioco e la leggerezza, l’imparare a vestire i panni dell’altro, il non prendersi troppo sul serio…

Nello scorrere della gradevole intervista, Marta Proietti conserva ancora quella timidezza che sin da bambina la caratterizzava.

La percepivo nei toni pacati e discreti di chi parla contenendo la misura delle relazioni. La timidezza è un gran valore.

Ti da la giusta dose di comportamento senza debordare in stucchevoli esibizioni che inibiscono chi ti ascolta. Soprattutto per un’attrice.

Il “contegno” di un ruolo è la reale interpretazione del personaggio. Nel dilagante mercato dell’immagine fine a se stessa, i “contenuti” sembrano essere vuoti o addirittura assenti.

Che messaggio diamo ai giovani. Ben fa Marta Proietti a “educare” i suoi allievi durante lo studio, a imprimere i valori dell’umiltà e dell’essenzialità di un soggetto portato in scena come fosse “l’altra metà di sé”.

Riscopriamo la figura del mentore, la saggezza del sapere per diventare migliori. “…il teatro insegna tante cose utili e che potrebbero cambiare il mondo: il rispetto, l’ascolto, il “qui e ora”, il gioco e la leggerezza, l’imparare a vestire i panni dell’altro, il non prendersi troppo sul serio…”.

E’ il Teatro. E’ Marta Proietti.

Anna Landolfi.

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